AGI - Quinto ed ultimo appuntamento con i commenti di Umberto Broccoli ai testi dei brani del Festival. Archeologo, professore universitario, ex Sovrintendente ai Beni Culturali di Roma, ideatore e conduttore dello storico programma radiofonico Rai ‘Con parole mie’, Broccoli è autore di “Questa è la storia” (Bompiani, 2019), viaggio in 50 anni di vicende italiane, dal 1938 al 1988, attraverso le canzoni che raccoglie la sua esperienza di narratore del nostro Paese sul Corriere della Sera e Sette utilizzando la chiave delle canzoni come memoria collettiva e privata. Attualmente nel cast del rotocalco quotidiano di Rai 1 ‘La volta buona’ ed in onda ogni giorno su Rai Radio 1 con ‘Cento storie per un secolo di radio’, è consulente del film che Pupi Avati sta realizzando sul centenario della radio ed interviene abitualmente nel dibattito culturale sui periodici ‘Gnosis’ e ‘Rivista Militare’.
Ultimo gruppo di 6 canzoni, cominciamo con Renga e Nek interpreti di ‘Pazzo di te’ (di F. Renga - D. Mancino - D. Faini - Nek - F. Renga).
Un inno all’amore che sembra ordinario, ma non lo è affatto. L’incipit: ‘L’amore è stupido ma ti fa piangere prima sorride e poi ti vuole uccidere’ è già una definizione che rende esattamente questo sentimento. Ci troviamo di nuovo nel territorio dei luoghi comuni, intesi come quelli che tutti abitiamo e condividiamo. L’amore è infatti uguale per i contemporanei, gli antichi e chi sarà nel futuro; per gli italiani ed i neozelandesi, che stanno agli antipodi. Si tratta di una di quelle esperienze che ci accomunano. Leggendo i versi di questo brano, ricco di contraddizioni lessicali che diventano dello spirito, mi sono tornati in mente quelli di Felix Lope De Vega Carpio, poeta spagnolo vissuto tra ‘500 e ‘600 che così descrive l’amore: ‘ Abbandonarsi, ardire, esser furioso, tenero, aspro, liberale, schivo, animoso, accasciato, morto, vivo, leale, infido, vile e coraggioso’. La multiforme varietà delle sensazioni amorose si trova espressa nell’alternarsi di detti e contraddetti di ‘Pazzo di te’, che comprende passaggi, come ‘l’amore è un giudice, è un miserabile, lo trovi in tasca ma non lo puoi spendere l’amore è nobile è fatto di un metallo indistruttibile’, dagli echi addirittura shakespeariani. Quando Ron vinse Sanremo insieme a Tosca citando il Bardo di Avon in ‘Vorrei incontrarti fra cent’anni’ gli fu rinfacciato. Ce ne fossero, invece, di questo genere di riferimenti.
Andiamo avanti con i Ricchi e Poveri e la loro ‘Ma non tutta la vita’ (di Cheope - S. Marletta - E. Roberts).
Innanzi tutto desidero sottolineare l’ottimo lavoro di Cheope, figlio di Mogol ed autore di diversi testi in gara. Più volte ho rilevato che quando c’è studio, voglia di cercare parole e di recuperare la tradizione per guardare al domani si va verso qualcosa di molto positivo, come nel caso di questo brano dall’apertura leopardiana, da ‘Sabato del villaggio’: ‘Che confusione il sabato è quasi peggio di quello che dicono con te però c’è qualcosa di magico’. Cito Leopardi e la malinconia dell’attesa della festa, ma si sente anche la Loretta Goggi de ‘L’aria del sabato sera’, pezzo del 1979 che aveva dietro grandissimi autori come Savio, Testa, Calabrese e De Vita. ‘Va bene, ti aspetto, ma non tutta la vita ti giri un moment la notte è finita’ è verso che fa riferimento al fatto che sebbene la misura del tempo resti uguale, l’attesa sembra sempre lunghissima mentre l’incontro è percepito come un battito di ciglia. Viene in mente ‘La notte è piccola per noi’ di Castellano Pipolo e Canfora. Costruita architettonicamente in modo molto efficace, ‘Ma non tutta la vita’ va curiosamente in contraddizione con il successo dei Bee Gees ‘One million years I will wait for for you’, che può tradursi in: ti aspetterò per un milione di anni. Di sicuro i fratelli Gibb avevano più pazienza dei Ricchi e Poveri. Tra le altre canoni italiane che hanno esplorato il concetto di attesa voglio ricordare ‘Gira che ti rigira’ di Baglioni, segnalando che forse non a caso nel testo di ‘Ma non tutta la vita’ compare il verso: ‘Gira gira girerà la testa.’
Rose Villain interpreta ‘Click boom!’(di D. Petrella - R. Luini - D. Petrella - A. Ferrara).
Ho letto che Rose unisce in questo pezzo le sua anima fragile a quella più ambiziosa. Ed anche che beve intrugli di broccoli per evitare le influenze: cosa che per assonanza mi ha indirettamente lusingato. Click boom rappresenta un colpo di pistola, incarnando quindi una metafora onomatopeica. Quella che si ottiene quando le parole si trasformano in suono come nel famoso verso di Virgilio che replica lo scalpitare dei cavalli sul campo di battaglia. Diverse soluzioni del brano sono degne di riflessione, ad esempio: ‘Piove sopra una lacrima’ fa venire in mente il celebre monologo finale di ‘Blade Runner’ che finisce con le parole ‘come lacrime sulla pioggia’. Non a caso Rose fa sogni molto strani: ‘Non ho paura del buio ma di svegliarmi a letto con qualcuno’. Il mio consiglio è di cambiare frequentazioni. Anche in questo pezzo, come in diversi altri, compare un richiamo alle armi da fuoco: ‘Per me l’amore è come un proiettile’. Questo ripetuto ricorso lessicale agli armamenti è evidentemente riverbero del clima che ci ricirconda. Si nota una visione cupa della vita; per esempio alla frase ‘Ti ho fatto entrare nel mio disordine’, viene da chiedersi se il riferimento sia ad una casa o ad una mente. Poi la fantasia galoppa libera, con versi come ‘Giuro che se l’universo dovesse finire stanotte ti seguirei sul’Everest con tutte le ossa rotte’ e ‘Ti ritrovo ovunque vada nelle canzoni in autostrada dove c’è elettricità’. Viene da chiedersi perché nepalesi e tibetani possano sopravvivere all’apocalisse e come mai sulle provinciali prive di corrente le possibilità di ritrovamento vengano meno.
