Tiziana Donati, in arte Tosca, non arriva immediatamente al canto ma arriva immediatamente all’arte, fin da piccola sa con assoluta certezza di voler campare di quello, e prima ancora della musica c’è il teatro.
“Io sono sempre stata una ragazzina indipendente, non volevo assolutamente pesare sulle spalle dei miei genitori, ho detto a mio padre che non volevo fare l’università. Trent’anni fa era un po' diverso, se volevi fare questo mestiere non è che avevi tutto questo tempo da dedicare ad altro perché era tutto più artigianale, più carnale, ti dovevi dare da fare, non avevi il tempo di studiare. Quasi tutti gli artisti della mia generazione infatti nessuno è laureato. Allora lavoravo in teatro, il Rossini, a Roma, teatro dialettale, e mi davano 16 mila lire a spettacolo ed io non ci vivevo, così ho saputo che c’era un locale che si chiamava Talent Scout che cercava qualcuno che facesse una sorta di piano bar e mi presentai. In questo locale andava ogni sera Renzo Arbore con tutta la sua cricca, era il periodo subito dopo Quelli della notte, in pieno Indietro Tutta, una sera mi disse 'Tu sei brava, lasciami il tuo numero', io ho pensato 'Gli avrò fatto tenerezza, ero una ragazzina', invece quella sera lui era con Claudio Mattone, uno dei maggiori autori e compositori italiani, e cominciai a lavorare con loro. Andò così, ho iniziato come vocalist, tutte le cose che senti, tutti i cori di Indietro Tutta, D.O.C., qualsiasi cosa ero io. La coppia d’oro eravamo io e Paola Cortellesi, lei cantava Cacao Meravigliao, era proprio una bambina. Andavo prima a recitare e poi mi cambiavo e andavo a cantare”.
Nel 1990 Arbore le concede ancora più visibilità invitandola a partecipare ad un altro programma di successo “Il caso Sanremo”, insieme anche a Lino Banfi, e da lì tutto è cominciato, Tosca, ai tempi ancora semplicemente Tiziana Donati, crede che il suo futuro sia scritto, sempre al fianco dell’uomo che l’ha scoperta, ma Arbore ha altro in mente per lei. “Ricordo ancora il grandissimo dolore di quando lui stava per partire con l’Orchestra Italiana e mi disse di andare per la mia strada, una cosa che lui faceva spesso con le persone che amava e stimava, come Benigni, Marisa Laurito…ma lui diceva che se fossi rimasta lì la mia strada sarebbe rimasta legata a lui, invece dovevo volare”.
Ed è lì che davvero inizia tutto, con un primo contratto con l’allora RCA. “Una cosa non proprio bellissima, perché ero gestita da un produttore e accettai dei compromessi artistici che non erano in alto ma in basso. Come dice Carmen Consoli, i compromessi nel nostro mestiere ci sono, come in qualsiasi altro mestiere, l’importante è che il compromesso deve essere in alto, mai in basso, sai che è un passaggio che ti porterà a qualcosa, che ti deve arricchire, se ti impoverisce è un compromesso sbagliato; ecco, quello era un compromesso sbagliato, perché artisticamente mi andava a far fare cose che non mi andava di fare”.
Qualche esempio? “Cantare canzoni che non mi piacevano, un po' quello che succede nei talent, anche se i ragazzi non hanno il coraggio di dirlo. Oggi si confezionano questi dischi a tavolino e poi tu ti ritrovi a incarnare un’immagine che non è quella che vorresti avere, non sei trattata da progetto ma sei trattata da prodotto”.
Quel periodo però porta anche delle soddisfazioni impagabili, come le collaborazioni con alcuni tra i più importanti artisti del cantautorato italiano come Lucio Dalla, Riccardo Cocciante e Renato Zero. “Si è stato un momento di grande crisi ma anche grande rinascita, che culminò con Vorrei incontrarti tra cent’anni e quella grandissima popolarità inaspettata”.
Grazie a quel Sanremo, a quella vittoria molto contestata (molte le voci di una vittoria in quell’edizione che sarebbe spettata al pezzo presentato da Elio e Le Storie Tese, “La terra dei cachi”), Tosca scopre come funziona il mondo della discografia italiana. “Il mondo discografico pop è un mondo molto pragmatico e programmatico, ed io l’avevo immaginato in maniera totalmente diversa, io venivo dal mondo 'arboriano', io ho sempre lavorato sulla bellezza e sull’artigianalità di questo mestiere, mi ritrovavo invece in una catena di montaggio. Tutto veniva studiato a tavolino, non era quello che volevo”.
