“Medioego” è rap old style riportato ai nostri giorni, quel beat ipnotico che diventa un filo sottile da camminare sospesi nel vuoto e dove solo i più bravi si possono avventurare. Inoki è tra i più bravi, su questo non c’è dubbio, il suo tocco è sempre autorale, impegnato, non si butta via una nota, una virgola, un singulto, nulla. Non per niente in questi “nuovi” sei brani di questo “Nuovo Medioego”, che vanno ad arricchire un disco del quale già tanto e bene si è parlato, si mette accanto il fenomeno Nayt, più che un rapper, un artista della parola; e poi Ghemon, che ci mette sempre il suo tocco di raffinatezza, una raffinatezza che poi ci pensa Nerone a riportare sulla strada, tra le macerie, lì dove il rap dovrebbe nutrirsi. E poi la splendida “Sto strong” in featuring con Samuel, il non rapper in assoluto più capace di confrontarsi ed integrarsi con i rapper.
Sentivi il bisogno di arricchire “Medioego”?
Si, perché il disco è bello e completo ma gli mancavano un po' di collaborazioni e mancava ancora un po' di rabbia da buttare fuori. Perché poi mi sono successe un po' di sfighe personali dopo l’uscita del disco che mi avevano fatto venire voglia di scrivere ancora, di buttare ancora fuori della negatività attraverso la musica.
Una delle cose che colpisce di più del tuo fare musica è l’autenticità, ma attraverso la musica tu riesce ad esorcizzare i problemi dei quali scrivi?
Io l’ho sempre usata per trasmettere le emozioni che vivo, quando sono negative ovviamente diventa psicoterapia, esorcismo. Quando sono positive si creano altri tipi di allineamenti dei pianeti.
Ho letto che la scelta di “Onesto”, “Immortali” e “Duomo” l’hai fatta perché ritenevi fossero stati sottovalutati nella prima versione del disco…
Si erano stati sottovalutati, ma in un disco con tante canzoni è normale. Poi in un’epoca in cui è tutto usa e getta, quando fai un disco con dieci tracce se se ne ascoltano due è già un miracolo. Su un album di così tante tracce quelle lì meritavano un po' più di luce.
Effettivamente i dischi rap hanno sempre più tracce e quelli pop sempre meno, secondo te questa scelta è anche commerciale…?
Assolutamente no, perché dovresti farne poche e tutti singoli. Ma magari il rap è più intimo e le parole non bastano mai. Io poi vengo da una scuola in cui non si faceva un disco all’anno, se ne facevano meno, così uno metteva più cose possibili dentro e provava a farlo girare per più tempo possibile. Adesso che il rap sta diventando sempre più pop è normale che succeda questa cosa.
Tu senti una certa pressione dovendo affrontare un mercato che ti chiede di uscire con molta più frequenza?
No, mi ci trovo bene, è una cosa che volevo fare da tanto tempo e finalmente ho la struttura che me lo permette e sono contento di essere entrato in questo nuovo vortice, ne avevo bisogno.
La scelta dei featuring è molto interessante…
La scelta è stata casuale, è gente con la quale mi scrivevo, c’era scambio di rispetto a distanza e c’è stata l’occasione giusta quindi li ho coinvolti. Nella scena comunque, nonostante i vecchi dissapori nei vecchi dischi, c’è molto rispetto, non ho mai trovato muri davanti a me, chiunque chiamo si prende bene a lavorare con me.
Il tuo modo di fare rap old school dipende dalla tua indole artistica o senti anche un po' il dovere di mantenere in vita un modo di considerare la disciplina rap più adulto?
Io sono Inoki e c’ho messo trent’anni ad ottenere una certa identità, non mi sentirei a mio agio ad uscire dalla mia identità. Io sono io, sono quello e faccio quello. Vengo da quella scuola perché secondo me, per quanto possa cambiare il sound, il rap è quello, quello che so fare è quello, la gente si aspetta da me quello, perché io mi aspetto da me quello. Sperimentare poi posso sempre provare, ma quando poi mi accorgo che mi viene meglio fare Inoki, faccio Inoki.
L’impressione da fuori è che il rap ultimamente manchi un po' di contenuti…
Ma quelle sono le persone, ogni persona ha il suo contenuto e ogni persona è giusto che esprima quello che ha dentro. Io sto da tanti anni in mezzo ad una strada ed è normale che rappi quello, la mia vita ha dei contenuti ed io rappo i miei contenuti. Però un ragazzo di 18 anni, che comunque si affaccia adesso alla vita, è normale che non abbia molti contenuti. È che poi vengono spremuti ‘sti ragazzini, perché magari sono belli, magari fanno tendenza, magari giustamente i loro coetanei ci si rivedono ma devono viverla la vita prima di poterla raccontare.
Nella nuova generazione c’è sempre questo continuo riferimento alla strada, come se fosse un merito venire da un certo ambiente, ed è talmente osannato che spesso uno nemmeno ci crede…
Chi vive veramente la strada non ha ‘sta gran voglia di osannarla. Magari ha voglia di raccontarla in tutte le sue sfaccettature, ma perché la vive veramente. Il problema è che molti di questi ragazzi non la vivono veramente, magari raccontano un film, raccontano fantasie, ci sta, è una chiave di lettura anche quella, ma uno che la vive veramente se ne accorge.
Perché poi influisce sull’autenticità della loro musica…
Tutti i nodi vengono al pettine, la gente se ne accorge, infatti poi alla fine diventano quello che sono veramente, chi la strada non la vive veramente dopo un po' di anni viene fuori la vera essenza. Però la usano un po' tutti come rampa di lancio…meglio così. La cosa importante sarebbe riportare un po' di luce nella strada, riportare un po' di arte al disagio, un po' di dignità nella vita di strada…quello sarebbe importante.
Il pop dopo aver subito l’assalto del cantautorato indie e poi del rap e la trap, ha già inglobato tutti i questi generi…
C’è da dire che è un bene che si riuniscano tutti i generi musicali, per tanti anni sono stati divisi e a me fa piacere che sia un bel melting pot di generi e ci possa essere confronto, è una cosa che non può portare che bene. Ormai il rap è diventato nazional popolare, musica pop, poi sta a chi ascolta rivedersi in questo o quest’altro artista…
Ma chi arriva da un contesto old school non lo vede un po' come un tradimento vedere il rap in contesti tipo Sanremo o featuring con artisti smaccatamente pop…?
uesta cosa è stata sdoganata da anni, ci sono stati talmente tanti di quei tradimenti ed incesti che mi aspetto qualsiasi cosa. L’importante è che vengano fuori delle emozioni e venga fuori della bella musica. Ormai questo radicalismo non ce l’ho più, non ce l’ha più nessuno.
Com’è stato il ritorno al live?
È strano, come quando stai al buio per due anni e poi vedi la luce, ti bruciano un po' gli occhi all’inizio però poi piano piano credi che si possa ricominciare a vedere la luce e riabituarsi allo stare in giro, ai live e alla condivisione umana, che è molto importante.