AGI - Se la vita senza sogni non è vita, il teatro senza sogni non è teatro. Roberto De Simone lo ripete, presentando a Napoli al Trianon Viviani il suo prossimo lavoro, l'ultimo di una carriera lunga senza stanchezza e felicissima. 'Trianon Opera - tra pupi, sceneggiata e Belcanto' rifà, rimette in scena e sovrascrive la celeberrima 'Cantata dei pastori' del gesuita palermitano Andrea Perrucci, che dal 1698 agli anni '70 del secolo scorso era rappresentata per Natale nelle chiese e nei teatri parrocchiali. Tra devozione e tradizione, oralità e letteratura, napoletano e italiano, melodramma e acrobazie circensi.
Un richiamo al "teatro-teatro" malgrado il Covid, eludendo la forzata vacuità delle sale con una prima esecuzione su Rai5 (in onda il prossimo 30 aprile alle ore 18, nell'ambito della programmazione operistica della settimana che Rai Cultura dedica al maestro napoletano). L'obiettivo, come previsto in partenza, è di restituire al pubblico lo spettacolo dal vivo per dicembre. Uno spettacolo che è anche, ha osservato Marisa Laurito, responsabile della direzione artistica del Trianon, "un preziosissimo documento". Che resterà come tutte le opere di De Simone: "Un personaggio così speciale che ha regalato tanta bellezza a questa città".
Regalato, è proprio il caso di dire, perché il maestro non ha chiesto alcun compenso per riportare la settecentesca luce di Perrucci - e di quel mondo - al teatro che ama di più. Per la superba acustica, per la connessione profonda alla città più antica, nel cuore di Forcella, per le tradizioni che il Trianon tuttora rappresenta. Antico amore di Roberto De Simone quello per la 'Cantata', che allestì nel '74 al San Ferdinando poi in versione televisiva nel '77 (prima produzione a colori della sede Rai di Napoli). E su cui ritornò, con un saggio pubblicato nel 2000.
Ma in 'Trianon Opera' De Simone ricombina la 'Cantata', quasi a giocare con un tempo che non è solo il Settecento ma passa per i secoli successivi, e in uno spazio che da palcoscenico diventa quello di un'opera dei pupi dove gli attori si muovono "all'antica", come ancora li immaginava per averli visti un Ferdinando Russo verseggiando sui paladini di Francia. "E' una dimensione propria dei pupi, non delle persone umane, sicché Maria, Giuseppe, Belfegor, Gabriele risultano ristretti in una spazialita teatrale", spiega il maestro, "che rifugge dall'imitazione di un set cinematografico" cui oggi si è ridotto tanto teatro - chiamato ancora così per usurpazione - dove i sogni, l'immaginativa, le visioni sono spaccate in pezzi, frantumate nel realismo.
Le magnifiche arie senza microfono
Tanto è vero che De Simone ha voluto che gli attori recitassero "senza l'artificio del microfono ma portando la loro voce a un livello più alto del normale, come accadeva nel teatro di Pulcinella, della sceneggiata, dell'opera dei pupi e nello stesso teatro del melodramma", ha sottolineato nella conferenza stampa di presentazione.
Le magnifiche arie del Settecento, da Pergolesi a Cimarosa a Vinci a Broschi a Mozart accompagnate dall'orchestra ridanno corpo musicale, corpo di voce, fisicità a un tempo in cui erano i virtuosi sopranisti castrati che - non per soldi ma per devozione - nel periodo di Natale raccontavano della stupefacente nascita del Bambino e degli inutili sforzi dell'acrobatico eppur maldestro Belfegor per scongiurare la nascita del "Vero Lume". Con attori dilettanti e analfabeti o con professionisti dell'arte, per un pubblico colto o popolare, tutto e tutti s'intrecciavano nella Napoli di un'epoca che a lungo continuò a fruttificare: si passavano carte, battute e linee melodiche. Si passavano i sogni che De Simone - per un'altra volta ancora - ha catturato riscritto e rimesso su carta e pentagramma. Poi sulla scena.
Anche stavolta, anche per De Simone, questa è una sfida al diavolo ancorché sia più insidioso di quello - in brache rosse con le corna - della 'Cantata dei pastori'. "Oggi il diavolo - prosegue De Simone - è rappresentato da una presunta cultura decisa, col pretesto di indagarli, ad ammazzare i sogni. E' un diavolo che persegue la morte dell'immaginario. Non so quali tremende conseguenze avvertiremo fra una trentina d'anni, quando dell'immaginario il pubblico italiano, abituato a rassicurarsi su tutto, e a informarsi su pc e telefonini, sarà totalmente privo. Era il teatro che lo alimentava, e il teatro non è qualcosa che accade a caso ma richiede artificio e professionalità altissima. Non è naturalismo, mentre oggi siamo totalmente invasi dal finto naturalismo degli attori che recitano col microfono in bocca, parlandosi addosso non più declamando. E questo neorealismo teatrale sta distruggendo l'immaginario dei sogni" nota De Simone.
L'artificio perduto
"Io vorrei che la cultura ci riportasse ai vecchi giochi, al teatro delle marionette, a quello shakespeariano che con le sue scenografie dava allo spettatore la possibilità di immaginare, mentre oggi è invalso l'uso di scene costruite cinematograficamente, con elementi che non si giovano più della pittura scenografica che era artificio dello spazio. Oggi l'artificio non si intende più, è tutto reale, fagocitato dall'intenzione diabolica di una cultura nemica della creatività".
L'arte presuppone sempre una quantità di significati e di simboli anche contraddittori. Convivono come i personaggi di un'opera di De Simone che non andrà mai in scena, 'L'oca d'oro', una fiaba dove restano tutti appiccicati a una magia: commedia dell'arte e mistero. "Ecco, io sono lieto a volte di riscontrare in ciò che faccio anche contraddizioni, perché la contraddizione - aggiunge il maestro - fa parte del linguaggio onirico che non è comprensibile né spiegabile. Il teatro a questo dovrebbe tornare, non è il 'bla bla bla' di significati esclusivamente sociologici. Il sogno era la base di un teatro che oggi è diventato mera esposizione logica. No: il teatro è artificio dove ritorna il linguaggio del sogno". Il 30 aprile, persino in tv. Con le parole del personaggio Razzullo scritte dal maestro per l'occasione: "Ma mo, nfine arrivate, / a lu Trianon chiammate / pe' misteriose vie / a recitare da nu munno a n'ato / sta Cantata / cu nu pubbrico assente in pandemia / senza sischi e senza sbattute 'e mano / senza chi ce sente o ce vere / alla cecata, / cunzideranno chest'esibbizione / na partita a tressette cu lu muorto, / n'incontro 'e boxe / senz'avversarie / addo chiavammo punie rint'a ll'aria / fino a mettere nderra / kappa-o l'avversario / cuntanno la vittoria".