AGI - Sono tanti 7591 giorni. Quasi ventuno anni. E possono diventare un incubo interminabile se trascorsi in carcere da innocente, come è successo ad Angelo Massaro, oggi 56 anni, finito dietro le sbarre nel ‘95 per colpa di una consonante, di un’intercettazione telefonica capita male e interpretata peggio: una parola in dialetto pronunciata durante una normale telefonata mattutina alla moglie, è diventata la prova regina dell’accusa di omicidio pur in assenza del cadavere, dell’arma e del movente. Lui, di un paesino vicino Taranto, riferendosi alla pala meccanica che trasportava diceva “muers” che in pugliese sta per “oggetto ingombrante”, chi era all’ascolto ha trascritto “muert”, cioè morto.
La storia di Angelo condannato ingiustamente a 24 anni per la morte di un amico di famiglia, Lorenzo Fersurella, padrino dei figli e compare d’anello, la sua odissea e quella del processo di revisione che solo dopo 21 anni anni di carcere, riconoscendolo innocente, è riuscito a mettere fine a una clamorosa ingiustizia è raccontata da ‘Peso morto’ il docufilm che presentato in anteprima mondiale a Milano il 3 ottobre sarà a Matera e quindi nel resto d’Italia.
Con le emozioni, le cicatrici indelebili nella mente e nel cuore del protagonista e i momenti chiave di una sconvolgente vicenda umana. Lo ha realizzato l’associazione Errorigiudiziari.com di Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi anche autori della sceneggiatura con il regista Francesco Del Grosso che aveva già diretto ‘Non voltarti indietro’, il docufilm sul fenomeno delle ingiuste detenzioni in Italia, menzione speciale ai Nastri d’Argento 2017, con il quale Errorigiudiziari.com aveva portato per la prima volta sul grande schermo il tema degli innocenti in carcere.
Se il primo docufilm puntava sul racconto corale di chi ha ingiustamente passato mesi o anni in cella, ‘Peso morto’ ruota su una storia unica e straziante che coinvolge un’intera famiglia: Massaro aveva 29 anni quando fu arrestato con l’accusa di aver ucciso Fersurella, una moglie e due figli, uno di due anni e uno nato da appena 45 giorni, che non ha visto crescere: “E’ stata condannata anche la mia famiglia e non per colpa mia” accusa oggi Massaro “e sto ancora aspettando le scuse di chi ha indagato su di me e di chi mi ha condannato a ventiquattro anni di carcere solo per un'intercettazione telefonica. È inaccettabile vedersi rubare un pezzo di vita lungo 21 anni senza che nessuno abbia mai pagato per questo colossale errore giudiziario”.
Colpa, appunto, di una consonante mal interpretata e di un processo che ha surrealmente ruotato intorno a quella intercettazione. Il telefono di Massaro era stato messo sotto controllo insieme a quello di altri familiari e amici dell’uomo di cui era stata rinvenuta la macchina carbonizzata (ma né il corpo né l’arma del delitto sono stati mai ritrovati).
“La prima volta che incontrammo Massaro era tornato a essere un uomo libero da pochi giorni”, raccontano all’AGI Lattanzi e Maimone. “Si presentò a noi con due borsoni pieni di carte, atti giudiziari, codici e quaderni scritti durante la lunga carcerazione. Ci travolse con la sua voglia di raccontare, di far sapere quello che aveva passato in quasi la metà della sua vita. Capimmo subito che ciò di cui era stato involontario protagonista era uno degli errori giudiziari più gravi della storia repubblicana. Per questo, alla fine di quella prima giornata passata insieme, gli facemmo una promessa: la sua storia sarebbe diventata un docufilm. E ora, cinque anni dopo quell'incontro, siamo orgogliosi di aver mantenuto quell’impegno”.
In ‘Peso morto’ prodotto da Black Rock Film in collaborazione con Errorigiudiziari.com si rivive l’odissea umana e giudiziaria di Angelo Massaro attraverso un viaggio fisico ed emozionale nei luoghi che hanno fatto da cornice alla sua ingiusta detenzione, al fianco di figure chiave della sua vicenda: non solo familiari e amici, ma anche il cappellano del carcere, lo psicologo, i compagni di cella, i docenti universitari con cui sostenne gli esami della facoltà di Giurisprudenza cui si era iscritto durante la detenzione e che lo chiamano oggi a portare la sua testimonianza agli studenti. C’è anche la direttrice di una delle cinque carceri in cui è stato detenuto. “Nel documentario abbiamo pensato di farlo parlare proprio con lei, che inizialmente lo accolse con grande diffidenza e poi cominciò a capire che forse poteva essere davvero innocente”.