AGI - Il podcast Audible Original “Da uno bravo”, confezionato dallo stand up comedian Saverio Raimondo, altro non è che la risposta alla domanda più convenzionale: “Come stai?”. Una domanda che, chiaramente, negli ultimi due anni ha assunto un significato molto più profondo; l’intento di Raimondo in questo caso però è quello di creare un cortocircuito derivante non solo dal suo essere comico ma soprattutto dal suo essere ipocondriaco.
Da questa scintilla scaturisce l’idea di 12 puntate di 30 minuti di questa esilarante medical-comedy. Scrittore, autore, conduttore, Saverio Raimondo non solo è uno dei principali artefici della prima vera scuola italiana di stand comedy, un’arte finalmente sbarcata con successo (e notevole ritardo) anche nel nostro paese, ma è uno dei pochi artisti che riesce a muoversi con estrema disinvoltura tra linguaggi e contesti diversi.
Come mai un podcast?
Per realizzare il mio sogno di ipocondriaco: fare un check-up completo. Vedendo che nessuno me lo regalava, né al compleanno né a Natale, ho pensato di farlo con Audible. Ho deciso di mettere a reddito questa mia ansia, questa mia ipocondria e, visto che ho 38 anni, non sono più un ragazzino, allora ho detto “Scopriamo come sto”, visto che tutti chiedono sempre “come stai?”. Invece che chiederlo a me stesso sono andato a chiederlo a chi meglio di me dovrebbe saperlo.
Come ti sei trovato con il linguaggio del podcast?
A me piace essere multipiattaforma, faccio televisione, scrivo libri, ho editoriali umoristici, faccio spettacolo dal vivo, ho fatto e faccio tanta radio; mi mancava il podcast, che è un supporto che io fruisco da ascoltatore, ma mi mancava ancora come fase espressiva. Ho sempre pensato che potesse in realtà interessarmi, che potessi farne anche più di uno, perché è un mezzo espressivo intimo in qualche modo, e a me piace l’intimità, anche nei miei spettacoli di stand up comedy cerco sempre di guardare negli occhi i miei spettatori, con il podcast cerco di parlargli nelle orecchie, di tradurre l’intimità dello sguardo con la mia voce. Poi, appunto, questa mia voce ultimamente è stata anche sfruttata cinematograficamente, vedi “Luca” della Pixar, allora ho pensato che potesse essere divertente dargli uno spazio, un respiro, proprio come quello del podcast, e l’idea di “Da uno bravo”, di questo check up, si prestava al podcast, sia per questa sua intimità, sia per il fatto che visto che senti ma non vedi ti permette di immaginare meglio certe cose. E poi perché il podcast ha un po' questa capacità di unire intrattenimento e un certo modo di informare, divulgare, e “Da Uno bravo” ha questa doppia anima, ci sono io che faccio lo spiritoso, ma accanto a me c’è sempre un medico, uno specialista.
Quindi ti sei trovato a tuo agio?
Si, moltissimo. Infatti spero proprio non sia il mio solo podcast, perché per quanto mi riguarda mi sono trovato benissimo, mi piacerebbe farne altri, sviluppare nuove idee, aspettando quello che sarà il responso, ma sono molto contento del risultato, è divertente, l’idea è efficace ed è sano recuperare quell’andare dal dottore pre pandemia, che è forse anche il modo più giusto di un essere umano qualunque di avvicinarsi alla medicina.
È difficile dare un taglio comico ad un contenuto di questo tipo, in un periodo in cui questo tema, proprio per usare una metafora medica, è irritato?
Guarda, proprio perché quando uno ha a che fare con delle zone irritate ci mette una pomata, l’umorismo ha questa funzione lenitiva, anche verso la malattia, la mortalità, che sono argomenti che ci riguardano tutti, perché prima o poi ci tocca. Mi sembra una necessità, ci fa bene, è una realtà che non possiamo non affrontare e l’umorismo ci permette di affrontare anche diversi argomenti, come la paura di avere determinati disturbi o malattie o disfunzioni; ecco, l’umorismo permette di parlarne in maniera non solo divertente ma anche, se vuoi, esorcizzante. E poi ci permette di sviluppare una sorta di anticorpo, per certi versi l’umorismo è un anticorpo, ci aiuta a riuscire a maneggiare anche quegli argomenti che scottano troppo.
