AGI - Il mondo della ristorazione gourmet nell’immaginario comune è accompagnato da una serie di preconcetti spesso totalmente fuorvianti. “Si mangia poco e si paga tanto”, “Queste cose posso rifarle pure io a casa”, “Pago centinaia di euro per mangiare cozze e Nutella!”…tutti pensieri che niente hanno a che vedere con la significativa esperienza della cena in un ristorante in cui il gusto si unisce alla ricerca, alla valorizzazione dei prodotti del territorio, della tradizione, una sorta di scienza esatta applicata al cibo.
Negli ultimi dieci anni Masterchef ha allargato gli orizzonti del pubblico italiano sull’approccio mentale alla ristorazione di un certo tipo, ma ancora non basta; così abbiamo deciso di incontrare dei rinomati chef stellati per smontare qualche falso mito riguardo la loro attività. Siamo partiti da Marcello Trentini, chef di Magorabin, ristorante stellato Michelin dal 2013, a Torino.
Com’è la giornata di uno chef stellato?
Lunghissima, io comincio veramente presto la mattina. Mediamente tra le 5:30 e le 05:45 sono già sveglio e comincio a guardare la mail, a rispondere ai messaggi arrivati la sera prima e fare la programmazione. E finisce abbastanza tardi, anche in funzione di com’è l’andamento della serata. Adesso mi prendo la libertà di finire il mio servizio un pochino prima, nel senso che saluto le persone e torno a casa, perché ho una brigata che si occupa di mandare avanti tutto il servizio, però si, è molto molto lunga.
L’unica grande conquista degli ultimi tre anni è che, cascasse il mondo, mi ritaglio 2/3 ore nel pomeriggio per dedicarmi allo sport, vado in palestra e tutti i giorni mi faccio almeno 14 km di running. Poi mentre corro telefono, organizzo cose, però è il mio momento dedicato a me stesso. Vado a letto a mezzanotte, rispetto a una volta, dove mi vantavo di dormire mai più di 2/3 ore a notte, adesso sono passato a 6. Una grande conquista dei 50 anni dormire 6 ore.
Quali sono i sacrifici più duri che deve affrontare uno chef?
Non li considero sacrifici, io dico sempre questo: “Sono un uomo molto fortunato perché ho fatto della mia passione, del mio hobby, il mio lavoro”, e di conseguenza non è più un lavoro ma è la mia vita. A Napoli il lavoro è “la fatica”, per me non è una fatica, ho il momento di stress ma non è una fatica, perché è la mia vita, non saprei fare nient’altro e non vorrei fare nient’altro. Ci sono dei momenti in cui crolli di stanchezza, ma non è una fatica in senso stretto del termine.
Si ricorda il momento in cui ha capito che aveva un particolare talento per questo mestiere?
Facendo il servizio civile a 18 anni, e non sapevo cosa avrei fatto nella mia vita; sono entrato in questo circolo dove mi aveva mandato l’Arci, mi hanno chiesto cosa sapessi fare e ho risposto “Niente, però siccome cucino a livello amatoriale da sempre, se volete posso pelare le patate, quello lo so fare”. Sono arrivato in cucina e in pochi mesi ero già più organizzato del cuoco che era lì da 30 anni, e non mi pesava nemmeno fare il doppio servizio, allora ho cominciato a capire che quella forse poteva essere la mia vita.
La grande differenza tra un cuoco amatoriale e un professionista è la capacità organizzativa, il cuoco amatoriale potrà fare delle meraviglie pazzesche se invita sei persone a cena ed è tutto organizzato nel minimo dettaglio, il grande professionista con 200 coperti che ordinano tutti alla carta non perde mai di vista il pallino del gioco, è un regista il grande cuoco, è Pirlo. E non va mai “in merda”, che è un termine tecnico per raccontare quando uno non sa più cosa ca…o deve fare, perché ti chiedono 74 carbonare, 12 amatriciane, 11 risotti alla pescatora e te la vivi bene, come se fossi in un’altra dimensione. Lo chef professionista è uno che non perde mai la calma e ha sempre il punto della situazione sotto controllo. In più ci vuole un talento naturale, il palato, che quello lo puoi allenare finchè vuoi ma è un dono divino. È il piede di Pirlo, l’orecchio assoluto.
Si ricorda il suo primo piatto degno di uno stellato?
La vellutata di fave con stracciatella di burrata e caviale di trota. Il primo piatto che secondo me era da stella Michelin e soprattutto era autorale, era mio; prima facevo piatti di altri, copiavo per imparare, leggevo libri e copiavo.
