AGI - Terzo appuntamento con i commenti di Umberto Broccoli ai testi dei brani in gara al Festival di Sanremo. Archeologo, professore universitario, ex Sovrintendente ai Beni Culturali di Roma Capitale, Commendatore della Repubblica, ideatore e conduttore dello storico programma radiofonico Rai ‘Con parole mie’, Broccoli è autore di “Questa è la storia” (Bompiani, 2019), viaggio in 50 anni di vicende italiane, dal 1938 al 1988, attraverso le canzoni che raccoglie la sua esperienza di narratore del nostro Paese sul Corriere della Sera e su Sette utilizzando la chiave delle canzoni come memoria collettiva e privata. Attualmente nel cast del rotocalco quotidiano di Rai 1 ‘La volta buona’ ed in onda ogni giorno su Rai Radio 1 con ‘Cento storie per un secolo di radio’, è consulente per il film che Pupi Avati sta realizzando sul centenario della radio ed interviene abitualmente nel dibattito culturale sui periodici ‘Gnosis’ e ‘Rivista Militare’.
Terzo gruppo di 6 canzoni: cominciamo con ‘Tutto qui’ di Gazzelle (di F. Pardini - F. Nardelli - F.Pardini)
Ho letto che Gazzelle ha dichiarato a Tv Sorrisi e Canzoni che l’ideale sarebbe ascoltare questa canzone stando in fila davanti a un take-away cinese, ed infatti l’incipit ‘Lo so che sei stanca lo sono anche io sembriamo due panda amore mio’ fa riferimento all’animale cinese per eccellenza. Un paragone simpaticamente surreale che porta a chiedersi se i due sono di specie protetta, e visto che il panda si nutre di bambù, se anche questa coppia ne mangia 40 kg al giorno come di media fa il mammifero urside. Io mi nutro solo di cibo italico - adoro la pasta olio e parmigiano - tuttavia capisco che Gazzelle abbia propensione a sentirsi affine al panda: ma è certo sia abitualmente stanco? A me non risulta. Altra citazione geografico sociale: ‘Scappare per un po’ da Roma Nord’. Per chi non lo sapesse, il riferimento è alla zona più “fighetta” della Capitale e mi riporta a un verso di Baglioni che nella sua ‘Poster’ sognava di fuggire in Tunisia. Dove vuole invece andare Gazzelle? A Roma Sud, per vivere l’antinomia con il quartiere in cui si trova? A Cinecittà? Baglioni – che scrisse la sua canzone nella Stazione Cavour della Metro B di Roma, me l’ha raccontato lui – è chiaro, mentre Gazzelle non ci rivela la sua meta. Anche il finale è enigmatico: ‘Vorrei guardare il soffitto con te stesi sul letto col raffreddore’. Posso immaginare una coppia di innamorati osservare romanticamente insieme il soffitto, ma perché è necessario il raffreddore: per fare cin cin con la tachipirina? Ce lo dirà Gazzelle.
A seguire arriva ‘Io p’me, tu p’te’ di Geolier (di D. Simonetta – P. Antonacci – E. Palumbo – M. Zocca –D. Simonetta – G.Petito – D. Totaro – F. D’Alessio)
Faccio una premessa: sono di origine napoletana, mio padre Bruno e mio zio Dino Verde - padre del varietà italiano - erano due partenopei doc, io stesso mi definisco: parte-nopeo, ma devo ricordare, a sostegno della canzone e non per criticarla, che esisteva un Festival della Canzone Napoletana che ha fatto conoscere brani come ‘Tu si ‘na cosa grande’ di Modugno e ‘‘A pizza’ di Alberto Testa. E che la cultura di Napoli è talmente centrale alla nostra tradizione musicale che la prima canzone italiana nasce sotto il Vesuvio a metà Ottocento. Il fine di questo doveroso preambolo è segnalare che esisteva un evento specifico in cui alcune canzoni avevano una loro logica esposizione. Perché il punto è che essendo il napoletano, al pari di tutti i dialetti italiani, una lingua, con il Festival della canzone italiana non c’entra. Capisco l’intenzione di esportare la napoletanità a Sanremo di Geolier, ed il suo testo mi pare sufficientemente poetico ed espressivo: ‘Nuij simm doije stell ca stann precipitann’, ‘Simm duij estranei ca s’incontrano’ (anche se poi il verso ‘Io p’me tu p’te’ ripetuto 8 volte di seguito sembra alludere al fatto che noi ascoltatori potremmo essere duri di comprendonio), ma a mio avviso è come se chiamassimo a Sanremo Sting, o Springsteen, a cantare in inglese.
