AGI - Vinicio Capossela butta un occhio alla politica e ci mette tutti dalla parte del torto, un’analisi poetica davvero interessante la sua; interessante come il nuovo disco di Diodato, che propone un disco di rara delicatezza. Nitro, Gaia e Dente fanno uscire singoli, per ragioni diverse, imperdibili. Un disastro Tommaso Paradiso e Tony Effe; il primo è ancora una volta sbronzo di se stesso e totalmente vuoto di ispirazione, il secondo porge la guancia all’ennesimo pezzo rap “alfa”. A salvarci la perla che ci regalano Colombre e Maria Antonietta, o Drast, che esordisce lontano dagli PSICOLOGI con un ottimo album, male ANNA, male Will, male Don Joe, quadrato e prevedibile Fabrizio Moro. Illuminano il weekend italiano in musica diversi giovani; meraviglioso il disco de La Niña, molto valido quello di Jocelyn Pulsar e ottimi i singoli di Vipra, BLUEM e Riccardo De Stefano. Chicca della settimana: NASKA – “A testa in giù”. A voi le recensioni delle nuove uscite della settimana.
Vinicio Capossela – “La parte del torto”: Probabilmente parliamo della canzone più direttamente politica della discografia di Vinicio Capossela; che ci piazza tutti dalla parte del torto, dipingendola come l’ultima rimasta, l’unica rimasta, l’unica, cavalcata e domata, che abbia anche un senso in termini di numeri. “Né destra, né sinistra/Solo potere d’acquisto” canta Capossela nel brano, il secondo ad anticipare “Tredici canzoni urgenti”, e il fatto che un cantautore dello status di Capossela senta l’urgenza di dedicare una canzone alla politica, o perlomeno all’assenza di un pensiero politico definito, la morte definitiva degli ideali, è entusiasmante da un lato e preoccupante dall’altro, perché vuol dire che quell’assenza fa parte della nostra umanità e, come ogni altro aspetto della nostra umanità, anche se parliamo di un buco che non sappiamo più come colmare, va raccontato con la poesia che merita. Cosa succede se, come racconta in pratica Capossela nel brano, la parte del torto diventa anche la parte del giusto, del doveroso, del conveniente? Probabilmente viene fuori l’Italia. Qualsiasi essere umano di nazionalità italiana dovrebbe ascoltare questo brano e poi, senza puntare il dito contro nessuno che non sia se stesso, pensare: “Ma come ci siamo ridotti?”. Diodato – “Così speciale”: La visione poetica della vita che propone Diodato nelle sue canzoni è utile. Questo perché la musica di oggi non fa altro che proporci brani che gonfiano petto e muscoli, scritti per raccontare forzatamente, didascalicamente, non l’essenza di chi canta ma l’essenza dell’immagine che si intende comunicare; quindi un fake, un’illusione, una vertigine, un’ombra. A Diodato, essendo artista vero, anche quando flebile, sottile, etereo, quell’aspetto lì della discografia non interessa; Diodato preferisce buttare giù brani ottimamente strutturati, puliti, lasciando stiracchiare la propria sensibilità, nei quali noi, se vogliamo, possiamo riconoscerci. E se possiamo riconoscerci in quei pensieri è perché quei pensieri sono autentici, li percepiamo vuoti di dinamiche discografiche, di ammiccamenti e infiocchettamenti vari. Non sarà l’album che aspettavano i rockettari più intransigenti, ma tanto quelli sono occupati a dare addosso ai Maneskin; invece piacerà molto a chi cerca nella musica un confronto, la traduzione emotiva, molto emotiva, alle volte forse anche troppo emotiva, del proprio sentimentalismo più spinto. In questo senso “Così speciale” ti esplode in faccia, come sangue nei film quando uno spara in testa ad un altro. Ecco. Tommaso Paradiso – “Viaggio intorno al sole”: Il titolo del brano è una metafora del tempo che ci vuole per seminare la bruttura del brano stesso, ma è talmente poco ispirato che, sospettiamo, ne serviranno almeno un paio di giri. Si tratta dell’ennesima canzone di Tommaso Paradiso impregnata di Tommaso Paradiso, di chi ha lasciato la vita vera per vivere un sogno, quello della popstar, che lo ha ingoiato e dal quale sembra non riuscire a risvegliarsi; perché non c’è niente di tangibile, niente di reale, è tutto plastificato, l’ambient musicale di Paradiso regala le stesse sensazioni di un museo delle cere, a qualcuno piacerà ma mica c’è nulla di vero. Nel frattempo il tempo passa, la musica si moltiplica, si complica, si apre a nuovi interpreti, nuove possibilità, e da “Space Cowboy”, senza alcun dubbio uno dei peggiori dischi della scorsa annata, forse degli ultimi dieci anni, forse anche della storia dell’umanità, non è cambiata una virgola. Non una maturazione, non una cosa da dire, non la volontà di pubblicare qualcosa