L unedì 23 settembre il “Barone Rosso” di Red Ronnie è tornato a volare. Tre ore di musica di altissima qualità, raccontata da quello che è uno dei volti più importanti della storia del giornalismo musicale italiano ed eseguita da ospiti del calibro di Morgan e Leon Hendrix, fratello maggiore d’arte di Jimi, ospiti proprio della puntata d’esordio.
Da anni Red Ronnie è sparito dai radar per quanto riguarda i grossi network televisivi italiani, senza aver mai perso però quell’appeal unico con un pubblico appassionato di un certo tipo di musica, di qualità ovviamente. Questo perché Red Ronnie, pseudonimo di Gabriele Ansaloni, classe ’51, è ancora oggi uno dei pochissimi punti di riferimento per un certo tipo di giornalismo musicale.
Un giornalismo che non china il capo di fronte a nessuno, nemmeno davanti ai colossi del settore; testa dura per perseguire un obiettivo più alto, una devozione talebana nei confronti della musica e la voglia e la capacità come pochi, forse come nessuno in Italia, di raccontarla. In tutti i modi possibili. Lunedì infatti ha colto l’occasione per annunciare anche l’avvio di Red Ronnie Tv, canale in abbonamento inglobato dalla piattaforma Teyuto.
“È come un Davide contro i vari Golia (Apple Tv, Disney, Amazon, Netflix…), ma il materiale che si trova qui è unico, non si è mai visto da nessun’altra parte. Ed è qualcosa di pazzesco perché ci sono trasmissioni che sono andate in onda e magari hai visto ma le ricordi vagamente, oppure che non hai mai visto perché eri troppo giovane per poterle vedere”.
L’impressione al momento è che la musica in tv, talent a parte, non funzioni più…
“Perché è fatta male e poi perché l’auditel è tarata su un pubblico anziano. La televisione è vista da un pubblico che non ha meno di 50 anni, soprattutto ignorante, nel senso che ignora. Io non divido il pubblico in giovane e anziano, anche perché l’età è diventata molto relativa, ma lo divido in pubblico attivo e passivo. Il pubblico passivo è quello che si siede su un divano e guarda la televisione, mentre il pubblico attivo esce, se guarda qualcosa lo fa su uno smartphone, sul computer…Se tu tari su un pubblico passivo, anziano, inevitabilmente, per fare audience, devi utilizzare una musica da karaoke, cioè devi mettere canzoni del passato, allora la gente sta lì e ricorda. Ma non puoi mettere nulla di nuovo”.
Quindi è un problema di pubblico?
“La musica in tv non funziona perché è fatta male ma, soprattutto, non genera nuovi artisti. La musica di oggi non permette agli artisti che ci sono, e ce ne sono, e sono validissimi, io ne incontro in continuazione, di avere il giusto spazio. Un nuovo artista, anche quando bravo, in radio non ci va assolutamente, e per passare dalla tv deve andare in un talent a fare le canzoni degli altri, del passato o di artisti stranieri, non le sue. E questo sistema sta facendo cambiare mestiere ai veri artisti”.
È questo il motivo per il quale non si trovano artisti capaci di raccogliere l’eredità dei grandi del nostro cantautorato?
“Se ci pensi, nei talent che hai visto, se ci andasse un giovane Lucio Dalla, lo prenderebbero? Probabilmente no. Stiamo facendo cambiare mestiere ai Gino Paoli, ai Lucio Dalla, ai Fabrizio De Andrè, ai Guccini, ai Vasco Rossi, perfino ai Jovanotti; l’unico che ora potrebbe andare avanti sarebbe Gianni Morandi, ma delle icone che noi abbiamo nessuna avrebbe avuto l’opportunità di fare ciò che ha fatto”.
Quindi come funziona il sistema musica oggi?
“Hanno creato un mondo di algoritmi. Le radio, anche per andare incontro a Spotify, hanno ridotto i tempi in cui i dj parlano, ora sono venti secondi, e tu dimmi in venti secondi cosa puoi dire se non una cagata. Ormai l’annuncio del titolo che sta per andare è una perdita di tempo, tanto la canzone che metterà la conosci, la canti, sono sempre quelle 100 canzoni, perché devi rassicurare il pubblico. Così facendo nessuno ascolta più la radio, la senti in sottofondo ma non la ascolti, è una marmellata informe su cui si fondono anche gli spot pubblicitari, e non ascolti più niente. Hanno disabituato le persone ad essere curiose, non sono più portate a scoprire quello che non conoscono. Enrico Ruggeri mi ha fatto notare una cosa molto interessante: se vai a Londra e guardi quali concerti vanno in scena dici: “Ah, questi che suonano non li conosco, andiamo a sentirli”. In Italia guardi e dici: “Ah, questi non li conosco quindi non andiamo a sentirli”.