È il turno di Ghali con ‘Casa mia’ (di G. Amdouni – D. Petrella – M. Zocca).
Questa è una canzone-fotografia che vuole rappresentare con precisione la nostra realtà, ed il verso che esprime l’idea centrale, ‘Siamo tutti zombie col telefono in mano’, ci riesce davvero. Ho apprezzato anche il ricordo, non so se consapevole o meno, della morandiana ‘Un mondo d’amore’ di Migliacci (‘Il prato è verde, più verde, più verde’), così come il rimando a Rino Gaetano (‘Il cielo è blu, blu, blu’). Ma il fulcro resta il verso sugli zombie che può definirsi un’esatta riflessione su ciò che stiamo diventando. Anche: ‘Sto già meglio se mi fai vedere il mondo come lo vedi tu non mi serve un’astronave’ è ottimo: non servono astronavi per vedere com’è il mondo. Ghali lo dice con chiarezza: ‘Mi manca la mia zona mi manca il mio quartiere’. Per poi tornare a una costante delle canzoni di questo Festival, il riferimento alle armi da fuoco: ‘Adesso c’è una sparatoria’. Capisco che viviamo, come dice il Papa, “una terza guerra mondiale a pezzi”, ma è il caso di mettere tanti spari nelle canzoni? Giusta la considerazione del verso ‘Il cielo è uguale per tutti’, come va sottolineata la frase: ‘Ma come fate a dire che qui è tutto normale per tracciare un confine con linee immaginarie bombardate un ospedale’ che ci porta dritti a Gaza o in Ucraina. Ghali, in definitiva, anche con il suo riferimento alle armi, dice cose importanti che riflettono il periodo che stiamo vivendo.
Si intitola ‘Fragili’ il brano de Il Tre (di G. L. Senia – I. Sinigaglia – G. Di Mario – P. Zou – F. M. Aprili – G. L. Senia).
L’incipit ‘Le tue pupille sembrano pallottole se mi guardi mi ferisci’ riporta al mito di Eros, dio greco dell’amore che scoccava dardi infuocati. Ma dopo una partenza così alta, due righe sotto alla figura retorica classica ne segue una più colloquiale: ‘Tu sai che avevo bisogno d’aiuto, potevi pure mandarmi a fanculo’ e subito siano scesi sulla terra. Poco dopo comincia una progressione: ‘Siamo fragili come la neve come due crepe e so che non è facile volersi bene stare in catene’. Siamo di fronte a una figura precisa, riappaiono le catene. C’è una canzone dei Righthouse Brothers, ‘Unchained melody’, colonna sonora di una delle scene più iconiche del film ‘Ghost (Demi Moore plasma l’argilla e Patrick Swayze la abbraccia da dietro), il cui titolo significa: melodia senza catene. Non si può immaginare un rapporto d’amore incatenato, non è simpatico secondo me. Ed ecco che mi sovviene un altro tipo di figura, espressa dall’aforista francese François de La Rochefoucauld, secondo cui il matrimonio è un rapporto che si appesantisce come una catena, tanto che è necessario portarlo in due e spesso anche in tre. Insomma io non sono per le catene. ‘Sei come un’isola nessuno ti abita mi rubi l’anima’ è infine un verso di questa canzone che mi ha sollecitato un ricordo: nel 1977 i Collage arrivarono secondi a Sanremo con un brano intitolato ‘Tu mi rubi l’anima’. Ma forse Il Tre ne era inconsapevole, scrivendo.
Il Volo presenta ‘Capolavoro’ (di E. Roberts – S. Marletta – M. Tenisci).