Ma ormai la giostra è partita, Vorrei incontrarti fra cent’anni si avvia a diventare un classico della canzone italiana, ma qual è il segreto di quel brano? “Intanto la frase. Tutti quando sono innamorati di una persona pensano questo, vorrei incontrarti fra cent’anni è una bella frase e anche “paracula”, poi tutto è costruito molto molto semplicemente. Rosalino (Ron) ha costruito questa canzone in maniera molto semplice, botta e risposta, la concezione di un duetto classico con una miscela che ha funzionato, poi non sai perché certe cose funzionano e altre no. Le nostre due voci hanno funzionato, il nostro incontro funzionò. Così io mi sono ritrovata con questo grande successo in mano, ma io volevo avere gli stessi tempi di prima, volevo avere la felicità di andarmene in tournée, andare a mangiare dopo il concerto, divertirmi, cantare quello che mi piaceva…invece mi ritrovavo con tante aspettative”.
È una romantica, Tosca, innamorata dell’arte (“la musica appartiene alla famiglia dell’aria, dei colori…”), si ritrova tra le mani esattamente quello che qualsiasi persona si avvicina alla musica con un sogno in tasca vorrebbe, ha appena vinto Sanremo, ha dalla sua pubblico e critica, eppure fa una scelta del tutto inaspettata, del tutto controcorrente. “Perché io volevo essere legata all’arte e non ai numeri. Semplicemente questo. Volevo essere libera, ma la libertà ha un prezzo. Come un artigiano, che alle volte fa un lavoro molto amato e alle volte no. Per restare in quel mondo invece bisogna rispettare uno standard, e per rispettare uno standard ci sono delle regole che poi la maggior parte delle volte consistevano nel cantare canzoni delle quali non me ne fregava niente. Lustrini, paillettes…ma poi sul palco ci dovevo andare io. Essere condizionati dal successo è una cosa terribile”.
Il prezzo del successo dunque: inseguirlo, andare necessariamente incontro a quei meccanismi senza possibilità di sviluppare percorsi alternativi, di sfidare troppo il gusto del pubblico. “Questa non è una cosa che ti racconto solo io, se tu parli con Fossati, con Capossela, sono tutte persone che sono passate per questa cosa, che ti lascia dentro una sorta di schizofrenia. Che ti fa dire 'io voglio fare il mio mestiere', non mi frega niente di dover pensare se sono come tu mi vuoi: io sono così. Adesso c’è questa cosa dello 'spacca', io detesto la parola 'spacca'. Questa cosa 'funziona', questa cosa 'non funziona'….nessuno può dire se una cosa funziona o no, è come se conoscessi le emozioni della gente, chi ca…o sei per saperlo??”.
Così, siamo nel 1997, Tosca inizia a lavorare a 'Incontri e passaggi', un album, “il più bello della mia vita”, che vanta autori come Fossati, Mariella Nava, Ennio Morricone, Lucio Dalla, Grazia Di Michele, Renzo Zenobi e Chico Buarque, ma la casa discografica decide di mandarla nuovamente a Sanremo con Nel respiro più grande, una canzone con la musica di Ron e il testo di Susanna Tamaro, la scrittrice che tre anni prima era esplosa con la pubblicazione di Va dove ti porta il cuore, con le dovute proporzioni, un po' come presentarsi oggi con un testo scritto da Fabio Volo, perché tanto la scrittrice triestina divideva pubblico e critica.
“Vedevo tutti molto gasati, loro cavalcavano l’onda della Tamaro, io mi ritrovavo dentro una polemica bruttissima, senza avere gli strumenti in mano per potermi difendere. Non vinsi, perché quello fu l’anno dei Jalisse, e tutto finì in me…a. Il mio album, che tanto amavo, finì nel niente. Non mi si filava nessuno”.
Ed è allora che Tosca decide di lasciare la casa discografica, liberandosi da un contratto che prevedeva ancora la pubblicazione di tre album “e quelli erano contratti veri, contratti da 200 milioni, ai tempi c’erano le lire, contratti che stavi in studio sei mesi, adesso fai i dischi con cinquemila euro”.