Le hanno mai rubato un piatto?
In continuazione, migliaia di volte. Una volta mi inc….avo moltissimo, ora non me ne frega più niente, perché, citando Coco Chanel, “L’imitazione è la più alta forma di adulazione”. Poi soprattutto perché se fai lingua, gamberi e mandarino dieci anni dopo di me a Trento, puoi ingannare quattro clienti, ma il resto del mondo lo sa che l’ho fatto io. Ma è irrilevante, anche perché io vado talmente veloce, la mia cucina si modifica in continuazione, ergo quello che facevo 15 anni fa o solo l’anno scorso, oggi è già evoluto.
Qual è il suo ingrediente preferito?
La pazienza.
C’è un ingrediente che invece non sopporta?
I lamponi e la melanzana, ma i lamponi in particolare, la melanzana posso ancora tollerarla. Non ce la posso fare, da piccolo era rachitico, spesso era ammalato e lo sciroppo che mi dava mia madre sapeva di lampone, ho ancora in testa la sensazione di questo sciroppo denso, bianco, terrificante, che mi scartavetrava la gola, che sembrava di bere olio di ricino. Io odio il gusto del lampone, mi fa veramente schifo.
Come nasce una ricetta?
In due modi diversi: può nascere come una composizione musicale, quindi mi siedo e comincio a scriverla, in base a idee, gusti, suggestioni, la costruisco a tavolino e poi vado alla ricerca della materia prima necessaria a realizzarla. Oppure rimango folgorato dalla materia prima e ci lavoro sopra.
Cosa risponde a chi dice che nei ristoranti gourmet si paga tanto e si mangia poco?
Io faccio una distinzione tra caro e costoso. Una gomma da masticare è cara, perché se tu metti in bocca una cosa che ti è costata due euro e dieci, ma poi guardi quanto pesa e scopri che costa 600 euro al kg, quello è caro. Se tu compri una Pagani, che è un’auto fatta artigianalmente da un argentino folle a Modena, fatta tutta in fibra di carbonio e che sviluppa 1500 cavalli, e la paghi un milione di euro, è costosa.
Un ristorante stellato è costoso, mi rendo che non è per tutti, ma bisogna considerare le materie prime, che incubano più del 20%, e anche il lusso che ci sta intorno, compreso il fatto che tu hai mediamente due cuochi e due camerieri per ogni cliente, che sono stipendi da pagare. Più tutto il resto, una cantina, che è un capitale immobilizzato, i bicchieri di cristallo, le posate d’argento, ma quello è lo sport che abbiamo deciso di giocare e ne rispettiamo le regole. Per quanto riguarda il mangiare poco, io posso parlare per me; secondo me, e parlo da gourmet appassionato di cibo, al Magorabin è impossibile pensare di uscire con l’appetito.
Onestamente in tanti anni di scorribande gastronomiche mi è anche capitato in alcune occasioni di uscire con la fame; mediamente è no, ma non posso dire che è 100% no, ma mi è capitato di uscire da ristoranti dove avevo speso cifre molto importanti, molto più importanti di quelle che si spendono da me, e avere ancora appetito. All’estero succede molto più che in Italia e in Francia, dove di media si mangia molto di più; ma questa cosa qua del mangiare poco mediamente la dicono le persone ignoranti che non hanno mai messo piede in un ristorante stellato, sui social vedono la fotografia del piatto gigante e la porzione piccola e non sanno che una degustazione è fatta da 230 cose. Però chissenefrega, è come cercare di spiegare lo stile dorico, ionico e corinzio a uno che ha la terza elementare, lascia il tempo che trova.
Come si fa a seguire l'attività di uno chef se non si hanno le possibilità economiche di cenare in ristoranti stellati?
Facciamo una scissione: chi è povero e chi non lo è. Uno che non riesce ad arrivare alla fine del mese è povero, quelli non possono accedere alla ristorazione ma non possono accedere nemmeno alla sussistenza minima. Io, sentire in più di un’occasione, amici dei miei genitori per esempio, medici in pensione, architetti, gente che ha venduto polizze assicurative per 45 anni, che mi dicono “è immorale spendere 150 euro per un menù degustazione” e poi hanno un paio di scarpe da 500 euro, di nuovo rientriamo nella categoria: discussione che non mi interessa. Sono scelte, tu puoi decidere di mangiare pane e salame tutti i giorni ma avere la 12 metri a Montecarlo, va benissimo, ognuno fa quello che vuole con i suoi soldi, ma se ti compri un paio di scarpe da 500 euro puoi spenderne 150 in un ristorante.
