AGI - C’è la musica che dà e la musica che toglie. La musica che dà è per tutti, è facile, è la musica che può essere studiata a tavolino, come una ricetta, deve far sentire l’ascoltatore, in qualche modo, pieno, sazio, deve riempire i buchi, anche alla meno peggio. La musica che toglie invece è quella più interessante, è quella che i buchi, al contrario, li crea, è quella che ti fa crollare un pezzo di cuore con un verso, basta anche un accenno, un’intonazione, una parola, una nota, e ti senti punto alla bocca dello stomaco, ti accorgi che i tuoi occhi non si guardano più intorno con quella superficialità, cambia la luce, cambia la nostra lettura della realtà. Questo fa la musica vera e, purtroppo, se ne produce sempre meno. Poi fortunatamente c’è il maestro Sergio Cammariere che in questo senso non è che toglie, rade proprio al suolo. “Una sola giornata” è un album stupendo, che riprende, anche grazie alla meravigliosa penna del fido Roberto Kunstler, quel capolavoro assoluto di “Dalla pace del mare lontano”, certamente uno dei più bei dischi italiani di sempre. I brani sono carezze per le orecchie, quella voce calda, assorbita da quel tocco musicale così raffinato, risulta davvero impagabile, un’esplosione di poesia e delicatezza che non lascia scampo ma, soprattutto, istintivamente, ti costringe a portare le mani al petto, come se una parte di te stesse volando via e tu la volessi bloccare. Una felice violazione del tuo sentimentalismo, tanto che poi alla fine non denunci nemmeno il furto, se è un pezzo di cuore il prezzo da pagare per ascoltare musica di questo spessore, allora va bene.
Cosa si può aspettare il pubblico da questo suo nuovo lavoro?
Un viaggio nuovo fatto di 13 canzoni, dove s’incontrano la mia musica e la poesia di Roberto Kunstler. Le prime melodie sono nate tempo fa, ma prima di arrivare alla pubblicazione c’è stato un grande lavoro, una sorta di scrematura durata anni. Nel periodo della pandemia ci siamo concentrati molto a cercare il suono delle parole. Credo che il mio pubblico si aspetti da me quello che sono, un musicista sincero che vive per la musica.
Ascoltando l’album si ritrovano un po' le atmosfere di “Dalla pace del mare lontano”, ma vent’anni dopo la discografia italiana è totalmente rivoluzionata; qual è l’aspettativa, anche in termini di ricezione da parte del pubblico? Gli album così impegnati, significativi, che vita hanno oggi?
È vero, in questo disco molti quadri ricordano il mio primo album “Dalla pace del mare lontano”, è un ritorno alle origini. Chi mi conosce sa che dopo il successo non è cambiato il mio modo di essere o di fare musica.
Sembra che per una certa poetica, una certa delicatezza, purtroppo non si trovi più spazio, come mai spesso non si riesce a far passare al pubblico il concetto che anche la musica impegnata può essere molto divertente, nel suo disco ci sono diversi esempi…
Ci sono canzoni riflessive come “Una sola giornata” ma anche canzoni più surreali come “Colorado” che tra le righe induce in un sorriso.
Nel suo prossimo album Mina canterà la sua “Tutto quello che un uomo”, cosa si prova ad essere scelto dalla più importante interprete della storia del pop italiano?
Un premio alla carriera, un sogno realizzato, un bellissimo regalo, non vedo l’ora di ascoltarla in una tonalità diversa, sarà emozionante.
Mina è presente anche nel prossimo album di BLANCO, che è uno dei maggiori rappresentanti del nuovo pop italiano, lei in questi anni ha individuato dei giovani artisti, magari anche lontani dal suo ambient musicale, che l’hanno impressionata?
Mi piace molto AINÈ, fuori dai nostri confini apprezzo molto Lizzy mcAlpine, una giovane cantautrice americana
Lei rientra nella lista di quegli artisti che hanno maturato uno status tale da poter fare musica senza pensare ai numeri, allora cos’è che ancora sogna per la sua carriera?
D’incontrare grandi anime musicali come è già capitato in passato con Toots Thielemans, Gal Costa, Lucio Dalla e Gino Paoli.
Ha scritto per il nuovo film di Pupi Avati il brano “La quattordicesima domenica”, che esperienza è stata lavorare con uno dei maestri del cinema italiano?
Lavorare con Pupi è stata un’esperienza fondamentale di crescita umana e professionale. Mi ha cercato due anni fa, la prima volta mi parlò di questo nuovo progetto cinematografico e della canzone, che poi è diventata il tema del film. La svolta è arrivata con la prima quartina di Pupi, che si presentava con un endecasillabo e un quinario: “Ovunque nella stanza ci son sogni non realizzati/s’involano lontano nel silenzio terre remote”. Era quello che aspettavo, è stato l’incipit per farmi creare una melodia aderente a questa metrica. Successivamente, nello scambio di mail, tra frasi poetiche e audio files, in un paio di settimane abbiamo chiuso il componimento ed è nata una nuova canzone, struggente e allo stesso tempo molto evocatica, che ricorda per certi versi Luigi Tenco. Alla fine ci ha affiancato in questa avventura Lucio Gregoretti, compositore di fiducia di Pupi, che ha arrangiato gli archi in stile Jackie Gleason, secondo i suggerimenti del regista.
Dev’essere stato un confronto dagli alti tratti intellettuali…
Lavorare con Pupi è molto semplice perché lui sa cosa vuole e cosa sta cercando prima di inserire un suono, una musica o un rumore nella sua opera. È una persona musicalmente molto preparata, ha gusto e conoscenza. Ad esempio nei titoli di testa del film voleva un pianoforte stile Bill Evans, e così è stato, poi si è aggiunto il tema con l’orchestra d’archi.
Nel film il suo brano è anche cantato dai due protagonisti Gabriele Lavia e Lodo Guenzi, che è anche un membro del collettivo musicale Lo Stato Sociale, una di quelle realtà che dieci anni fa hanno rivoluzionato il cantautorato indie…
Devo confessarti che anch’io mi sento un po’ indie, dal 2016 tutti i miei dischi sono stati prodotti da Jando Music etichetta indipendente e da Parco della Musica records. Qualche anno fa ho conosciuto Lodo a Sanremo, eravamo ospiti nello stesso albergo, lui con lo Stato sociale in gara, io ospite di Nina Zilli. Il destino ha voluto che le nostre vite artistiche s’incrociassero in questa opera cinematografica, lui con una interpretazione straordinaria nel ruolo di attore, io con la mia canzone “La quattordicesima domenica”
Guardando alla sua carriera, crede di essere diventato l’artista che desiderava diventare quando ha cominciato a suonare?
Quando ho lasciato la mia terra, Crotone, a 18 anni per dedicarmi a questo grande sogno, non immaginavo ancora quanto possa essere sorprendente la vita. Oggi sono un uomo consapevole di aver raggiunto traguardi che pensavo irraggiungibili