AGI - Profeticamente pensato prima del coronavirus, delle mascherine, del distanziamento sociale e del tormentone del plexiglass si chiama "Il muro trasparente. Delirio di un tennista sentimentale" lo spettacolo con cui il Teatro Nuovo-Teatro Stabile di Verona riparte per primo in Veneto, dopo i tre mesi di serrata imposta dall’emergenza sanitaria.
Sul palco, tra il protagonista Paolo Valerio, direttore artistico dello Stabile che dirige lo spettacolo e lo firma con Monica Codena e Marco Ongaro, e il pubblico, campeggia una parete di plexiglass. La protezione dal temuto droplet in questo caso non c’entra, ma considerando che lo spettacolo inaugura l’attività teatrale nella fase 3, il plexiglass, oggi simbolo della difesa del contagio e del distanziamento sociale, è una presenza scenica di grande effetto metaforico.
Sul palcoscenico la parete trasparente è il muro di allenamento contro cui il protagonista (nella vita un ottimo tennista, un 3.4 secondo i parametri federali, nonché nipote dell’ex giocatore di Coppa Davis Vasco Valerio) gioca a tennis affrontando in un monologo di cinquanta minuti la crisi della sua vita, la sua ossessione per il tennis e quella sentimentale.
Lo spettacolo resterà in scena dieci giorni nel teatro fondato nel 1846 e Valerio è pronto a portarlo anche nei circoli di tennis, “anche per spezzare la noia di tante premiazioni”, montando in campo la sua parete di plexiglass. “L’ho pensato ad ottobre quando il coronavirus non aveva ancora colpito l’Italia - racconta Valerio all’Agi - avrebbe dovuto debuttare a febbraio, quando il plexiglass non era ancora diventato un simbolo della quotidianità contemporanea e, soprattutto, quello della separazione sociale”.
Al centro della scena Valerio diventa ‘Max’, che accompagnato da musica italiana degli anni Settanta (ci sono anche ‘Ricominciamo’ di Pappalardo e ‘Pazza idea’ di Patty Pravo) e da video che spaziano da Hitchcock a docufilm su McEnroe, tirando pallate contro il muro, inframezza tre brani di ’Open’, la celebre autobiografia di Andrè Agassi, al suo monologo sull’ossessione per il tennis e sulla sua tormentata vita sentimentale: “Il mio personaggio ha una moglie di cui non ricorda neanche più il nome ed è infelicemente innamorato di una donna, che è stata appena lasciata da suo marito, l’amico con cui lui gioca abitualmente a tennis”.
Un dramma sentimental-sportivo (nell’ultima scena una notte d’amore è descritta come se fosse un match tennistico) raccontato in scena da Valerio/Max mentre gioca, pensa, cita “Il tennis come esperienza religiosa” di David Foster Wallece e si dibatte facendo emergere le sue ossessioni, compresa quella per l’oroscopo, con i momenti di silenzio che si alternano alle urla di sfida di un uomo alle prese con la solitudine, l’amore, le rivalità.
Il pubblico, spiega, ascolta il tutto in cuffia, per percepire meglio la sua voce e il suono della palla, e nella seconda parte dello spettacolo diventa anche protagonista: “Invito chi sa giocare anche un minimo a tennis a salire sul palco e a raccontare le sue ossessioni”. Una performance che sarà filmata ogni sera e finirà sul sito del teatro.