I Subsonica questa estate si lanciano in un tour de force di 23 concerti, partito il 28 giugno dal “Rookazoo Music Festival” di Verona e che si concluderà il 7 settembre al “La mia generazione Festival” di Ancona. In mezzo tutta la penisola, compresa la data del 28 luglio al Teatro Antico di Taormina, la prima volta per Samuel, Boosta, Max, Ninja e Vicio, in uno dei luoghi di cultura più suggestivi d’Italia.
“Siamo emozionatissimi" racconta ad Agi Max Casacci, chitarra e voce della band, nonché autore della maggior parte delle musiche e dei testi "è il concerto che aspettiamo di più di tutto il tour”. Un modo consono per festeggiare il successo dell’ultimo album, “8”, un tour invernale nei palazzetti andato regolarmente sold out e soprattutto il ventennale di “Microchip Emozionale”, l’album che li ha consacrati al grande pubblico. 20 anni, 23 per la precisione, tantissimo per una band.
Qual è il segreto per restare uniti così tanto tempo?
“Rimanere se stessi, anche attraversando vari cambi di scenario. Se guardiamo cosa è successo nella musica, anche prima di noi, tendenzialmente gli artisti più durevoli sono quelli che hanno sempre tenuto fede ad una propria identità e sono riusciti, anche sperimentando, a rimanere se stessi”.
Una longevità che permette ai Subsonica di essere testimoni oculari perfetti di tutti i cambiamenti avvenuti nella discografia italiana negli ultimi due decenni: c’eravate durante gli ultimi sussulti del cantautorato pop anni ‘90, c’eravate durante il decennio d’oro della musica in tv grazie all’esplosione dei talent, e continuate ad esserci oggi durante questa rivoluzione “indie”, voi che l’indie italiano, in pratica, lo avete inventato.
“Abbiamo guardato a questi cambiamenti da una zona protetta, anche quando la discografia era in piena salute, come negli anni ’90, abbiamo sempre cercato un nostro margine di autonomia puntando moltissimo sul rapporto con il pubblico dal palco. Tutto ciò che facevamo aveva come finalizzazione il concerto, la nostra indipendenza veniva garantita da quello. Tutto ciò che dal punto di vista discografico, come il rapporto con le radio o i grossi media, poteva aiutare a raggiungere un obiettivo, lo utilizzavamo ma senza mai farci prendere in ostaggio. Altri artisti che puntavano molto di più sulla vendita discografica sono rimasti un po' alla mercé di quelle che erano le dinamiche di vendita del prodotto e quindi tutta una serie di impegni promozionali, relazioni con i media, con le radio…noi invece avevamo la nostra mission, costruita tour dopo tour, e ci garantiva la nostra autonomia. Questa cosa abbiamo cominciato a farla negli anni ’90, dopo una quindicina d’anni è diventata prassi da quando il supporto fisico ha perso di importanza e ora è quanto mai necessario portare avanti un’attività live in piena salute”.
I Subsonica, sarà per la professionalità e l’inventiva o anche per lo stile così elettronico e dal sapore moderno, sono sempre stati considerati, a prescindere dai gusti, “avanti”, sperimentatori veri, capaci di costruirsi un’identità artistica ben definita; il vostro rapporto con il pubblico, sempre cercato con numerosi live, è cambiato in questi vent’anni?
“Abbiamo deciso per garantirci un’indipendenza e un margine di manovra praticamente totale, per non rimanere in ostaggio di nulla, così ci siamo immunizzati da tutte quelle che sono state le affezioni del sistema musicale”
Una tattica che ha funzionato, a partire proprio da quel “Microchip Emozionale”, uscito nel 1999, secondo Rolling Stone al sedicesimo posto nella classifica dei dischi italiani più belli di sempre. Ti ricordi cosa hai pensato subito dopo il primissimo ascolto di quel disco? Avevate la percezione di aver realizzato qualcosa di così significativo?