Tosca allora decide definitivamente di cambiare strada, di costruirsi una nuova carriera, una carriera fatta di quella ricerca che tanto le interessa, di quell’artigianalità con la quale è cresciuta professionalmente. “Mi sono beccata tante di quelle pernacchie che non hai idea, 'Ma chi ti credi di essere??', 'sei una scema!', quante me ne sono sentite dire…alle volte pensavo che magari avevano ragione loro, ci sono stati dei momenti terrificanti”.
Tutto coincide con la chiamata per doppiare Anastasia, il cartone animato della Disney, “la mia manager mi disse che se l’avessi fatto non avrei venduto più dischi, io la guardai e dissi: correrò questo rischio”. Il teatro è lì dietro l’angolo che aspetta, Saverio Marconi la chiama per una parte in Chorus Line, ma coincide con la promozione di Anastasia così deve lasciar perdere, e quando lei credeva che il treno fosse ormai passato il telefono squilla di nuovo, è ancora Marconi che la vuole nella sua produzione di Sette spose per sette fratelli. “Io risi imbarazzata…ma io? Ma sei sicuro? Io lo vedevo ogni Natale. Ma l’hai vista quella? Con quegli occhi blu!”.
Ma Marconi risponde che vuole una donna “terrena”, così quello sarà il secondo passo, dopo il passaggio in sala di doppiaggio, che rappresenta la rinascita di Tosca, “mi sono presa una pausa”, abbastanza lunga dato che il musical ha un successo spaventoso, dovrebbe restare in scena da agosto a febbraio del 1998, chiuderà i battenti invece nel 2001. Un percorso che si conclude con un terzo progetto, quello proposto a Tosca da Vincenzo Zitello, forse il più importante arpista italiano, che compone delle musiche sacre illuminanti. “La prima sera non c’era nessuno, la seconda sera tutto pieno, la terza sera c’hanno dovuto cambiare la chiesa perché dove eravamo non c’entravano tutti. Da lì ho cominciato a fare sempre esclusivamente quello che mi piaceva, volevo trovare un modo per fare sia musica che teatro”.
Così partono gli esperimenti a fianco dei più importanti personaggi del teatro italiano, ma è nel 2005 che avviene la svolta, l’incontro con Massimo Venturiello e la concezione di Romana, spettacolo dedicato a Gabriella Ferri, scomparsa un anno prima, “la mia musa, quella per cui io faccio questo mestiere” ed è da lì che tutto riparte davvero. Si conferma anche un rapporto con la città di Roma della quale Tosca è orgogliosamente figlia. “Roma è il mio cuore, potrei tradire Roma solo con Parigi, ma poi sempre qua torno”.
Oggi Tosca, proprio a Roma, parallelamente alla sua carriera, dirige Officina Pasolini Regione Lazio, laboratorio di alta formazione e Hub culturale, uno spazio interamente sovvenzionato dalla Regione Lazio dedicato a musica e teatro che vanta docenti come Niccolò Fabi e Giovanni Truppi. Officina Pasolini propone a studenti e pubblico incontri unici, il prossimo, giusto per fare un esempio, venerdì 26 aprile con Luisa Sobral, tra le più importanti compositrici e interpreti della nuova generazione di musicisti portoghesi e autrice di Amar Pelos Dois, canzone scritta per il fratello Salvador e vincitrice all’Eurovision Song Contest; o “Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici”, il 24 aprile all’Auditorium Parco della Musica, primo progetto nato in seno a Officina Pasolini, un coinvolgente viaggio nella tradizione musicale popolare italiana.
Ma nell’ultimo anno dal palco del teatro di Officina Pasolini sono passati Nada, Tommaso Paradiso, Max Gazzè e Carl Brave, ma anche Gianni Amelio, Erri De Luca, Giorgio Panariello e Rocco Papaleo, tutti i protagonisti, insomma, dell’industria culturale italiana. Quest’anno Tosca ha anche accettato di essere madrina al premio Bianca D’Aponte, istituito dall’omonima Associazione Musicale ONLUS, in ricordo della giovane cantautrice prematuramente scomparsa; un premio molto importante, dedicato a musiciste donne in un periodo in cui la categoria soffre una mancanza di quote rosa forse come non mai nella storia della musica pop italiana.