I cooking show sono sempre esistiti ma Masterchef ha reso la vita dietro i fornelli pura drammaturgia…in che modo questo programma televisivo ha influito nella percezione che gli italiani hanno della cucina gourmet?
Ha influito tantissimo. Masterchef ha contribuito in maniera forte a sdoganare la figura dello chef e far capire che nella storia ci sono stati dei Marco Pierre White, dei Gualtiero Marchesi, che hanno fatto veramente della cultura attraverso il cibo, quindi il mondo un giorno si è svegliato scoprendo che esistevano dei ristoranti fine dining e che erano diversi rispetto ad andare a mangiare la pizza sotto casa o pollo e patatine la domenica all’agriturismo. Non per tutti, ma per moltissimi, anche i meno avulsi alla frequentazione dei luoghi di lusso, è diventato più consueto decidere di fare ciò che in Francia si fa dai primi del ‘900, ovvero che anche l’operaio, quindi una categoria con uno stipendio abbastanza risicato, mette da parte i soldi per gli eventi importanti, come il compleanno della moglie, un anniversario o il compleanno della figlia, per andare in pellegrinaggio dai vari chef stellati, in Francia è una cosa diffusissima. In Italia, che siamo il paese delle tovaglie a quadretti, questa cosa era ancora da far capire ed è venuta fuori grazie a Masterchef. Poi c’è stato il rovescio della medaglia, ovvero che nell’arco degli anni tutti sono diventati degli chef e dei critici gastronomici, tu puoi essere anche il commercialista o l’avvocato più bravo del mondo, ma il fatto che mangi tre pasti al giorno da 50 anni non ti autorizza ad avere le competenze di un professionista. Io non ho assolutamente in antipatia quelli che escono da Masterchef, Valerio Braschi, che ha vinto Masterchef ed è diventato chef del “1972” di Roma, per me è un talento mostruoso, è di una bravura incredibile e gli voglio bene. Con Spyros, uno dei primi vincitori, ci scriviamo spesso; poi io sono stato invitato spesso a Masterchef, ho fatto dai daily, delle comparsate, non ho niente contro Masterchef, se non che forse è andato troppo lungo, ma sicuramente gli autori avranno dei numeri sottomano e fin quando continuano a macinare fatturato continueranno.
Chi è il cliente perfetto?
Citando Vinicio Capossela, il cliente perfetto è quello che “Offre, paga a tutti e fa il brillante”
Il suo piatto di cui è maggiormente soddisfatto
No, non posso risponderti, sarebbero troppi. Io amo visceralmente la quasi totalità dei miei piatti, non ho un preferito, tutti i miei piatti e i miei menù sono talmente un parto, frutto di fatiche indicibili, pensieri, ripensamenti, elucubrazioni, sacrifici mentali, che non posso scegliere.
C’è un piatto del quale invece ti vergogni?
Tantissimi, riguardando alcuni miei vecchi piatti mi domando come ho potuto fare cose del genere. Io odio con tutte le mie forze alcune mie esplorazioni del passato.
Il complimento che l’ha reso più felice
Uno è stato quando un ospite mi ha detto “Lei chef, fa una cucina surf and turf”, che sostanzialmente vuol dire “surfare sull’erba”, è un modo di dire americano di quando fai contaminazione, io non l’avevo mai sentito e mi ha emozionato. Ricordo quando è venuto a mangiare qui Henry Winkler, ovvero Fonzie, ed io sono arrivato al suo tavolo e gli ho detto “Che piacere maestro, lei ha reso gioiosi, ‘Happy Days’, i miei anni di gioventù” e lui mi ha guardato e mi ha detto “E lei mi ha reso gioioso il mio pranzo”. Bellissimo. Ma il complimento più bello che mi hanno fatto, e fortunatamente mi è capitato spesso, è: “Ho passato una serata bellissima”.
La persona che è stato più felice di averle fatto assaggiare un suo piatto (familiari e amici intimi esclusi)
Personaggi famosi ne abbiamo visti tanti, ricordo con emozione quando Michel Roux, chef con tre stelle Michelin francese ma trapiantato a Londra, alla fine della cena, io non sapevo nemmeno ci fosse, mi ha chiamato perché voleva fare una fotografia con me, aveva 86 anni, e ha voluto che gli regalassi la sua comanda; io gliel’ho portata e lui ci ha disegnato una faccia con un cappello e tre stelle, e mi ha detto “Merci”. Quella è stata una grande cosa. Però non è che il personaggio famoso valga di più del semplice operaio che mette da parte i soldi e sacrifica alcune spese per portare i figli a cena, questo è fondamentale che il mondo lo capisca.