“No, quando lavori a testa bassa su un album, specie quando curi come me gli aspetti della produzione e della registrazione, ci sei troppo dentro per capire quello che hai realizzato. Però una sera, ai quartieri spagnoli di Napoli, eravamo passati a salutare i 99 Posse e gli facemmo ascoltare i mixaggi dell’album non ancora masterizzato e montato e la loro reazione fu molto incoraggiante, allora lì capimmo che doveva essere un bell’album, fu quella la prima volta che ci siamo resi conto di aver fatto qualcosa di importante”.
E quell’album contiene alcuni dei più importanti classici della band come “Colpo di pistola”, “Liberi tutti”, “Tutti i miei sbagli” e “Disco labirinto”. Che rapporto avete con i vostri classici?
“Sono brani che abbiamo sempre messo in scaletta mescolandoli con tutto ciò che avevamo di nuovo, senza avere mai l’impressione di fare del modernariato. Sono pezzi che non hanno una datazione, sono brani funzionali, ci permettono di affrontare i concerti in un certo modo. Non abbiamo mai avuto la percezione del distacco storico, per cui ci sono dei brani che hai suonato un po' troppo, sei stanco e sostituisci con altri (fortunatamente avendo fatto otto album abbiamo moltissimi pezzi di ricambio e ogni volta che facciamo una scaletta c’è sempre qualche rinuncia che pesa) ma non è un rapporto nostalgico e neanche di necessità dovuta”.
C’è una canzone invece che vi aspettavate potesse avere più successo e che il pubblico secondo voi ha sottovalutato?
“Un brano sottovalutato è “Eden”, quello che apre l’omonimo album, il pubblico dopo “L’Eclissi”, che è stato molto amato, probabilmente si aspettava subito qualcosa ad alto volume, è venuto fuori un brano molto articolato e molto complesso, che secondo me è molto maturo. Molti si sono ricreduti durante le esibizioni, però la percezione è che noi fossimo gasatissimi, convinti di aver tirato fuori una roba bella, ricca, sempre nostra ma alzando di qualche metro l’asticella e invece non ha avuto subito la reazione desiderata”
Qual è il ricordo più bello che conservate come Subsonica?
“Sicuramente quando ci siamo resi conto che la prima data in cui tentavamo il Forum D’Assago, che è il simbolo delle location indoor italiane, una delle più grandi, probabilmente la più prestigiosa, lo avevamo riempito sold out e nessun gruppo indipendente fino ad allora era riuscito a fare una cosa di questo genere. Devo dire che fu un momento di grandissima soddisfazione”
“Tutti i miei sbagli” a Sanremo?
“Tutti i miei sbagli” è venuto fuori da un esperimento, non doveva essere un pezzo particolarmente incisivo, si doveva un po' adattare alla situazione del festival, che tra l’altro quando lo presentammo era tale la voglia di averci, molto probabilmente perché all’epoca avevamo un grandissimo successo a Roma, che alla fine hanno preso un pezzo di cui non erano molto convinti, il direttore artistico continuava a dire “si, ragazzi, ma tutte queste battute prima che entri la voce, questo ritmo ossessivo…”. Noi capivamo quale poteva essere il vantaggio ad affrontare quella vetrina, perché così avrebbero finito di considerarci solo un gruppo da sottoscala indipendente, ma non eravamo convinti al 100% di metterci sotto a quei riflettori. Poi quel brano, a dispetto della collocazione in classifica, fu il pezzo del festival più passato nelle radio, un precedente che divenne un importante nelle produzioni successive”.
…Perché poi dovevate confermarvi no?