“Una ragazza (Bianca D’Aponte) che ha fatto musica indipendente e manco lo sapeva, oggi sarebbe stata un’icona di questa musica. C’è un pregiudizio nei confronti delle donne che a me fa molto arrabbiare, io alla Pasolini ne vedo tante di ragazze brave, adesso si è fatto un passo indietro, sempre per colpa di questa schifezza di televisione, che io detesto”, e chissà allora se farebbe da giudice a un talent…? “Se cambiassero le regole, sì. Dal The Voice portoghese è uscito Salvador Sobral, è uscito Tiago Nacarato, le nostre regole sono regole sciocche, antimusicali, invece quello dovrebbe essere un trampolino di lancio per chi ha qualcosa da dire, non per chi fa da lampadina per l’insegna, per mantenere tutto il cucuzzaro di giudici, di parrucchieri, di manager, di case discografiche…è sbagliato. Chi non viene rispettato sono i ragazzi e questa è una cosa che io proprio non sopporto, perché io sono stata ragazza, e non si fa. Diciamo sempre che non stiamo lasciando un futuro, anche musicalmente non lo stiamo lasciando. Io lo vedo che ci sono dei ragazzi fantastici, e hanno grande difficoltà, si fanno un mazzo tanto senza sapere dove sbattere la testa”.
Ma dove la musica dei talent fallisce, va molto meglio la musica “indie”, la nuova discografia, quella nata e cresciuta in rete, che ammorbidisce anche il rapporto fin troppo determinante tra musica e marketing televisivo, perché “Il marketing è il male assoluto della musica. Un artista fa successo e non si sa perché, e subito dopo arrivano tutti gli scienziati che vogliono fare marketing. Tutto è stato ribaltato, la televisione una volta era un punto di arrivo, ora è un punto di partenza, quindi non importa quello che fai basta che fai. È un Grande Fratello della musica, è l’apparenza. Io credo in quella legge che dice che ad un certo punto avviene qualcosa che nessuno ha previsto e spariglia tutto. Quello che sta succedendo con la musica indipendente. L’indotto discografico non era pronto ad Internet quindi si venduto totalmente alla televisione per salvare posti di lavoro. Se tu vai a Lisbona, a Parigi, in Brasile, esiste la musica televisiva, ma è una cosa, una fetta, poi esiste tutto il resto, il funky, l’mbp, il fado, il jazz-fado, la nouvelle music francaise, anche in Africa, una sera in Algeria mi sono trovata in un talent di poesia”.
E allora è proprio in rete, nella musica “indie” che possiamo cercare e trovare il futuro del cantautorato italiano. “La musica indie ha assunto il giusto ruolo nella musica, perché non se la filava nessuno e quelli hanno fatto quello che gli pareva, e poi tutti a meravigliarsi…ooohhh! Ma che ti meravigli? E adesso tutti a correre ad acchiappare uno di loro, i Gazzelle, i Calcutta esistevano pure dieci anni fa. Un giorno a tavola con dei discografici dissi “C’è Motta che è fantastico” e uno di loro mi rispose “chi??”…ecco”. Ma perché questa nuova discografia, giovane, azzardata, “open”, non riesce a sfornare cantanti donna che abbiano un successo paragonabile a quello degli uomini? Sembra riduttivo parlare di misoginia perché la storia della musica leggera italiana è piena di interpreti di sesso femminile, strano che il problema delle quote rose nasca proprio oggi. “Allora, ci sono stati vent’anni di rincoglionimento totale, è la verità, quando c’è un rincoglionimento politico si sviluppa un rincoglionimento, in primis, culturale. La cultura è direttamente proporzionale alla politica. Noi abbiamo questa politica perché le persone, dopo il rincoglionimento culturale, non hanno più le basi per dire “stai a dì un sacco de ca…ate, vattene”, ed è scientifico, questo nasce da Drive In, nasce da Colpo Grosso. La donna in Italia deve stare sempre un passo indietro, dopo che ci siamo fatte un mazzo tanto diventando cantautrici, mettendoci la testa, i commercianti di questo mestiere ci dicono che l’uomo porta la donna ai concerti, la donna non porta l’uomo, vale a dire che il concerto di un uomo porta le ragazzine urlanti, che si portano dietro i fidanzati; un’artista donna difficilmente fa questo. Anche se ci sono state donne che hanno avuto successo, sono sempre state meno rispetto agli uomini. È un discorso di utenza”.
Non è dunque quello della misoginia un problema della discografia ma più in generale del nostro Paese. “Certo, la discografia si “appecorona". Dice: 'Faccio il concerto di questa, quanti ne vengono? Dieci. Faccio il concerto di questo, quanti ne vengono? Mille. Faccio il concerto di questo', bisogna ricominciare a lavorare culturalmente sul linguaggio femminile”.