AGI - Secondo appuntamento con i commenti di Umberto Broccoli ai testi dei brani in gara al Festival di Sanremo. Archeologo, professore universitario, ex Sovrintendente ai Beni Culturali di Roma Capitale, Commendatore della Repubblica dal 2014, ideatore e conduttore dello storico programma radiofonico Rai ‘Con parole mie’, Broccoli è autore di “Questa è la storia” (Bompiani, 2019), viaggio in 50 anni di storia d’Italia, dal 1938 al 1988, attraverso le canzoni, che raccoglie la sua esperienza di narratore del nostro Paese sul Corriere della Sera e su Sette utilizzando la chiave delle canzoni come memoria collettiva e privata. Attualmente nel cast del rotocalco quotidiano di Rai 1 ‘La volta buona’ ed in onda ogni giorno su Rai Radio 1 con “Cento storie per un secolo di radio”, è consulente per il film che Pupi Avati sta realizzando sul centenario della radio ed interviene abitualmente nel dibattito culturale sui periodici ‘Gnosis’ e ‘Rivista Militare’.
Eccoci al secondo gruppo di 6 canzoni:
Cominciamo con Clara e la sua ‘Diamanti Grezzi’ (di A. La Cava - C. Soccini - F. Catitti - A. La Cava - C. Soccini)
Ho letto con piacere che il pezzo parte con un’introduzione orchestrale, secondo una tradizione che riporta a Umberto Bindi e a Nico Fidenco. Ma anche che poi si trasforma virando su sonorità moderne: non essendoci per me niente di più moderno del classico, avrei perseverato nella scelta iniziale. Leggendo i primi versi, uno mi ha sollecitato una domanda esistenziale, si tratta di: “Qual bacio con la lingua che fa paura.” Mi sono chiesto: lo dà a un marziano, a un camaleonte, a un coccodrillo? Ho una memoria ormai antica del bacio con la lingua, ma a me non ha mai fatto paura. Poco più avanti si cambia tono: “Se corriamo a fari spenti non siamo più gli stessi”. E per forza: ti schianti. Appare comunque una citazione diretta al Mogol di ‘Emozioni’. Andando oltre, mi sembra di averne colta un’altra ancor più colta (almeno me lo auguro) al verso: “Il mare è più bello quando non sta fermo,” che riecheggia alle mie orecchie il verso del poeta turco Nazim Hikmet “Il più bello dei mari è quello che non navigammo.” Ancora oltre, la frase: “L’amore è una sala slot, mi gioco tutto”, spiega forse il motivo della paura di prima per il bacio con lingua. Si chiude con un riferimento al fallire: “Non saremo mai quello che poi ti aspetti/ oro nel fallimenti solo diamanti grezzi”. Mi viene da dire: un po’ di speranza, forza. Il fallimento d’oro è un ossimoro, non si fa mai bancarotta con l’oro in tasca.
E’ il turno di ‘Onda alta’ di Dargen D’Amico (di Cheope - J. M. L. D’Amico - G. Fazio - S. Marletta - E. Roberts - G. Fazio - S. Marletta - E. Roberts).
Un brano importante, dedicato a un tema fondamentale come quello dei migranti. Vi si sente il Mediterraneo e la sua profondità. Curioso innanzitutto, trovare in canzone il verso: “Non lo conosci Noè?” Ma ancor più incisivo e forte risulta: “Siamo più dei salvagenti sulla barca”, frase che richiama addirittura il naufragio del Titanic. Il tema migrazione è eterno, perché siamo tutti profughi migranti. Penso a ‘Naviganti’ di Ivano Fossati, ma anche alla grande letteratura: all’Odissea e all’Eneide. Io stesso portai a teatro uno spettacolo dal titolo ‘Eneide. Migrantes’, qualche anno fa. La canzone di D’Amico - che non a caso vede tra i suoi autori Cheope, figlio di Mogol - ci mette nei panni di queste persone costrette a lasciare la propria terra per un’altra: “Non ci resta che pregare finchè passa”. Ma ancor più potente è il verso: "C’è una guerra di cuscini”, che mi pare siano da intendere come i salvagente, estrema speranza di vita. Sembra di vedere le immagini agghiaccianti dei barconi che si rivoltano e delle persone in acqua che lottano per non morire. Ed infine, una frase terribilmente centrata: “Navigando verso Malta senza aver nuotato mai nell’acqua alta”. In sintesi, un brano che mi auguro voli verso la vittoria perché affronta tematiche decisive in maniera profonda.
