AGI - Il primo live di un tour di Vasco Rossi è come un capodanno cinese in Italia, un appuntamento fondamentale per una piccola grande comunità, un rito, un momento che si trasforma nel momento, quello supremo, più importante, perché, a differenza di tante feste religiose incentrate sul ricordo, la rievocazione, Vasco c’è, è qui con noi, anzi, meglio dire con loro, per non renderci colpevoli di alcuna appropriazione, debita o non. Siamo stati alla prima data del tour di Vasco Rossi allo Stadio Dall’Ara di Bologna.
Una particolarità dei concerti di Vasco Rossi è che, esattamente come nei riti, tu in linea di massima sai già cosa ti aspetti. Quando poi accade, come il miracolo di San Gennaro, non capisci bene, non te ne rendi conto, non ci puoi credere veramente che quello che sta succedendo sta davvero succedendo, però è così che va e così lo raccontiamo.
Vasco Rossi con la sua sola presenza, anche sospetta, squarcia un’ansia trattenuta per mesi, l’aria si fa morbida, la senti scivolarti nei polmoni come budino, è leggera, fila via liscia, ma la senti, la percepisci chiara. Ti piace. Uno dei nostri momenti preferiti sono le chiacchiere con il pubblico prima che il concerto abbia inizio, è una specie di plus che ci concediamo regolarmente; c’è l’operaio che si è indebitato per pagarsi biglietti, viaggi e hotel per tutte le date del tour, c’è chi ha percorso centinaia di chilometri per esserci, c’è chi ha assistito a oltre 200 concerti di Vasco e ti racconta, con gli occhi sull’orlo della commozione, di quella volta che lo ha incontrato e gli ha detto tutto quello che gli doveva dire, ma non lo può dire a te, perché è una cosa tra lui e Vasco.
C’è il papà che porta per la prima volta il figlioletto di appena 6 anni al concerto di Vasco, è piazzato proprio davanti a noi, lo tiene sulle spalle e insieme volano sulle note di “Stendimi”, il brano con cui Vasco ha scelto di aprire questo tour, una ballata, come non accadeva dal 1998; e c’è anche chi è disperato perché non è riuscito a convincere in nessun modo la figlia diciassettenne a venire con lui, chi insomma sente che quella sorta di credo intimo, che ci tiene vada oltre lui per quanto forte, fondamentale, lo sente, sta evaporando, magari appresso a qualche ragazzino che fa la trap, e non riesce a farsene una ragione.
C’è chi lo ha visto la prima volta a Busto Arsizio nell’86, chi a Udine nell’82 (“Non lo conosceva nessuno – aggiunge – eravamo trenta!”), una ragazza di Siracusa una volta è stata presa in braccio da Vasco e portata sul palco, e lì, tra le braccia di quella divinità così semplice, ci è rimasta per tutta “Albachiara”; un signore accanto a lei una volta, racconta, ci ha anche cenato con Vasco, e l’ultima volta che si sono visti Vasco l’ha riconosciuto e gli ha chiesto come mai fosse così abbronzato, cosa che ancora gli illumina il volto. E tutti vogliono raccontarti la loro storia, la loro storia con Vasco, tutti ne hanno una, in alcune Vasco c’è e in altre no, ma c’è la sua musica. Fa lo stesso.
Quasi come se percepisse il momento in cui la tensione si fa insostenibile, Vasco appare. Non sale sul palco, non entra in scena, appare. La scaletta di questo tour è del tutto inedita, Vasco utilizza il suono che da alle nuove canzoni per rispolverare quelle vecchie, magari perfino sconosciute ai più, ma non esistono canzoni sconosciute ai concerti di Vasco, perché il pubblico di Vasco è un’altra cosa; questo lui lo sa e lo utilizza non solo per giocarci ma anche per offrire uno show che sia il più accattivante possibile.
Anche perché ai concerti di Vasco accade qualcosa di effettivamente magico: capisci cose delle sue canzoni delle quali non avevi idea. È come se i brani prendessero improvvisamente vita attraverso gesti, ammiccamenti, tu ascolti una canzone che ascolti fin da bambino, la sai a memoria, fa parte della tua storia, qualche volta l’hai anche perfino utilizzata, per esprimere la tua rabbia, per dare un volto alla tua ribellione, per dichiarare uno starnuto d’amore, e scopri delle cose che non sapevi, ti ritrovi a pensare "Ah, ecco cosa intendeva"; e hai capito tutto da uno sguardo, dagli occhi azzurri, piccoli, che si spalancano come fari, come il sipario di uno spettacolo che non si è mai visto. Ed effettivamente non si è mai visto.
Non si è mai visto un rapporto così mistico tra un cantautore e il proprio pubblico, un qualcosa che va oltre il fanatismo, va oltre l'ammirazione o la gratitudine per le sue opere e per quanto hanno inciso sulla tua vita. È come una fede cieca in qualcosa che non sai nemmeno spiegare, ma che ti risolleva l'anima, che ti fa sentire in qualche modo capito, come vivere attraverso il suo riscatto.
La musica sua che non è mai stata solo sua; perché le canzoni di Vasco Rossi sono talmente enormi che vanno oltre Vasco Rossi e nemmeno Vasco Rossi può permettersi di riappropriarsene se in quel preciso istante in cui le hai ascoltate qualcosa, a sua insaputa, è successa, un’improvvisa impennata della vita, una pacca sulla spalla, una manna dal cielo, un attimo di pace in questa guerriglia di posto che viviamo. Nessun problema, Vasco sa essere rock, presente a se stesso, presente per tutti, e allo stesso tempo etereo. Sempre profondo, mai alto, mai irraggiungibile, e chi crede che questo in realtà sia il suo limite, come se tra lui e il grande cantautorato italiano ci sia un qualche gradino mai davvero raggiunto, è evidente che non è mai stato ad un concerto di Vasco.
Perché Vasco colma un vuoto, quello di chi in certa poesia non si riconosce, e chi ci si specchia in un certo cantautorato impegnato, forse anche per guardarsi più bello di com’è, non ha davvero alcun diritto di considerarsi in qualche modo migliore. Vasco declina in musica il romanticismo di un popolo che durante tutto il resto dell'anno deve camuffarlo, per far fronte alla durezza della vita, i loro volti sono quasi tutti mangiati dalla stanchezza, dal sacrificio, e poi arrivato giugno, arrivato il tour di Vasco, quel romanticismo si stiracchia libero, incontenibile, iracondo nella propria gioia, come se la tristezza, la solitudine, che solcano quelle rughe, si decomponessero davanti ai tuoi occhi.
È questo probabilmente che rende l’atmosfera assolutamente vibrante e familiare, come una mattina di Natale, quei momenti che vorresti bloccare perché non sono solo felici, ma carichi di un’energia che avresti voglia di abbracciare. La musica portata alla propria essenza più semplice e diretta, un confronto fraterno e pari, come ci si sente pari con Dio quando si prega; i concerti di Vasco sono così. Chi se li perde, non sa cosa si perde.