AGI - Anche Totò, persino lui, rischierà un giorno o l’altro di finire “direttamente al macero per sempre”. Perché qui e là, ma soprattutto con la parodia dell’"ambasciatore del Catongo", si è conquistato a buon diritto un posto nella classifica della scorrettezza: “Razzismo, messa in ridicolo di lingua e usi di popoli africani, frecciatina ai ‘gialli’ asiatici, e smaccato riferimento al blackface operato dai costumisti, con tanto di guanti bianchi”. C’è tutto questo nel lungo siparietto di TotoTruffa ’62 (regia Camillo Mastrocinque, autori Castellano e Pipolo). E s'aggrava, la posizione del principe della risata, con il testo della canzone Malafemmena (Totò, Peppino e la malafemmina), o con le scorrettissime considerazioni sull’altro sesso confidate nella soffitta di Totò e le donne (correi Monicelli e Steno, 1952).
È il solo? Macché, magari. Le “pizze in faccia” di Alberto Sordi nel cult Amore mio aiutami del ’69, con quel pestaggio per gelosia della bionda consorte Monica Vitti invocano il rogo della pellicola. Se non bastasse, il recidivo sessismo di Albertone si ripropone in Io e Caterina del 1980, con il protagonista che compra una cameriera robot per rimpiazzare la moglie, perché “le donne ormai le faccende domestiche non vogliono farle più”.
Cosa accadrebbe al cinema italiano se la cancel culture, che ha già artigliato i cartoni della Disney e Via col vento, trovasse altrettanto respiro (e lo troverà) qui da noi? Una simulazione, con la puntigliosa elencazione dei titoli “scorretti” sotto uno o più profili, l’ha fatta Alessandro Chetta, giornalista e videomaker, nelle 204 pagine del saggio Cancel Cinema. I film italiani alla prova della neocensura (Aras Edizioni, 18 euro). Impressiona per ampiezza, e neppure è esaustivo perché sarebbe impossibile, l’elenco dei titoli “imputati” a fine libro: una filmografia che non risparmia il cinema d’autore, dalla ‘a’ di Accattone, colpevole Pier Paolo Pasolini, alla “enne” di Novecento e Nuovo Cinema Paradiso (mannaggia a Bertolucci e Tornatore), alla “u” del capolavoro di Scola Una giornata particolare.
“I cancellatori correttisti” avverte Chetta “non hanno calendari né orologi”. Perciò il suo saggio è sì “un libro preventivo ma la realtà prima o poi surclassa la fantasia e allora alla fantasia abbiamo concesso un po’ di vantaggio”. Perché (e ci scappa un purtroppo) “il cinema italiano novecentesco serberà in pancia ancora ulteriori, numerosissime e sgradite sorprese ai cancellatori e agli ipermoralisti. L’ironia con cui abbiamo affrontato molti passaggi è sughero necessario ma non sufficiente a proteggere in botte perché presto si stapperà la seriosità di giudizio dei codini sui lungometraggi della nostra tradizione”.
La pretesa della cancel culture, che disconosce ironia e parodia, non lascerà l’Italia immune dal suo maglio, premonisce l’autore. È possibile resistere? Chissà, ma quanto peggio sarebbe desistere. Con i disclaimer applicati in apertura di Amici miei o di Miracolo a Milano, a mo’ di quel che è stato fatto per il disneyano Dumbo. Noi però non vogliamo finire – per dirla con Totò – "sul banco degli amputati” (persino questa battuta, sarà politicamente corretta?).