Il live però negli ultimi sono tornati centrali nel meccanismo discografico.
“Paradossalmente quelli che senti di più in radio sono quelli che non fanno pubblico dal vivo, come se andare in radio ti togliesse la credibilità. Eppure sono popolarissimi in tv, gli danno premi fittizi tipo “Questo premio è per la canzone più suonata nelle spiagge dell’Adriatico!”, si inventano premi pur di dare premi a tutti, però la realtà è un’altra”.
Quest’anno Sanremo compie 70 anni, ma come sarebbe un Sanremo di Red Ronnie?
“Io non posso pensare come sarebbe il mio Sanremo, non solo perché non mi hanno mai chiamato né chiesto nulla, ma non mi hanno mai offerto nemmeno il dopofestival. Io mi sono creato apposta uno spazio con redronnie.tv, lì ci farò anche una maratona di 12 ore usando solo i vinili, cioè per 12 ore ascoltiamo dischi insieme, e voglio raccontarla la musica. Ti faccio ascoltare “Come sempre”, lato B di un disco di Claude Francois, e ti racconto di come questa canzone sia diventata poi “My Way”, scoperta da Paul Anka, la storia della mafia che era dietro a Frank Sinatra e di quando fecero un attentato a Francois perché volevano che lui cedesse tutti i diritti…cioè, quella canzone la ascolti con un’altra attenzione”.
Qualche artista che chiamerebbe sul palco dell’Ariston?
“A Sanremo vorrei vedere Nyvinne, che è già stata scartata due volte, ti direi Ilaria Argiolas, Antonella Lo Coco, Kumi…e se noti sono tutte donne. Oggi le cantautrici sono quelle che stanno scrivendo le cose più interessanti”.
Tra i più conosciuti invece?
“Ti direi Enzo Gragnaniello, ti direi Morgan, ti direi Gino Paoli…”
Ma forse sarebbe lui a non accettare…
“Se lo facessi io, verrebbe. Sicuro.”
Quello di Amadeus invece come sarà?
“Non lo so, non me ne preoccupo. Amadeus è una persona che conosco, che stimo da quando facevamo Radio Deejay insieme ai tempi di Cecchetto, ma non lo so che Sanremo farà. Poi tu dici “Sanremo di Amadeus” ma chi è che poi gestisce tutti gli intrighi, anche all’insaputa di Amadeus? I giochi che ci sono dietro, le imposizioni… credo che uno che fa Sanremo non sia libero di scegliere, anche se è direttore artistico del cast. Non credo neanche che Baglioni sia stato libero di scegliere il cast, infatti voleva assolutamente Dolcenera ma hanno fatto in modo che Dolcenera non ci fosse. Il problema è che quando si parla di musica in Italia, si parla di Sanremo. Ma siamo sicuri che Sanremo faccia bene agli artisti? Aldilà di una settimana in cui il loro ego viene accarezzato, esaltato e portato alle stelle. L’ultimo Sanremo, per esempio, ha fatto bene a Nek? Ha fatto bene a Renga? Ha fatto bene a Paola Turci? Gli Ex-Otago hanno fatto qualcosa dopo Sanremo? Guardati il cast dell’ultimo Sanremo e poi dimmi a chi ha fatto bene. Ultimo aveva bisogno di Sanremo? Dove per altro ha sbroccato perché gli avevano garantito la vittoria…”
In che senso gli avevano garantito la vittoria?
“Certo, si sapeva fin dall’inizio. Poi le indagini di Striscia la Notizia hanno fatto si che dovessero cambiare cavallo in corsa”.