Tra una pandemia ed una potenziale guerra mondiale, non è un periodo facile né per un ipocondriaco né per un comico…
L’ansia mi ha portato ad affrontare in maniera tutto sommato serena, nei limiti del possibile, sia la pandemia sia questo nuovo, ahinoi, scenario globale, perché essendo ansioso io lo so che certe cose succedono, mi stupisco quando non succedono! Quindi per quanto mi riguarda io sono preparato (e ride)
Hai già pensato a battute sulla terza guerra mondiale?
Mi ricordo perfettamente nel 2015, quando feci la prima stagione di Comedy Central, una delle prime puntate si intitolava proprio “La terza guerra mondiale”, quindi con sette anni di anticipo!
Per realizzare il podcast hai consultato medici e specialisti, cosa hai scoperto in più sull’aspetto psicologico della pandemia?
Da una parte ci ha portato tutti ad essere più sensibili in qualche modo, a prestare attenzione a certe piccole cose, mi ha sorpreso per esempio quando due anni fa c’è stato questo appello disperato per invitarci a lavarci le mani, cosa che io ho sempre fatto, è proprio l’abc dell’igiene personale e del vivere in società. In “Da uno bravo” si riparte a parlare di medicina dal punto di vista del famigerato rapporto medico-paziente.
I medici come reagiscono al confronto con un comico ipocondriaco?
La comicità nasce dalla mia ipocondria, da una parte ho trovato dei medici che sono stati al gioco, dotati di senso dell’umorismo, quindi hanno saputo mantenere tutta la loro professionalità e anche la capacità di divulgazione del loro sapere nonostante le mie battute; dall’altra li ho trovati molto preparati ad avere a che fare con gli ipocondriaci. Non sono abituati ad un comico, ma ipocondriaci ne vedono tanti e continueranno a vederli. Su questo punto di vista li ho trovati molto preparati, sono stati capaci di rassicurarmi, ma non come si assecondano i matti, ma darmi effettivamente modo di essere tranquillo quando potevo essere tranquillo ovviamente.
Ci sono diversi altri progetti in ballo nel tuo futuro, no?
Be diciamo che i progetti fortunatamente non mi mancano, ormai la mia voce da cartone animato è stata finalmente riconosciuta dal mondo dei cartoni animati, quindi a fine marzo uscirà “Troppo cattivi”, questo nuovo cartoon della DreamWorks e Universal, farò un personaggio sul quale non posso dire niente per non anticipare, ma è in linea con le mie emissioni vocali. Poi ho ripreso già da un bel po' con gli spettacoli dal vivo e ogni sera costruisco materiale nuovo, utilizzando il pubblico un po' come musa e un po' come cavia, torno a fare stand up comedy così come secondo me va fatta: club by club.
Finalmente la stand-up comedy arriva in Italia ed è riconosciuta come un’arte, vuol dire che non è solo una moda passeggera…
Si, non è una moda. La pandemia come sappiamo ha colpito diversi settori, lo spettacolo dal vivo in particolare ed in particolare la stand up. I luoghi più colpiti dalle restrizioni infatti sono stati i piccoli club, che non sono stati equiparati ai teatri, non hanno avuto accesso a determinati tipi di aiuti, quindi molti locali oggi non sono riusciti ad aprire e quelli che ce l’hanno fatta hanno molto da recuperare dopo questi due anni. La scena della stand up comedy in Italia è sana nel momento in cui ci sono tante voci, talenti diversi, è una scena reale e ricca. Una cosa importante è imparare a distribuirla questa stand up comedy, in modo tale che il pubblico possa fruirla nel migliore del modi, che non è secondo me il video su YouTube o sui social, che aiuta, contribuisce a far conoscere un nome; ma la stand up comedy è un genere di comicità dal vivo che si fruisce live e preferibilmente nei piccoli locali, quelli più promiscui. Quindi mi auguro davvero che si possa riprendere a far girare la stand up comedy nei locali.
A questo proposito, negli ultimi due anni il governo è un po' uscito allo scoperto riguardo la considerazione che ha per i lavoratori dello spettacolo…
In realtà questo è un discorso che personalmente mi ha sempre lasciato indifferente, nel momento in cui una persona decide di fare di mestiere l’artista, accetta di non avere alcun tipo di garanzia. Fare l’artista e rivendicare una specie di libertà artistica vuol dire prendere un rischio di impresa molto grosso ed affrontare le difficoltà senza rete, anche senza le istituzioni. Le istituzioni non ci sono mai state e non ci devono essere secondo me, devono poter agevolare, creare le condizioni, ma non vorrei sentirmi tutelato dalle istituzioni come artista. Da questo punto di vista non mi sono sentito trascurato, nel senso che lo sono sempre, ma va bene così.