Chi cucina a casa?
Io, ma anche la mia fidanzata, è molto brava. È una grandissima “sfoglina”, vive a Londra ed è la più grande artista di pasta fresca fatta a mano che io conosca sulla faccia della Terra. Però a casa cucino prevalentemente io, anche perché cucino cose molto semplici nel mio quotidiano.
Gli chef, tendenzialmente, anche se raccolgono la tradizione familiare, sono comunque persone che cucinano meglio delle proprie mamme, perlomeno per quel che riguarda la cucina gourmet. Si ricorda quando la sua famiglia, magari proprio chi l’ha avvicinata alla cucina, ha assaggiato per la prima volta un suo piatto stellato?
Mia madre è una grande fan della mia cucina, mio padre non lo ammetterà mai. Nonostante mi adori e mi stimi profondamente lui è un palato molto semplice e ama i gusti da trattoria. Anche se poi nel tempo ha avuto modo di apprezzare le cose che faccio, non è il suo mondo.
Il cibo spesso è legato ai ricordi, c'è un piatto che in questo senso la emoziona?
Non è uno solo, in generale io amo le cose profondamente semplici, mi fai un piatto di gnocchi al pesto e sono felicissimo, una cotoletta impanata bella golosa con una buona insalata di pomodori con un goccio di aceto e sono una persona felice.
Dove mangia fuori a cena uno chef stellato?
In tantissimi posti, io sono laico, posso andare dall’hamburger al kebab, dal sushi alle frattaglie, passando per il tre stelle Michelin fino all’osteria di mare che mi fa il pesce crudo. Tutto dipende da dove sei e quali aspettative hai, ho citato il kebab, per cui io vado matto, in tutta Torino ci saranno 10mila kebab, ma io trovo che buoni siano due.
Uno chef stellato si concede mai la serata cibo spazzatura?
Assolutamente si. Patatine e cuba libre guardando un film su Netflix, qualche sera fa ho preso una busta di nachos e una vaschetta di hummus alla paprika, bevendo una porcata alcolica ignorante. Poi, viaggiando molto per il mondo mi è capitato di mangiare cibo spazzatura, ma ad un livello di spazzatura che tu non puoi nemmeno immaginare.
Nella politica, nella musica e in tanti altri ambiti si sta rivelando fondamentale, in termini di comunicazione, il rapporto con i social, nella cucina invece?
È fondamentale, anche se in realtà me ne sto allontanando. Io sono stato uno dei primi in assoluto ad avere un profilo Facebook, almeno 15 anni fa, ho fatto comunicazione massiva per anni, adesso negli ultimi due anni ho molto molto rallentato. La mia nuova frontiera è l’assenza, io ho fatto questa scelta, ormai non esco nemmeno più dalla cucina.
Quale strada consiglierebbe per seguire le sue orme?
La pazienza. Ci vuole molta pazienza, molto spirito di sacrificio. È inutile che le nuove generazioni mi vengano a raccontare che non vogliono più stare in cucina venti ore al giorno, se vuoi diventare un grande devi farti il c…o. Solo che adesso siamo entrati nella fase del politically correct, “No, povero bambino”, “I sindacati”, “Nel nord Europa si lavora solo quattro giorni a settimana, 22 ore a settimana”….tutto bene, è vero, il mondo è cambiato, io sono stato uno dei primi ad eliminare dalle mie cucine il concetto dell’autoritarismo totale, il nonnismo dell’urlo, della “gordonramsata”, ma questo dieci anni fa, non l’altro ieri. “Si chef!” non è un c…o, pentoloni roventi nelle braccia, padellate nella schiena, 60 bancali di scampi sgusciati per punizione a mani nude dalle 6 del mattino alle 23 di sera con le mani che sanguinano, io le ho vissute tutte. Quello è sbagliato, ma anche fare il cocco di mamma è sbagliato, perché se vuoi diventare un bravo musicista devi stare lì a scorticarti le mani sulla chitarra venti ore al giorno.
Quando si raggiunge un tale livello, cosa sogna uno chef?
Di meno. Sogno di meno, di vivere una vita più tranquilla, di ottimizzare gli sbattimenti. “Less Is More” è veramente il concetto assoluto, voglio fare le cose fatte veramente bene, ma a quasi 51 anni voglio rallentare un po' e vivere meglio.