La sua esclusione dal circuito mediatico legato alla musica effettivamente è singolare…
“Io non mi stupisco più. Anche perché io la televisione l’ho rifiutata. Dopo “Una rotonda sul mare” mi chiamò Berlusconi, eravamo io e lui da soli ad Arcore, e mi disse “Lei è la mia gallina dalle uova d’oro, lei mi ha fatto un programma costato 220 milioni, quando i miei programmi costano 3 miliardi, e mi ha fatto 7 milioni di audience quando i miei programmi solitamente fanno 3 milioni; quindi lei deve smettere di fare “Bababalupa” (non sapeva pronunciare “Be Bop a Lula”)”. Ed io risposi “Dottore, io non mi sono divertito, inoltre “Una rotonda sul mare” è costato così poco proprio perché ho fatto “Bababalupa” (e lì mi sono vergognato a chiamarlo “Bababalupa”, ma non potevo più nominarlo correttamente), gli artisti partecipavano credendo che il programma facesse del giornalismo”. Lui mi ha offerto un assegno in bianco, dicendomi “lei deve diventare il sostituto di Mike Bongiorno, Bongiorno è vecchio, etc etc…”, poi si mise al pianoforte a suonare una canzone e mi chiese un parere; quando mi salutò mi disse “Guardi, lei è l’unico che mi ha tenuto testa”. Quando uscì dal viale della villa, mentre ancora si stava aprendo il cancello, ricevetti la telefonata di Freccero che mi chiese “Cosa hai combinato?”, io ho risposto “è andata benissimo”, e lui fa “No, veramente Berlusconi mi ha chiamato per dirmi che tu non devi più lavorare”. Così il mio posto andò a Jerry Scotti, giustamente, che lui è molto più bravo di me”.
E poi cosa successe?
“Visto che non mi fanno più lavorare vado a fare “Roxy Bar” su Videomusic, vinco tre telegatti e sto sul cazzo, perché vincere tre telegatti su Videomusic, che aveva il 50% di illuminazione in meno, quindi era vista su metà del territorio italiano, battendo Sanremo e il Festivalbar, non è che poi ti rende simpatico al mondo della televisione. Quando poi la sinistra italiana capitanata da Veltroni ha tirato la volata a MTV, ricordo l’Unità che fece la campagna “Salviamo MTV”, in realtà avevano uno scopo: dare la rete Videomusic a MTV, quindi MTV immediatamente mi ha cancellato perché io per dieci anni gli avevo fatto il culo”.
Ma lei continua a muoversi, ha anche intervistato Fidel Castro, no?
“Sì, nel 2002 torno da Cuba con un’intervista di due ore a Fidel Castro, dove parliamo di cultura, di John Lennon, parliamo perfino dei Manic Street Preachers; mi sento con il direttore di un telegiornale, non ti dico chi, per proporla, e questo mi dice “Red, ca fatto Fidel interessa solo a Minà”, in quel momento ho capito che avrei fatto televisione senza andare in onda”.
È nata così l’idea di Roxybartv?
“A quel punto, siamo nel 2011, decido di andare sul web con roxybartv, il problema è dopo un paio di mesi, il 7 febbraio 2012, 60esimo compleanno di Vasco Rossi, faccio due milioni di spettatori, la cosa esce su tutti i giornali e ricomincia la guerra, sia a me che alla piattaforma”.
E nessuno ha pensato di coinvolgerti, perlomeno nel tuo ambito dove sei un’autorità…?
“Se sei fuori da un sistema, non hai nessuno che ti venga a dire “vieni dentro”. Io rappresentavo un pericolo”.
Si riferisce anche alla sua lotta sul vegetarianesimo?
“Parlarne oggi è normale ma quando io nel ‘90 cominciai a rifiutare la pubblicità di prodotti dannosi per la salute sono diventato un problema, così come quando ho rifiutato dei prodotti alcolici all’interno di Roxy Bar (mi offrivano un miliardo allora per fare pubblicità). Mi hanno appiccicato addosso questa etichetta di “ingestibile”, che non è affatto vero, io sono la persona più affidabile che c’è, non ho mai sbagliato un colpo, mai sbagliato un programma, mai arrivato in ritardo, non ho mai fatto casini con i miei programmi, mai nemmeno un litigio, e forse è stato quello il problema”.
E allora come vorrebbe i suoi prossimi “Barone Rosso”?
“Io a Barone Rosso ho messo insieme due geni che sono Morgan e Alessandro Quarta, con in mezzo Megahertz. Una jam session corale dove si passava da Bach a Beethoven, alle canzoni di Morgan, fino a “Yesterday” dei Beatles e Astor Piazzolla. Questo è quello sul quale io punto”.
Forse potrebbe essere questo il problema, musica troppo intellettuale per il grande pubblico?
“Non è intellettuale, perché tutte le persone che si collegano poi impazziscono. Ma il mio compito non è cercare il consenso, è cercare di incuriosire le persone riguardo quella che è la buona musica. E ci sto riuscendo”.