che sia significativo per un qualsiasi maggiorenne abitante fuori i confini di Prati. Il nulla in musica, ma con la solita buona dose di presunzione. Carl Brave – “Remember”: Non è la prima rap ballad di Carl Brave, ma quella autentica nostalgia, costruita con la vitalità delle immagini che ci circondano ogni giorno, pezzo dopo pezzo, in questo brano esplode. “Remember” nella sua semplicità ipnotizza, arriva dritta dritta dove deve e non insegue mai una poetica alta solo perché alta, ma sempre perché funzionale al racconto. Davvero una buona canzone. Nitro – “Outsider”: Nitro sgancia un’altra mina, “Outsider” è il manifesto di chi non ci sta e racconta la sconfitta eterna di chi vorrebbe acquistare l’anima dei liberi in saldo. È un brano che foneticamente scoppietta tra le labbra, che rimbalza tra una citazione pop e un’altra, per disegnare i contorni di un contesto, il qui e ora, entro il quale si svolge la narrazione, per sfuggirlo, per spernacchiarlo, per liberarsene. La musica di Nitro è quella della quale abbiamo bisogno, speriamo solo di meritarcela. Gaia – “Estasi”: L’intento evidentemente pop, evidentemente radiofonico, non resetta, come quasi sempre accade, l’enorme classe e grazia e fascinazione dei brani di Gaia, che si conferma una delle interpreti con il maggiore potenziale a livello di sound internazionale. Il brano è ottimamente bilanciato tra la freddezza e l’efficacia della parte tech e il calore e la morbidezza della sensualità del cantato, ormai un tratto distintivo del lavoro di Gaia. Tutto ok insomma. Dente – “Allegria del tempo che passa”: La poetica delicata di Dente, elettrificata dal tocco scanzonato dei Selton, che possiamo decifrare nei cori e nella chitarra che tira le fila del brano. Dente fa spallucce, il tempo passa e non si può acchiappare per la coda, e si porta dietro tutto ciò che succede rendendolo, di fatto, inutile, eppure l’unica cosa che davvero conta. Dente ci fa notare il problema e ci spiega anche che non c’è niente da fare, ma ci indica anche la via più facile per accettarlo: ascoltare la sua bella canzone. Tony Effe – “Boss”: Tony Effe, per chi fosse disinformato, è uno dei membri della Dark Polo Gang, per chi fosse disinformato, uno dei progetti discografici più interessanti e incisivi e, allo stesso tempo, musicalmente miseri della storia della musica italiana. In “Boss” il trapper romano campiona “In da club” di 50 Cent e solo per questo il brano risulta ascoltabile, il contenuto è pressoché inesistente, solita noiosissima tiritera su droghe, donne, vita da gangster, il tutto cantato (cantato…diciamo più esposto) con l’alito che sa di latte. “Volevo fare il boss – recita il ritronello - ma quale rap?”, ecco, appunto, ma quale rap? Fabrizio Moro – “Tutta la voglia di vivere”: Tutto semplice e strutturato, che poi è il segreto dei brani di Fabrizio Moro, e anche il loro limite. Questa quadratura, anche nell’interpretazione, quest’accessibilità totale, toglie un po' quel senso di avventura ascoltando un brano che non conosci. Se leggi che Fabrizio Moro ha pubblicato un brano che si intitola “Tutta la voglia di vivere”, sai già, cliccando play, cosa succederà; nel nostro caso che la cosa non si ripeterà e che la voglia di vivere rischia anche di venire meno, ma a molti piacerà, almeno finché non arriveranno alla maggiore età. Colombre feat. Maria Antonietta – “Io e te certamente”: Una canzone che pulsa d’amore e che mette insieme per la prima volta, discograficamente perlomeno, ed era ora, due cantautori di spessore come Colombre e Maria Antonietta. È un brano molto intimo, non poteva essere altrimenti, meraviglioso, non poteva essere altrimenti, un solletichino al cuore, di quelli che ti fanno scappare un sorriso a mezza bocca quando proprio non ti va, ma non sai resistere. Non è un brano, è un regalo. ANNA – “Energy”: Non che manchino intuizioni azzeccate in questo pezzo, e considerando che non arriva nemmeno a due minuti, tutto sommato, brava. I contenuti però sono davvero roba povera povera, immaginatevi la pagina del diario di una qualsiasi adolescente milanese. Ma scritto molto molto male. Drast – “Indaco”: Quello di Drast è un disco praticamente perfetto, rischia di colpire al cuore un’intera generazione, di ragazzi, di raccontarla senza mezzi termini e, soprattutto, per quella che è, senza la finzione social, senza la finzione imposta dal mondo rap. La costruzione del suono di questo album, il primo da solista dell’ala napoletana degli PSICOLOGI, è stupefacente; tutti i brani sono in qualche modo ispirati, in qualche modo spinti dalla necessità