Sangiovanni canta ‘Finiscimi’ (di Sangiovanni - P. Miano - F. Campedelli - A. Ferrara - F. Vaccari).
Il tema è un amore non corrisposto, lei se ne è andata e lui ammette: ‘Io non so come si controllano le emozioni perciò delle volte ho fatto un po’ il coglione/ non abituarti sono soltanto un bugiardo con gli errori commessi ci farò una collezione’ C’è una forte autocritica - per usare un eufemismo - e viene da pensare alla canzone come lettera ad una ex che probabilmente è stata tradita, e di cui si cerca di recuperare la fiducia con grande difficoltà. A un certo punto esplode una vena di masochismo: ‘Tu che non mi ami e io ancora che ti chiamo per dirti finiscimi’. Potrà aiutare nella metrica, quel secondo ‘che’, ma – restando in tema di metafore belliche - rende la frase un proiettile sgrammaticato. Ricordando ‘Bella da morire’, con cui gli Homo Sapiens vinsero Sanremo nel 1977, ed il suo verso: ‘Che sei bella da morire ragazzina tu’. Tornando a Sangiovanni, è forte e chiara la sua confessione ‘Fammi sentire quanto sono pessimo quanto ti ho mancato di rispetto non dicendoti la verità capiscimi’. Ma lei non lo capisce né finisce e lui conclude: ‘E ora che l’abbiamo fatto capisco che ho lasciato/ con cosa son rimasto con ‘sta nostalgia del cazzo’. Consiglio a Sangiovanni di non scrivere cose simili in una missiva con cui vuole riconquistare una donna, potrebbe anche indurla in equivoco sui suoi gusti.
Santi Francesi presentano ‘L’amore in bocca’ (di A. De Santis - M. L. Francese - C. Del Bono - A. De Santis - M. L.Francese - A. Filippelli - D. Bestonzo).
L’incipit recita ‘Tu mi hai lasciato con l’amore in bocca’, gioco di parole con il proverbiale ‘amaro’. Eppure la fine di questa storia d’amore non dovrebbe stupire, considerato che pochi versi dopo si dichiara: ‘Ma tu già lo sai che io non sarò mai un porto sicuro in un mare calmo’. Non è un buon modo di porsi in una relazione. Mi viene da pensare a Rugantino, che annuncia pubblicamente: ‘starò con Rosetta pe’ ‘na botta e via’, e quando poi lei lo viene a sapere ne subisce le ire. Se in amore non si vuole costruire è più prudente non dichiararlo. I Santi Francesi hanno invece dichiarato di essere molto attenti al look, ma poi ecco il verso: ‘Lascerò i vestiti per strada ti sembrerà strano seguire un filo di lana’. Detto della metafora di Arianna nel labirinto, resta che l’immagine dei vestiti abbandonati per strada mi ha sconcertato: lui si toglie scarpe, calzini, pantaloni, camicia, golf e infine anche le mutande; e poi lei deve raccogliere tutti i panni, magari nemmeno troppo puliti, e andargli dietro?
Chiudiamo con i The Kolors ed ‘Un ragazzo e una ragazza’ (di D. Petrella - An. Fiordispino -F. Catitti - D. Petrella - An. Fiordispino - Al. Fiordispino).
Leggendo che questo brano è stato ispirato dalla vista di un giovane che in una notte di pioggia, alla stazione Centrale di Milano, cercava di rompere il ghiaccio con una coetanea, ho pensato ad un’altra stazione. Per la precisione quella di Pittsburgh, Pennsylvania, dove nel 1958, osservando due fidanzati salutarsi sotto il temporale, Domenico Modugno scarabocchiò le righe da cui sarebbe germinata ‘Piove (ciao ciao bambina)’. Indimenticabile brano firmato da Mister Volare con il mio zio acquisito, nonché storico “socio” di mio padre Bruno, Dino Verde. Tornando al testo dei The Kolors, il suo verso centrale: ‘Un ragazzo incontro una ragazza le labbra sulle labbra poi che succederà’, pone una domanda a cui non è difficile rispondere. Più avanti: ‘E comprerei per te la luna se c’avessi money’, è una divertente soluzione colloquiale che mi ha ricordato ‘Soldi soldi soldi’, evergreen scritto da Gorni Kramer per il musical ‘Un mandarino per Teo’ in cui il denaro viene ribattezzato Barba Braschi, storpiatura del gergale romanesco papabraschi che significa quattrini. La canzone continua sul tema dell’incontro/colpo di fulmine: ‘Serve un’idea più del pane vorrei parlarti ma ho paura di ghiacciare’. Ed anche qui abbiamo una concessione al colloquiale. Poi il solito riferimento alle armi, ma di tono scherzoso: ‘Lo sai che sei un proiettile nel cuore però avevo il giubbotto’. La chiusura/ritornello, ‘Un ragazzo incontra una ragazza la notte poi non passa la notte se ne va’, lascia il finale aperto.