AGI - Lettere d’amore, di scuse, di perdono. Lettere vere e proprie in un periodo di messaggi, sms, email veloci, fugaci che durano il tempo di un soffio. Un parlarsi, quello sui social, spesso senza dirsi niente. Il valore profondo delle parole viene riscoperto nel format “Le parole che non ti ho detto” ideato dall’autore televisivo Vincenzo Galluzzo e oggi ospitato all’interno della trasmissione Uno Mattina su Rai 1. Una cornice dove le emozioni trovano spazio e cercano attraverso una lettera di colmare vuoti, ricomporre le ferite ancora aperte. "Rubando" il titolo al romanzo di Nicholas Sparks dove un marito affida al mare una lettera per la moglie defunta, per riuscire a sopravvivere al dolore, il format di Rai 1 offre lo stesso spazio di intimità a chi ha ancora qualcosa da dire a chi si è voluto bene, al di là del tempo e dello spazio.
“Le lettere sono state di vario genere. Alcune drammatiche che avevano come sfondo persone uccise o scomparse nel nulla, il senso del perdono. La capacità di perdonare, che non è scontata quando ti ammazzano un padre, una madre, un figlio, un fratello, eppure ho visto delle persone che sono state ospiti dello spazio su Uno Mattina che hanno detto con grande serenità che c’è sempre spazio per il perdono. È una cosa che colpisce, soprattutto oggi” racconta Galluzzo intervistato dall’AGI.
In un tempo dove la comunicazione riveste un ruolo centrale, come nasce il format?
“L’idea nasce molti anni prima del tempo che noi stiamo vivendo. Era il 2013 e mi trovavo in Sicilia, a Cefalù, a casa di mia cugina Daniela. In quell’occasione incontrai e conobbi Lucia Borsellino che è una delle amiche più care di mia cugina, con la quale parlammo anche di suo padre: Paolo Borsellino. Lei mi disse 'sai quante cose avrei voluto dirle ma non feci in tempo' e poi scherzando, le risposi di scrivergli una lettera. In realtà quelle parole non caddero nel nulla, ma Lucia le raccolse e qualche mese dopo mi disse che aveva scritto quella lettera e voleva farmela leggere. Leggendola mi resi conto che quelle parole avevano una grandissima importanza, ma potevano essere trasformate in un programma televisivo vero e proprio. – prosegue l’autore - Dopo due anni in Rai abbiamo realizzato due puntate zero: una con Matteo Marzotto che scrisse alla sorella Annalisa morta di fibrosi cistica e l’altra puntata con Gianpietro Ghidini, papà di Emanuele che nel 2016 si è suicidato dopo una notte da sballo buttandosi nel fiume Chiese, nel bresciano. Poi la cosa è finita lì, e poi quest’anno grazie al direttore dei Day Time Rai Angelo Mellone e al vicedirettore Elsa Di Gati questo progetto finalmente è andato in onda al momento inserito dentro “Uno Mattina”. Abbiamo avuto un buon successo di pubblico e delle lettere molto toccanti di vario genere. C’è proprio bisogno di soffermarsi sulle cose proprie e quelle degli altri e una lettera ti dà questa possibilità di riflettere in un momento in cui la comunicazione è troppo veloce e forse troppo superficiale”.
La lettera è quindi un genere “intramontabile”?
“Lo spererei, visto che ci ho puntato. La lettera è semplicemente un foglio dove mettere i propri pensieri e le proprie emozioni, l’amore, il disagio, il disamore, per cui secondo me hanno ancora una valenza e oggi se ne avverte la necessità. Lo vedo anche nelle persone che frequento e che mi dicono ‘quanto mi piacerebbe scrivere’ anche se poi rimangono solo parole. Invece, secondo me le lettere potrebbero aiutare tanto e del resto la storia ce lo dimostra”.
Per chi sarebbe la tua lettera?
"La manderei ai miei genitori, perché non sono più con me da molti anni. La scriverei per ringraziarli di avermi compreso, di non avermi mai ostacolato nel mio percorso artistico ma anzi di essere stati sempre dalla mia parte, schierandosi anche contro le famiglie di provenienza che badavano più al pragmatismo che all’arte. La famiglia di mio padre era più incline: mio nonno tornava da lavoro camminando e leggendo un libro con il rischio di farsi investire. Mentre la famiglia di mia madre badava più al soldo. Mio nonno Francesco era più pratico, meno colto di nonno Vincenzo, ma forse per quella che è la mentalità comune molto più concreto”.