AGI - “Il compito dell’artista non è trovare risposte, ma già se poni un quesito in qualche modo indichi una strada”, con queste parole Enrico Ruggeri presenta all’AGI il suo “La rivoluzione”, un disco pieno di domande, un’analisi attenta, strutturata, musicalmente intellettuale, del mondo che ci circonda, attraverso gli occhi di Ruggeri uomo, certo, ma anche attraverso la sua visione di artista, protagonista della scena cantautorale italiana da oltre 40 anni; cosa che, tra l’altro gli permette di esprimersi con sicurezza sulla situazione della musica attuale: “Vedo una disperata voglia di piacere – dice - ma questa non è colpa di nessuno, è colpa di un mercato che è completamente cambiato. Quando io ho fatto il mio primo contratto era per cinque album, questo voleva dire che chi mi ha messo sotto contratto negli anni ’80 mi dava la possibilità di provare, di sbagliare, di non piacere subito, e questo naturalmente è capitato a tutti quelli della mia generazione, nessuno ha sfondato al primo colpo".
"Oggi – prosegue - chi fa canzoni spesso lo fa per piacere subito e questo naturalmente va a scapito della qualità nel tempo... se funziona il reggaeton e tu fai un pezzo reggaeton magari vai primo in classifica ma magari tra un anno non si ricordano più di te”.
“Siamo quello che siamo, siamo sempre schierati” canta Ruggeri nella title track dell’album, proprio perché appartenente lui a quella generazione di cantautori che, spesso volente o nolente, venivano tirati violentemente in mezzo al dibattito politico, altra abitudine ormai andata in disuso nel mondo della musica che ha perso proprio quella matrice politica e rivoluzionaria: “Oggi non scrivi quello che pensi tu, scrivi quello che speri venga riconosciuto anche dagli altri, quindi questo indebolisce la forza del pensiero” e anche la forza stessa della musica, quella musica che una volta era elemento fondamentale in ogni argomento della vita sociale di un paese: “La musica fermò la guerra in Vietnam, ai tempi le vere star erano i musicisti, non erano quelli di Instagram o i calciatori. John Lennon che si chiude in un albergo con Yoko Ono scrivendo “Date una chanche alla pace”, arrivavano da tutto il mondo per chiedergli un suo parere sulla guerra. Era un altro periodo storico in cui la musica cambiava veramente la società. Quando Bob Gendolf e Midge Ure organizzano il Live Aid il mondo si accorge che c’è una parte dell’umanità che sta morendo di fame”.
Allora non resta che chiedersi se la musica non si sia talmente consegnata nelle mani del mercato da risultare ad oggi decisamente troppo innocua: “Non ha più quella forza, perché oggi la musica viene fatta per avere consensi. Oggi la musica suggerisce delle riflessioni, addolcisce qualche coscienza, ma si rivolge ad un’elite dell’anima, perché poi c’è la massa che si ascolta il reggeaton con due parole spagnole a caso ed è contenta così”. Le classifiche infatti non lasciano molto spazio al cantautorato impegnato, quello più legato ai migliori prodotti della nostra tradizione: “Lo spazio c’è, a condizione che uno non abbia voglia di riempire uno stadio, ma l’arte non è fatta solo di questo, io quando ho cominciato a fare questo mestiere ho capito subito due cose: che non avrei mai riempito uno stadio e che non sarei mai scomparso. E questo mi ha aiutato, perché non sono mai andato in depressione e non ho mai fatto voli pindarici, ho sempre lavorato sul mio, è chiaro che mi rivolgo ad un’elite dell’anima, non faccio pezzi per piacere a più persone possibile, poi quando succede son contento naturalmente, ma non è quello il mio obiettivo lavorativo”.
“La rivoluzione” esce quando si intravede in maniera decisamente più concreta la fine delle restrizioni dovute all’emergenza Covid, restrizioni che hanno in particolar modo colpito il mondo della musica, per la prima volta, probabilmente troppo tardi, messo a confronto con quello delle istituzioni: “È evidente che c’è una totale non conoscenza della materia – spiega Ruggeri - io non faccio il carrozziere, se domani mi dici ‘puoi fare concerti a capienza totale’ io ho bisogno di lavorare dei mesi per organizzarli, non è che apro il negozio il giorno dopo. Per cui palesemente si ignora che vuol dire organizzare un concerto, fare un disco, cosa significa preparare un tour, allestire un palco, cosa significa per un ragazzo che suona in un club e guadagna 70 euro dover compilare il modulo Empals per una pensione che non vedrà mai, e invece di 70 euro portarsene a casa 40. Sono cose che nessuno sa – conclude - è come se io domani mi mettessi a fare delle leggi in materia di petrolio”.