I l festival di Woodstock 2019, non si farà più. Sono stati gli stessi organizzatori ad alzare pubblicamente le mani e arrendersi di fronte a ciò che già da mesi sembrava inevitabile.
50 anni fa 400 mila giovani, ma c’è chi ne conterà più del doppio, invadevano la minuscola Bethel, contea di Sullivan, una cittadina rurale 69 km a sud-ovest di Woodstock, per quello che sarà ricordato per sempre come uno degli eventi musicali più importanti della storia.
La genesi del concerto di Woodstock è piuttosto nota, in pratica tutto avvenne per caso, un festival che non doveva svolgersi in quel luogo, come racconta Ang Lee nel suo film del 2009 “Motel Woodstock”, che non doveva durare così tanto e che in realtà non doveva essere nemmeno un concerto.
L’annuncio pubblicato sul New York Times e sul Wall Street Journal da John P. Roberts e Joel Rosenman diceva semplicemente: “Uomini giovani con capitale illimitato cercano interessanti opportunità, legali, di investimento e proposte d'affari”; a quell’annuncio risposero Artie Kornfeld e Michael Lang che avevano in mente un progetto per uno studio di registrazione, ma una cosa tira l’altra e finì in Woodstock, uno dei più importanti eventi musicali della storia, anzi, forse qualcosa in più.
Da quel momento in poi il nome di quel luogo di provincia, Woodstock, divenne sinonimo di una cultura, quella hippie, che proprio durante i giorni di quel concerto toccò l’apice della propria notorietà ma, soprattutto, della propria manifestazione.
Parte della massima proposta musicale possibile di quel periodo tutta insieme nel nome dell’amore libero e della protesta contro una società che stava andando da tutt’altra parte. Woodstock in realtà non fece altro che smuovere le coscienze, che rappresentare un momento di riflessione che avrebbe potuto rovesciare il mondo, ma che non fece altro che costruire un pensiero alternativo al modo di agire tipico americano: machista, conservatore e nazionalista.
Un pensiero che rimase pensiero, intendiamoci, non avrebbe potuto fare di più, per questo Woodstock resta Woodstock, il sacro simbolo della potenza della musica come elemento di aggregazione, ma soprattutto stimolo per diventare migliori come singoli e come società. Joan Baez incinta di sei mesi, Santana, Janis Joplin, Sly & the Family Stone, i Grateful Dead che suonano prendendo la scossa dalle proprie chitarre, Creedence Clearwater Revival, The Who che iniziano a suonare alle quattro del mattino e sbattono giù dal palco a colpi di chitarra l’attivista Abbie Hoffman prima che - quando sono ormai le 8 del 18 agosto - salgano sul palco i Jefferson Airplane.
E poi ancora Joe Cocker, Crosby, Stills, Nash & Young che iniziano anche loro quando ormai è notte fonda, e Jimi Hendrix naturalmente, che alle nove del mattino, in chiusura di festival, come aveva espressamente richiesto, infiamma quella folla oceanica reinterpretando e distorcendo l’inno degli Stati Uniti.
Questo fu Woodstock, per questo da sempre l’idea di ripeterlo, forse, ammettiamolo, anche per sfruttare quello che è quasi un marchio, perché tutti sarebbero voluti essere lì nel 1969 e tutti vorrebbero la propria Woodstock, senza pensare che un evento del genere, così male organizzato tra l’altro, sarebbe non solo impossibile, ma anche illegale.
Eppure negli anni ci hanno provato, in occasione di ogni importante decennale, senza riscuotere alcun successo significativo, perlomeno non per quanto riguarda la rivoluzione (o perlomeno riflessione) culturale di cinquant’anni fa. L’idea alla base delle commemorazioni in occasione di quel concerto/evento era quella di riunire il meglio della musica mondiale, una sorta di database da aggiornare ogni dieci anni; e sperare che il meglio della musica coinvolgesse il numeroso pubblico previsto a essere un po' migliore.
Il fallimento di questo proposito, rappresentato dal fuggi fuggi ampiamente documentato in questi ultimi mesi, potrebbe anche essere preso come metafora del decadimento di questi ultimi 50 anni di musica, ma questo è un altro discorso. Normale, dunque, che anche nel 2019, in occasione di questo importante anniversario, l’idea tornasse in mente, ma niente è andato come doveva.
Woodstock 2019, tornato tra l’altro di nuovo nelle mani di Michael Lang, l’organizzatore dell’originale, prima era un sogno, poi è diventato a poco a poco realtà, poi un incubo organizzativo. Viene annullato, poi riconfermato e infine, a una manciata di giorni dalla data di inizio - il 16 agosto naturalmente - di nuovo annullato, stavolta definitivamente.
Ad annunciarlo lo stesso Lang: “Siamo rattristati del fatto che una serie di battute di arresto impreviste ha reso impossibile organizzare l’evento”. Battute di arresto che si sono susseguite in maniera talmente costante da risultare perfino sospetta, come se le più alte sfere dello showbiz musicale, che hanno snobbato in scioltezza l’evento (parliamo, in generale, dei fondamentali punti fermi della catena di montaggio della musica americana, dai grandi promotori come Live Nation a AEG alla rivista Billboard), la cosa proprio non andasse giù.
Intanto non sono arrivati i permessi per riorganizzare Woodstock a Woodstock, per cui il tutto in un primo momento è stato spostato a Vernon Downs, nello stato di New York. In calcio d’angolo era stata trovata un’altra location a Merriweather Post Pavilion nel Maryland. Il tutto nell’arco di un paio di mesi, cosa che ha fatto scattare un penoso inseguimento da parte del pubblico, naturalmente numeroso, che nel frattempo aveva prenotato voli e hotel.
Ma il problema delle location è soltanto secondario: la verità la racconta, sempre tramite nota ufficiale, Greg Peck, direttore di Woodstock 50: “La sfortunata disputa con il nostro partner finanziario e i conseguenti procedimenti legali ci hanno portato a una congiuntura critica, facendoci cambiare idea rispetto ai piani iniziali e costringendoci a trovare una location alternativa al Watkins Glen. Avevamo poco tempo e poche scelte per dare modo agli artisti di esibirsi. Abbiamo lavorato duramente per riuscire a organizzare il giusto tributo, e alcuni grandi artisti erano saliti a bordo nell’ultima settimana per supportare Woodstock 50, ma il tempo era poco”.
Non viene specificato quali fossero gli artisti disposti nell’ultima settimana a salire a bordo, più noti e probabilmente più numerosi, quelli che hanno deciso di scendere dalla nave. In pratica tutti gli headliner, ovvero, gli artisti principali delle tre serate di festival. Le ultime defezioni sono state quelle di Jay Z e John Fogerty, che si vanno ad aggiungere a quelle precedenti di altri artisti e gruppi come The Killers, The Black Keys, Chance the Rapper, Princess Nokia, Run the Jewels, Akon, Anderson East, Halsey, Vince Staples, Earl Sweatshirt, Greta van Fleet e anche Dead & Company, nuova formazione che riprende le fila dei Grateful Dead.
Da fuori l’idea è quella di una nave che è affondata piano piano, volendo evitare il paragone ingeneroso fatto da El Mundo ieri con il Frye, il festival truffa diventato un geniale documentario su Netflix. Lo stesso El Mundo chiude l’articolo sostenendo che il festival “profuma di fiasco”, il problema, e su questo non ci sembra ci siano dubbi, è che lo spirito di Woodstock, nonostante il sito ufficiale dell’evento utilizzi tutta l’iconografia hippie possibile, è morto in partenza nei giovani, nel pubblico, americano come europeo.