E doardo Ferrario fa parte di quella generazione di comici che è riuscita a portare in Italia la stand up comedy in puro stile americano, arte tanto popolare quanto meravigliosamente feroce. Romano, classe '87, non solo non impone limiti alla propria satira ma ricorda che in realtà non ce ne sono mai stati: “Si è sempre fatta la satira; durante le guerre, durante le persecuzioni, è un’esigenza dell’uomo la comicità, quindi diciamo che nessuno può fissare dei limiti, è un’esigenza dello spirito”.
“Io sto cercando di raccontare questo periodo in maniera leggera – ci rivela al telefono Ferrario - perché è un po' il nostro dovere. Io non credo ci si possa porre dei limiti su questo; ovviamente ci sono dei limiti della satira che sono dati semplicemente dal buon senso, la satira non deve mai attaccare o in qualche modo offendere le vittime, cercare di non andare troppo pesante su alcuni argomenti perché comunque la situazione è grave, perché ci sono tante imprese ferme e ci sono tante persone che hanno difficoltà a lavorare”.
Quanto è importante la visione della realtà di un comico?
“I comici sono misantropi per natura, hanno senz’altro qualche problema di socialità e grazie ad un loro sguardo laterale, che è sempre un passo indietro rispetto alle cose, riescono a vedere più a fuoco di tanti altri”.
Cosa ti manca di più in questa quarantena?
“Io a casa sto molto bene, sono un noto pantofolaro, quando all’inizio, quando non si era ancora capita l’entità della faccenda, ci hanno detto che saremmo dovuti restare a casa per un po' di tempo io ero contentissimo in realtà; ora la situazione diventa un po' inquietante perché non sappiamo quando finirà, la cosa che mi manca di più è il pubblico. Perché a noi comici puoi togliere la socialità e magari siamo pure contenti per un periodo, ma se ci togli il pubblico ci ammazzi, sia per ragioni artistiche, infatti io per ora non riesco a scrivere pezzi che farei poi per gli spettacoli, un po' perché non sappiamo come si evolverà la situazione e non sappiamo la misura in cui le persone vorranno sentir parlare di quello che sta succedendo; e d’altra parte è impossibile scrivere un pezzo di stand up senza sapere dove e quando ti dovrai esibire e provarlo. Quindi in questo momento su quel versante lì io sono fermo”.
E secondo te il pubblico dopo come si porrà rispetto all’argomento?
“La scommessa che stanno facendo tutti è riuscire ad interpretare come il pubblico vorrà sentir parlare di questo, cioè se sarà come quando si superano le guerre, che nessuno ne vuole più sentir parlare, cambiamo argomento e facciamo in modo di dimentircarle o, e purtroppo è la cosa che sospetto di più, il nostro presente cambierà talmente tanto che non sarà qualcosa della quale parleremo parlando al passato”.
Ma gli italiani ce l’hanno il senso dell’umorismo? Quando Charlie Hebdo ci dedicò delle vignette in Italia vennero recepite quasi come un insulto….
“Assolutamente, abbiamo solo una sensibilità un po' più mediterranea, la morte è trattata in un certo modo. Charlie Hebdo non è un bel giornale di satira, non è un buon esempio, credo sia un brutto giornale di satira; massimo rispetto per quello che fanno ma non è nei miei gusti e non l’ho mai trovato particolarmente brillante. In questo momento se io devo fare una battuta politicamente scorretta mi chiedo sempre chi possa offendere questa battuta, se offende le vittime non la faccio, perché è qualcosa di vagamente fascistoide che preferisco evitare. Detto questo qualcuno si offenderà sempre per una battuta e bisogna fare i conti con questo: se chi si offende sono persone che nel mio pensiero ragionano in una maniera che io non condivido non mi interessa, anzi a quel punto il bersaglio della satira è anche azzeccato; al contrario mi pongo più problemi, ma credo che in un momento del genere bisogna solo avere più rispetto, prima di tutto per le persone impegnate in prima linea come medici e infermieri, poi per le vittime e i parenti delle vittime e poi per le persone che sono in difficoltà con il loro lavoro”.
Molti paragonano questa pandemia alla guerra…
“Non mi sento di paragonare questo periodo alla guerra, perché la guerra è ben altro, ci è stato richiesto di sospendere la nostra quotidianità, di sospendere la realtà che conoscevamo, la realtà che conosceremo sarà necessariamente diversa almeno fino a quando non si sarà trovato un vaccino. Poi chissà a quale realtà torneremo, magari ne approfitteremo anche per raddrizzare qualche stortura del mondo in cui stavamo vivendo. È tutto quanto in divenire, quello che possiamo fare in questo momento è testimoniarlo in maniera leggera”.
Sei molto attivo su Instagram, come sta reagendo il pubblico?
“Devo dire che fa veramente piacere vedere come le persone apprezzino, quando ricevi messaggi tipo ‘Guarda, veramente, ti ringrazio perché questa quarantena per me è un periodo infernale, con le cose che scrivi e che racconti riesci a farmi fare un sorriso; mi alzo la mattina con una cosa tua che mi fa ridere, la sera vado a dormire pensando che tutto sommato qualcosa che hai raccontato mi da una visione più leggera e mi fa venire voglia di proseguire e mi fa sperare che in futuro torneremo tutti a ridere’. Ci stiamo rendendo conto in questo momento quanto il nostro lavoro abbia un valore, noi comici siamo spesso oberati di lavoro quindi alle volte mi dimentico anche di ciò che faccio, del valore che ha per le persone, lo faccio sempre dando il massimo, sempre pensando che quello che scrivo divertirà le persone, però in un momento del genere ricevo messaggi particolari, più del solito, con più sensibilità del solito e questo sicuramente mi fa piacere perché mi rimette anche un po' l’attenzione, la concentrazione sul lato fondamentale del mio lavoro che è far stare meglio le persone”
Ti è mai venuta in mente una battuta in questo periodo che poi ti sei detto “No, questa è troppo, meglio evitare”?
“Nel momento in cui mi viene una battuta poi la dico, quelle che non posso dire non le considero nemmeno battute”