AGI - “Sei il figlio che avrei voluto”. È la preziosa dichiarazione d’affetto che, accompagnata con una sdrammatizzante “scafetta” - così a Roma viene definito il buffetto sulla guancia - Alberto Sordi rivolse, commuovendolo, a Francesco Rutelli, l’allora sindaco di Roma che il 15 giugno del 2000, nel giorno dell’ottantesimo compleanno dell’attore, lo nominò “sindaco per un giorno”.
Una sorta di adozione affettiva che Rutelli, oggi presidente dell’Anica, ha sempre tenuto per sé e che ora alla vigilia del ventesimo anniversario della scomparsa dell’attore romano, morto il 24 febbraio del 2003, svela all’AGI.
“Sono passati molti anni, credo sia arrivato il momento di dirlo - chiarisce - non l’avrei mai fatto se la dichiarazione paterna fosse rimasta soltanto tra noi due, ma tempo fa mi venne a trovare una storica segretaria di Sordi e mi chiarì che poco prima di morire Alberto aveva detto anche a lei che mi aveva voluto bene come a un figlio”.
Una parentela di fatto che Rutelli esterna, precisa “per spazzare via con più forza la diceria che lo bollava come avaro”, fake news pioniera che ha sempre accompagnato Sordi: “Niente di più falso - chiarisce - era dotato di un’autentica generosità, mai retorica e le prove sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dal suo contribuito al Campus biomedico. Donò un un terreno edificabile del valore commerciale di parecchi miliardi di lire, per destinarlo al sostegno degli anziani fragili”.
L’attore e il sindaco, il padre e il figlio d’elezione, trentaquattro anni di differenza, si sono frequentati parecchio, racconta Rutelli, nell’ultimo pezzo di vita di Sordi: “Festeggiamo insieme i nostri compleanni, io sono nato il 14 giugno e lui il 15 - racconta – la nomina a sindaco di Roma per un giorno gliela anticipai come “regalo speciale per i suoi ottanta anni, una sorpresa” proprio a cena, senza svelare completamente l’idea”.
Quando fu informato per filo e per segno Sordi fu entusiasta “indossò la fascia tricolore come se l’avesse sempre portata” e fu un successone. In Campidoglio arrivarono tutti a omaggiarlo, dall’allora premier Giuliano Amato a Silvio Berlusconi”.
Ma soprattutto, ricorda Rutelli fu sommerso da un’ondata di affetto, da attenzioni d’amore infinite concentrate in un solo giorno. “A Villa Gordiani poi, in uno degli incontri con i romani organizzato in quella giornata, fece un discorso al popolo con un appello a eliminare le auto da Roma, uno dei suoi cavalli di battaglia. Mi diceva sempre “Francesco, devi eliminare le automobili dal centro”. Gli spiegavo che avevamo pedonalizzato decine di piazze, dal Pantheon a Piazza del Popolo, riportato il tram a Largo Argentina, lui mi sorrideva e mi diceva "ma non basta”, con l'immancabile scafetta sulla guancia.
Ma quali erano invece le confidenze da padre a figlio eletto? “Mi parlava molto di sé, anche delle sue storie affettive, ma quelle non le racconterò mai”. Rutelli sottolinea però un importante tratto genetico di romanità che accomunava l’uomo nato a Trastevere con il sindaco che viveva all’Eur (“al paesello”, scherzava Sordi): “Alberto aveva capito meglio di me l’unicità di Roma, una città che non è riducibile ai suoi periodi di ascesa o di declino ma che è universale ed eterna proprio per questo”.