“Quando uscì “Amorematico”, già “Microchip emozionale” aveva smesso di essere una felice rivelazione per diventare una sorta di condanna, perché era un album che, specie dopo la riedition di Sanremo, ci aveva un po' rivelati al mondo; per il nostro discografico dell’epoca diventò un’ossessione, rivoleva una “Tutti i miei sbagli” anche nell’album successivo. Il punto è che “Microchip Emozionale” è una sala giochi, un album in cui non abbiamo pianificato nulla, avevamo solo notato che “Liberi tutti”, che era un brano inizialmente richiesto come sigla di un programma Rai sarebbe potuto diventare un brano radiofonico, ma senza nessun calcolo specifico, non sentivamo neanche l’esigenza all’epoca, per questo motivo siamo riusciti a creare un album senza avere alcun tipo di pressione, creato e gestito con la massima spontaneità. In “Amorematico” continuavano a chiederci un singolo, noi dicevamo “No, non ci rompete le palle!”, ed era la prima volta che affrontavamo questa possibilità quindi l’abbiamo vissuta un po' male e ci furono tantissime tensioni con la nostra piccola etichetta. Noi eravamo molto convinti di “Nuvole Rapide”, perché sapevamo benissimo che la cassa dritta applicata alla musica pop era una cosa che non aveva fatto praticamente nessuno e che comunque avrebbe avuto una grossa risonanza; era un codice, un linguaggio. Continuavano ad imputarci il fatto che non avesse un ritornello e noi continuavamo a dire “non ce ne frega niente”.
Poi però uscì e cosa accadde?
“Si, tra la titubanza generale uscì “Nuvole rapide” e fu subito prima in classifica. Alla fine fu un sospiro di sollievo ma anche un “Vaffa” a tutto il mondo intorno a noi che ci aveva messo quella pressione addosso”.
Ora toccherà ad uno di voi, Samuel, prendere il ruolo di tutor e guida, direttamente da una delle poltrone di giudice di XFactor. Cosa ne pensi e cosa vi ha raccontato di questa esperienza che per lui è già cominciata?
“C’ha raccontato che voleva fare questo esperimento, che voleva mettersi sotto quei riflettori. Devo dire che arrivare a più di vent’anni di storia sempre con la stessa formazione vuol dire anche fare in modo che tutti quanti si sentano sufficientemente liberi, siamo molto consapevoli del fatto che ormai la storia del gruppo è la storia del gruppo e le vicende dei singoli e i giri di giostra che ognuno di noi fa nei propri ambiti, io con le mie cose più sperimentali, Boosta con i suoi crossover tra letteratura e musica, Vicio con lo yoga, Samuel da cantante, sono episodi che alla fine non hanno molto a che fare con la vicenda del gruppo”.
Alla fine un dubbio rimane: come hanno fatto i Subsonica a declinare al grande pubblico, caso più o meno unico in Italia, una musica di nicchia come il rock/pop elettronico?
“Il segreto dei Subsonica è un po' quello della musica pop, senza equivocare con tutto ciò che solitamente viene confuso con la musica leggera. La musica pop ha l’ambizione di rendere in forma canzone la complessità del mondo, non solo tutto ciò che si muove a livello sonoro, ma anche tutto ciò che c’è di stimolante nelle arti visive, tutto ciò che è la situazione nel mondo in quel momento dal punto di vista dei temi, delle grosse speranze, delle ansie. Diciamo che le nostre canzoni tentano di non avere filtro, si muovono su più livelli, c’è sicuramente la parte più coinvolgente della nostra musica che ha a che fare con il ritmo, che è qualcosa che accomuna subito, che è facilmente comprensibile, che garantisce comunque una fluidità. Su questo ritmo noi applichiamo tutti quelli che sono i nostri stimoli, la nostra grossa curiosità, la nostra voglia di ricerca e creiamo della musica pop. Non saprei descriverlo altrimenti”.
Una rivoluzione pop dunque, nella sua accezione più nobile, affrontata con uno stile cool che nessuno riesce a dominare come loro nel nostro paese. Otto dischi potevano ammorbidirli, invecchiarli o, peggio, appiattirli; invece i Subsonica sono riusciti nell’impresa di restare Subsonica, di restare in qualche modo, quella band “da sottoscala”, che forse paradossalmente rappresenta la parte della loro anima di artisti più nobile, ma anche più bella.