AGI - Gazzelle che cresce, che continua a rappresentare il sentimentalismo, un po' cupo, decisamente liberatorio in un’epoca di invincibili da social, di un’intera generazione; Gazzelle che non nasconde nulla, che vive di questo strip musicale integrale e, nonostante ciò, capace di proporre anche delle hit pronte ad esplodere nei live, uno naturalmente in particolare, quello del 9 giugno allo stadio Olimpico di Roma.
“Dentro” che non è un titolo scelto a caso, “Dentro”, probabilmente per mettere in evidenza quanto in fondo si sia scavato per raggiungere questo risultato, la composizione di un disco senza sbavature che, soprattutto, pone Gazzelle su un piano del tutto diverso rispetto ai procacciatori di stream, a quei colleghi che non cercano di raccontare qualcosa ma solo una formula facile facile per accumulare consenso e visibilità, senza dire niente, come drogati da quei 15 minuti di notorietà e di quelli, e solo quelli, campare.
Gazzelle ha invece raggiunto, grazie ad una narrazione sempre coerente, uno status tale che può anche disinteressarsi di ciò che va oggi, ma stiracchiare il proprio talento in totale libertà, nella direzione che più preferisce, che porti a collaborazioni con Thasup o con Noyz Narcos o con Fulminacci, così come succede in questo nuovo lavoro, e riuscendo ad incastrarsi con serenità, forte della naturalezza e autenticità del suo modo di concepire la musica, che non si alimenta di furbizia ma di necessità e racconto.
Non è la classica vigilia dell’uscita di un disco, perché domani c’è un live importante…come stai vivendo questo momento?
Sono molto concentrato, sono due cose importanti.
Qual è la cosa che ti esalta di più e quella che ti preoccupa di più del concerto del 9 giugno all’Olimpico?
La cosa che mi esalta di più è l’idea che farò uno stadio, l’idea che succederà questa cosa, che canterò davanti tanta gente in un posto simbolico, enorme, dietro casa. Quello mi esalta: capire che succederà veramente, che dopo averlo annunciato arriva il momento di farlo. La cosa che mi preoccupa è che è l’unico concerto che farò quindi sarà tutto in uno, dovrò mettere tutto là dentro e quando l’avrò fatto avrò subito la voglia di farne un altro.
In effetti molti pensano all’ansia prima, ma è pressante anche l’ansia dopo… Si infatti, dopo sarò vuoto, sarà difficile che qualcosa mi riempia nello stesso modo. Visto che suonerai in uno stadio utilizzo una metafora calcistica: tu il 9 giugno giocherai in casa, a Roma, alla quale hai dichiarato una canzone davvero toccante; ti senti più al sicuro? Che rapporto hai con la città? Perché nella canzone ne parli come di una donna con la quale si può litigare, lasciarsi, riprendersi…
Si, volevo scrivere una canzone sulla mia città, cosa che non avevo mai fatto. Però l’ho interpretata come se fosse una storia d’amore con una donna, quindi parlo di Roma ma se cambio il titolo potresti pensare che si tratta di una canzone d’amore.
Perché questo è il mio rapporto con Roma, d’amore, ma anche d’odio, come tutti penso con la propria città. Roma è una città superba, che campa di rendita di quando era la città più importante del mondo, e lo è stata per secoli; poi si è un po' adagiata su questa cosa, come a voler dire “Quello che dovevo fare l’ho fatto”.
È una città che ti mette alla prova, che pretende tanto da chi ci abita, bisogna adattarsi, bisogna essere bravi a saperla vivere, ma in compenso poi lei ti regala tante altre cose che solo lei può regalarti; e questa roba mi ricordava molto proprio il rapporto con una persona, una relazione d’amore, quindi volevo scrivere una canzone così, dove c’era dell’umanità, dove chiedo a Roma di perdonarmi, ma le dico che è una stronza, che mi toglie il fiato e la ringrazio per avermi dato tante cose…
Nel momento in cui hai scritto i brani di questo album pensavi già ad una dimensione live?
Penso a “Idem”, a “Flavio”… In realtà no, è ovvio che sapendo che devo fare uno stadio viene automatico immaginarsi questa cosa, però non scrivo mai una canzone pensando a dove la canterò, c’è tutto un altro tipo di processo creativo nella mia testa. Però dopo averla scritta, soprattutto “Flavio”, riascoltandola effettivamente ho immaginato tutto lo stadio cantare “Flavio, dai!”… …sarà un bel momento……si
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Tu vieni fuori da una determinata generazione di cantautori, e secondo me di quella generazione di cantautori sei uno dei pochi che è riuscito ad evolversi senza la necessità di snaturarsi…
Un po' mi ci impegno in questa cosa, un po' fa parte della mia mentalità, della mia attitudine, della mia visione del fare questo mestiere. La mia idea è quella di non sputtanarmi mai, ma di riuscire comunque ad evolvermi, ad allargare il pubblico e arrivare a più orecchie possibili, è quello il mio obiettivo alla fine: che ci sia sempre più gente ad ascoltarmi.
Però non voglio mai vendere l’anima al diavolo, cerco di fare le cose mie, più le faccio e più cerco di capire quali sono i miei punti forti, cerco di non snaturarmi, di non deludere chi mi segue dall’inizio, ma soprattutto non deludere me stesso. Io preferirei smettere di cantare piuttosto che diventare un cantante patetico che non crede in quello che fa.
Ma qual è il segreto di Gazzelle secondo te?
Fondamentalmente non lo so, ma credo di non assomigliare a niente. Nella mia semplicità credo di essere unico, solido, sono così e non cambio; questa cosa è la mia forza. Sono completamente a disposizione dell’arte, è la mia velleità unica, non sono un uomo d’affari, sono semplicemente un artista e lo faccio alla vecchia maniera: scrivo le canzoni e penso a quello.
Stai diventando l’artista che sognavi di diventare?
No, nella mia testa, per come me l’immaginavo, sarei dovuto morire anni fa. Il mio ideale di artista era fare una carriera molto corta, molto intensa, e poi morire. Ma poi alla fine non è successo.
Meglio così…
Ai posteri l’ardua sentenza.