Tocca a ‘Ti muovi’ di Diodato (di A. Diodato).
La immagino una ballata trascinante, com’è nello stile del suo autore. Uno di cui parlerò senz’altro sabato a Terni, nel mio intervento ad UmbriaLibri sul rapporto tra Festival e amore. Tornando al brano, risulta efficace il verso: “Hai sciolto le catene che abbiamo stretto insieme”, dove si esprime un concetto importante, quanto limitante. A Diodato chiederei: l’amore è una catena? Si parla tanto di catene ai detenuti in questi giorni, ma io l’amore lo immagino come assenza di prigionia e di rinuncia. Nella canzone un lui narrante ricorda una relazione a cui si aggrappa ancora, ma da cui lei si è sciolta. Ne risulta uno specchio che tutti ci riflette e fa riflettere. Per Diodato la storia si muove ancora “Se in mezzo a tutto il resto ancora ci sei forse esiste una parte di me che spera ancora che sia possibile.” Mi viene da dire: no, sei efficace e profondo, ma quando un vaso si rompe e lo riaggiusti forse per un po’ terrà l’acqua, ma essendo pur sempre incollato prima o poi cederà di nuovo. Catullo dice a se stesso: “Misero Catullo, smetti di impazzire e quel che vedi essere morto consideralo morto.” Io suggerisco a Diodato: quel che è finito è finito. Ma sembra riporre così tante speranze in questo amore che non possiamo far altro che sperare con lui che i cocci tengano.
Emma presenta ‘Apnea’ (di D. Petrella - P. Antonacci - E. Marrone - D. Petrella - J. Boverod - P. Antonacci).
Sanremo, ha dichiarato Emma, ti lascia senza fiato: ed ecco l’apnea. Una canzone che apre una prospettiva alla necessità di imparare a chiedere scusa; opzione importante perché il perdono può evitare la rottura definitiva. Emma mi ha stupito: in questo tempo social – in cui io sono rigorosamente asocial, vaccinato contro gli influencer – lei scrive: “Trovale tu le parole nelle onde del televisore o del mare.” Per poi aggiungere: “Se io avessi un telecomando non ti cambierei mai”. Un interessante recupero di questo oggetto dalla sua particolare bellezza, che fu inventato da Robert Adler nel 1956. E che incarna la paura che qualcuno cambi canale che accomuna tutti noi che facciamo tv. Emma invece lo invoca, quindi ritengo che il suo uomo sia assimilabile a un televisore e mi chiedo quanti canali abbia. Ma poi torna social e ‘lascia un messaggio’. Intensa l’ammissione contenuta nella frase: “Tu già lo sai è colpa mia se adesso siamo in bilico/ Ma è colpa tua hai gli occhi che mi uccidono”. Mi ricorda Milva e la sua: ‘Una storia inventata’ scritta da Franco Battiato nel 1989, che similmente recitava: ‘Certamente ho sbagliato io Spesse volte avevi torto tu La verità è oramai nel vento’ E’ bello trovare questa consonanza, in parte anche fisica, tra lei e Emma. Alla fine l’apnea è spiegata: “Non mi piace niente ma tu mi togli il respiro”. Insomma, di certo il rapporto è in crisi e va rivisto: “Dimmi dimmi dimmi se ti va ti fare tutto con me, dimmi che rimani tutto quanto il weekend”. Se lui rimarrà, per questa storia c’è ancora una speranza.
Fiorella Mannoia è in gara con ‘Mariposa’ (di Cheope - F. Mannoia - C. Di Francesco - F. Abbate - M. Cerri - C. Di Francesco).
