Michael Jackson che entra in pretura a piazzale Clodio a Roma, convocato per rispondere di un plagio ai danni di Al Bano Carrisi, è solo una delle tante bizzarrie che gli annali della musica ci hanno regalato. Forse non il caso di plagio musicale più famoso della storia, sicuramente quello del quale si è più discusso in Italia.
Il re del pop mondiale Michael Jackson nel comporre la sua “Will you be there” si sarebbe ispirato a “I Cigni di Balaka” del nostro Al Bano, che ai tempi, a La Repubblica, stizzito commentava così tutte le voci che consideravano la storia semplicemente ridicola data la “distanza” artistica con la star mondiale: “Solo in Italia i critici ci snobbano, in Germania ed in Austria il disco che conteneva la canzone incriminata è stato disco d'oro e in gran parte dei paesi dell'Est è diventato un inno. Non mi meraviglierebbe, visto che ha avuto successo anche in America, che il disco sia capitato nelle mani di qualcuno dell'entourage di Jackson e che da questo sia nato il plagio".
Effettivamente alla fine il giudice diede ragione alla parte italiana condannando Michael Jackson a risarcire Carrisi con 4 milioni di lire (il cantante pugliese aveva chiesto 5 miliardi). Al Bano propose anche una soluzione alternativa: sancire la pace con un duetto, ma Jackson preferì mettere mano al portafoglio. La vicenda non si risolse lì, solo qualche mese dopo infatti i due si ritroveranno dalla stessa parte, citati dalla Sony, che sosteneva che entrambi i pezzi si fossero smaccatamente ispirati a vecchie canzoni blues delle quali l’etichetta possedeva i diritti.
Questa è solo una delle tante storie di plagi che vengono in mente oggi, leggendo della notizia della condanna di Katy Perry decisa da un tribunale di Los Angeles secondo il quale “Dark Horse”, terzo brano estratto dall'album “Prism” è stato copiato da “Joyful Noise”, canzone del rapper cristiano Marcus Flame Gray.
Ancora non è stato deciso quanto questo scherzetto peserà sul portafoglio della Perry, ma considerati i precedenti non ha certo di che stare allegra. Si, perché di precedenti, anche illustri rispetto artisti coinvolti e canzoni presumibilmente copiate, ce ne sono tanti, e ancor di più sono i fiumi di denaro che scorrono ancora oggi da parte a parte in forma di risarcimento.
Molti non sanno (in Italia, perché negli Stati Uniti la vicenda divenne uno vero e proprio reality) che il 50% dei proventi della hit mondiale “Blurred Lines” di Robin Ticket, scritta insieme a Pharrell Williams, ad oggi finisce nelle tasche della famiglia di Marvin Gaye. Un tribunale infatti ha giudicato il pezzo un po' troppo simile al capolavoro “Got to Give It Up” pubblicato nel 1977; in più la famiglia Gaye ha ricevuto ben 7 milioni di dollari.
Un’altra storia particolarmente celebre è quella che riguarda una canzone che ormai si è fatta spazio nella storia dei brani più belli mai stati scritti;:il titolo è “Bittersweet Symphony”, pubblicato nel 1997 dai Verve e diventata un successo mondiale. Se andate a controllare oggi però, vi accorgerete che nei credits compaiono solo i nomi di Mick Jagger e Keith Richards. Questo perché i Rolling Stones fecero causa ai Verve perché il loro successo ricordava un po' troppo la loro “The Last Time”, pubblicata più di trent’anni prima (era il 1965). All’inizio le due band si accordarono su un risarcimento pari al 50% delle royalties, poi, messi alle strette dalla minaccia di un’ulteriore causa dovettero cedere l’intero pacchetto agli Stones, che si portarono anche a casa il Grammy che come miglior canzone vinto da “Bittersweet Symphony”, una vera beffa.
La vicenda che ha visto contrapposti Vanilla Ice da un lato e Queen e David Bowie dall’altro, invece non è nemmeno arrivata in tribunale. Ice per aver copiato parte di “Under Pressure”, compreso soprattutto il famosissimo riff di basso iniziale, per la sua “Ice Ice Baby”, pubblicata otto anni più tardi quello storico duetto, patteggiò un risarcimennto e l’inserimento di Queen e Bowie tra gli autori.
Perfino i Beatles non furono esenti da accuse di questo tipo, in particolare George Harrison, accusato nella sua “My Sweet Lord” (1970) di aver copiato “He’s So Fine”, la hit del ’62 scritta da Ronnie Mack per le Chiffons. Harrison venne ritenuto da un tribunale di “plagio inconscio” (prima volta nella storia) e condannato a pagare una multa di 587 mila dollari.
Anche un altro capolavoro della storia del rock come “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin venne analizzata in un tribunale e considerata troppo uguale in certe parti del testo a “You Need Love” di Muddy Waters, scritta da Willie Dixon nel 1962. Plant nel 1990 continuava a sostenere che “Il riff di Page è il riff di Page”, ma la cosa si risolse con un patteggiamento segreto e l’inserimento di Dixon tra gli autori; cosa che, inutile dirlo, vale una fortuna.
Ma il plagio che forse ha fatto più clamore, essendo una delle prime cause intentate in questo senso, è quella che ha visto contrapposti i Beach Boys e Chuck Berry; oggetto della disputa una delle canzoni più popolari della storia della musica: “Surfin’ U.S.A.”, incisa nel 1963, giudicata uguale a “Sweet Little Sixteen”. Un plagio, quest’ultimo, assodato anche senza l’intervento di un tribunale, tant’è che l’entourage dei Beach Boys decise a cedere immediatamente al Barry (ufficialmente alla sua Arc Music) tutti i diritti di distribuzione e ad inserire il suo nome tra gli autori.
Chiaramente questi sono solo i casi più eclatanti, in rete quello del plagio musicale è un argomento che tira sempre moltissimo, c’è anche un sito che tiene aggiornati gli utenti interessati, www.plagimusicali.net, che “senza fini di lucro, vuole promuovere l’attività didattica/formativa e di ricerca destinata a musicisti, studenti ed addetti ai lavori, nel rispetto dell’art. 70, comma 1-bis, della Legge n. 633 del 22 aprile 1942, mettendo in risalto le somiglianze nel mondo della musica”. Dentro si trova un corposo archivio delle canzoni plagiate che non risparmia davvero nessuno, secondo il quale tutti, da Vasco Rossi a Fabrizio De Andrè, per fare due esempi eclatanti in Italia, si sarebbero fatti ispirare da opere altrui. Chiaramente non tutti questi plagi sono finiti oggetto di causa in tribunale, anche perché alla fine a decretare successo o insuccesso di un brano, sua vita o morte, è pur sempre il pubblico e, come sostiene riguardo l’argomento lo stesso Robert Plant “ti beccano solo quando sei famoso”.