Il centro del brano è il verso ‘Cadi dal cielo come un capolavoro’, una citazione dell’angelo caduto che non può non far pensare al Mogol di ‘Mi ritorni in mente” (‘Un angelo caduto in volo questo tu ora sei in tutti i sogni miei’). Il riferimento biblico alla creatura celeste che precipitando diventa Satana riporta ad una canzone di Franco Battiato contenuta nell’album “Come un cammello in un grondaia” dal titolo ‘Le sacre sinfonie del tempo’ in cui si sostiene poeticamente che tutti siamo angeli caduti sulla terra con l’obbligo di vagare senza memoria di ciò che eravamo. Mi auguro che i componenti del Il Volo la conoscano, perché secondo Battiato il capolavoro siamo noi essere umani: ‘destinati a errare fino a completa guarigione’. Intanto a metà brano si infilano in un luogo comune: ‘Io che mi sentivo perso come un fiore nel deserto’. Invece i fuori in quell’ambiente non sono persi affatto. C’è ad esempio la Ephorbia obesa, dalla caratteristica forma sferica, o l’Hydnora africana dal colore rosso rosato che emettendo odore di sterco attira gli scarafaggi stercorari che fecondano la terra. Insomma, come suggerisce anche Sting con la sua ‘Deseet rose’ i fiori nel deserto compongono una bella comunità. Precisato ciò, anche se ignari di botanica i tre del Volo sono bravi e avranno sicuramente successo.
Concludiamo con ‘Tu no’ interpretata da Irama (di F. M. Fanti – G. Nenna – E. Mattozzi - F. Monti - G. Colonelli).
Irama ha dichiarato che il brano racconta una vicenda personale - come esistessero storie, poesie e canzoni non autobiografiche, tutti mettiamo di noi in ciò che facciamo – e di essere stato ispirato dal colore blu, che curiosamente dal mondo medioevale a oggi è quello dell’autorità. La memoria amorosa è il tema di questa canzone dal buon fraseggio (‘Quando non c’eri e non stavo in piedi avrei voluto aggrapparmi a un ricordo’) centrata sul desiderio di recuperare una storia finita, ma la frase ‘Bastasse solo una stupida canzone a riuscire a riportarti da me’ riecheggia il Ramazzotti del 1990 di ‘Se bastasse una sola canzone’. D’altronde il tema di struggersi sul proprio passato sentimentale è classico nella musica italiana. Andando ancora indietro, ecco Baglioni: ‘E se adesso suono le canzoni quelle stesse che tu amavi tanto’, verso di ‘Solo’, del lontano 1977. Auguro a Irama, e a tutti i partecipanti a Sanremo, di durare quanto una canzone di Claudio, mio grande amico la cui arte ci accompagna da oltre mezzo secolo. Tornando al testo di ‘Tu no’, si prova anche a tenere lontano il ritorno di fiamma: ‘Dimenticherò chi sei e mi dimenticherò di te’. Apprezzo il verso, ma dal punto di vista dell’inconscio non funziona: se hai nel cuore una persona non la scordi a comando. Ce lo spiegava già Catullo, che provò a farlo una volta scoperti i tradimenti di Lesbia nel “Miser Catulle, desinas ineptire”, ove prima afferma ‘Addio ragazza, Catullo ormai resiste non ti cercherà né pregherà te che lo rifiuti’, ma poi crolla, domandosi: ‘Chi ti si avvicinerà ora? A chi sembrerai bella? Chi amerai?’. E così eccoci tornati al Baglioni di ‘Tu come stai’, i cui celebri versi recitano: ‘Chi viene a prenderti, chi ti apre lo sportello, chi ti telefona?’. Baglioni copia Catullo? No di certo, come spiego nel mio libro ‘Luoghi Comuni’ pubblicato nel 2013 da Rizzoli - e prefatto proprio da Claudio - grande poetica e grande musica pescano inevitabilmente nella nostra enorme tradizione. Perché tutti gli esseri umani sentono alla stessa maniera, e gli artisti veri sanno renderlo in parole in modo semplice. Che tutto vuol dire tutto tranne facile.