Questa canzone, firmata anche da Cheope, potrebbe vincere. L’inizio è fenomenale: “Sono una strega in cima al rogo”. Si parla della donna, se ne fa un dipinto, anzi un mosaico con tante tessere che riproducono i modi in cui è stata vissuta dalla società fino ad oggi, a partire dai processi per stregoneria. Seconda frase: “Una farfalla che imbraccia il fucile”, una definizione estrema, ma ben distante dal riferimento alla ‘calibro 9’ dei Bnkr44: il fatto che una farfalla non possa in alcun modo imbracciare un fucile la rende infatti provocazione accettabile. E ancora: “Una metà sono l’intero” , e poi: “Un grido nel silenzio che si perde nell’universo”. Sono parole ben scritte e ben posizionate che nel loro portato richiamano quel movimento femminile - definizione che mi piace più di femminista - che ha caratterizzata la storia dell’inizio del 900, per poi tornare pressante nel secondo dopoguerra e portare infine alla conquista di tanti sacrosanti diritti. Ricordo con piacere un successo di Bennato, ‘Fata’ contenuto in “Burattino sena fili”, che esprimeva concetti simili (“C’è chi ti urla che sei bella, che sei una fata, sei una stella poi ti fa schiava, però no chiamarlo amore non si può”). Ma d’altronde la stessa Mannoia non è nuova al parlare al femminile di femminile: nel 1987 vinse il Premio della Critica con ‘Quello che le donne non dicono”. Merita molto il finale di ‘Mariposa’: “Mi chiamano con tutti i nomi tutti quelli che mi hanno dato/ E per sempre sarò libera e orgogliosa canto”. Si avverte la voglia di voltare pagina e l’importanza del rispetto per la donna: mi auguro il successo di questo brano.
Infine Fred De Palma con ‘Il cielo non ci vuole’ (di J. Ettorre - F. Palana - J. Boverod - J. Ettorre).
Qui si parte tornando al bacio, ma senza lingua: “Mi hai dato un bacio sopra la bocca come se fosse stata davvero l’ultima volta”. Il verso descrive bene il concetto di relazione finita, ma nei seguenti si comprende che il desiderio è farla continuare. Ma io ripeto: se è finita non può continuare, quando le cose sono rattoppate non hanno futuro.
C’è molto di autobiografico evidentemente, desideri di catarsi e purificazione si avvertono al verso: “Vorrei cancellare ogni frase di quello che scrivo.” Ma allora non lo scrivere, dico io: adesso c’è anche il tasto ‘delete’. Un bel tacer non fu mai scritto è frase proverbiale. Alla frase: “Lasciami cadere nel vuoto per sentirmi vivo”, torna il quesito metafisico già sollevato da ‘Vai’ di Alfa; se ti lasci cadere nel vuoto ho difficoltà a credere che ti sentirai vivo, se non per pochi secondi. Torniamo ora ad uno dei versi iniziali:” Una storia finisce se non c’è nessuno che la racconta”. La doppia negazione afferma. Si vuol quindi dire che la storia finisce se qualcuno non la racconta. Però qui balza agli occhi un tema storico: da sempre la letteratura sostiene il contrario. L’amore va tenuto segreto, deve riguardare solo i due amanti. Ad esempio, ecco Catullo: “Tu dammi mille baci e quindi cento, poi dammene altri mille e quindi cento, poi senza smettere altri mille, poi cento; e quando poi saranno mille e mille nasconderemo il loro vero numero, che non getti il malocchio l’invidioso.” Si dice insomma che l’amore resta forte e salvo se viene protetto. Nel Medioevo lo affermava anche Andrea Cappellano, autore del “De amore”. C’è poi Torquato Tasso, che in ‘Stanotte l’amore è muto’ scrive: “e noi tegniamo ascose le dolcezze amorose”, ed infine il Prevert de ‘I ragazzi che si amano’, i quali: “non ci sono per nessuno/loro son ben altrove ben più lontano della notte”. Quindi, con affetto, suggerisco a Fred De Palma la lettura della grande letteratura d’amore.