acuta di Drast di raccontare. Will – “Cinque giorni”: Karaoke di gran livello, si merita una birra piccola offerta dalla pizzeria della piazzetta di Pavullo nel Frignano, la miglior capricciosa in zona tra l’altro; dicono. Complimenti vivissimi. Don Joe – “Don Dada”: Questa seconda parte dell’EP di Don Joe, certamente tra i migliori producer della scena rap italiana, conferma le impressioni, un po' incerte, scaturite dalla prima: non basta. Non bastano i suoi cool per fare un pezzo, servono i contenuti, serve dire qualcosa che resti nella testa di chi ascolta; al momento, per quanto ci riguarda, salviamo solo “Pelle d’oca”, brano confezionato con Medy, del resto vi diremmo che faremmo volentieri a meno, ma la verità è che già dopo pochi minuti non ci ricordiamo nulla. Neima Ezza – “Avanti”: Buon brano, interessante questa cantilena studiata per trattare argomenti difficili, argomenti che mettono in risalto la debolezza di chi scrive, non la sua forza. Basta già questo ormai per rendere luminosa una qualsiasi opera rap. Vipra – “Guardami! – MANGO”: Un brano carico di cazzimma, provocatorio, trascinante, che smaschera il vuoto cosmico della bolla sociale con un giro di rock schizofrenico e genialoide. Bravissimo. La Niña – “Vanitas”: Che disco, che gusto, che raffinatezza. La Nina non si limita a portarci a Napoli, va oltre, ci fionda tra le nuvole, ci fa dare di gomito alla luna, ma tutto con pazienza, con la meravigliosa calma atavica del sud, con quella prospettiva di gustarsi tutto, del farsi prendere dal niente, niente che non sia musica pensata con artigianalità e definizione e poesia. Un disco che colpisce di fioretto, un colpo di tacco illuminante, la potenza espressa con tale naturalezza e sobrietà in otto brani, uno più bello dell’altro. Wow. Kaufman – “Kylian Mbappé”: Licenza pop disimpegnata per i bravi Kaufman, che utilizzano la corsa di Mbappé come metafora della vita che scorre veloce come quei treni che non sempre riesci a prendere, delle occasioni che sfumano, degli amori che finiscono, delle cose che si complicano. Forse la soluzione è fermarsi, respirare, riprenderci indietro un po' del tempo che ci viene rubato da sotto i piedi ogni giorno; o forse, perché no? è una bella canzone. NASKA – “A testa in giù”: Con questa “A testa in giù” NASKA ci risveglia dal torpore, un pezzo di carattere che ti fa venir voglia di saltare senza rinunciare al contenuto, alla visuale distorta, bizzarra, ma ugualmente tangibile di quando si guarda il mondo al contrario. Quella sensazione di sangue alla testa, di sbronza da far girare la testa, NASKA l’ha serenamente tradotta in musica. Ed è una bomba. Peter White – “Trattami come vuoi”: Cantautorato minimal, forse non memorabile ma ben fatto. BLUEM feat. Yasmina – “Moonlight”: L’eccellente BLUEM, una delle più interessanti nuove artiste del panorama femminile italiano (tutto, non solo indie), decide di rendere psichedelica l’antica leggenda delle Janas, “Piccole donne - riportiamo fedelmente da nota stampa - che si dice abitassero la Sardegna in antichità, vivendo in case scavate nella roccia (domus de janas) e tessendo l’oro per creare gioielli in filigrana. La sera, indossando le proprie creazioni, uscivano per ballare con gli esseri umani. Se trovavano persone oneste, le premiavano portandole nelle loro case. Se invece venivano ingannate o derubate, maledicevano la persona in questione facendo sì che tutto ciò che toccava diventasse cenere”. La capacità di BLUEM di prendere in mano una storia così affascinante per rimodellarla ad uso e consumo musicale, con insert tech consapevoli, funzionanti, intellettuali, è straordinaria. Centomilacarie – “Neanche anch’io”: Raro ascoltare l’EP di un esordiente che suona come questo di centomilacarie, in cui si sentono gli strumenti vibrare, il cantato che erutta come qualcosa di urgente e incontrollabile. Si chiama carattere e centomilacarie ne ha da vendere a quanto pare. “Senza la barba sono grande anch’io”, il nuovo singolo che completa l’opera, è un grido adolescenziale ma molto serio, che riempie quella fase della vita durante la quale ci si può permettere, beatamente, di ignorare quali siano i problemi veri, ma che non per questo quando si gonfia di drammaticità risulta meno dolorosa. Centomilacarie quel dolore lo canta da Dio. SANTACHIARA – “Le cose che non dici mai”: Brano intimo che poi esplode nel ritornello, perfettamente in linea con il pop moderno, ben congegnato anche se pecca di carattere, non si distingue, non ti afferra per il collo. Mida – “Casa”: Gran bel brano, contemporaneo e profondo insieme, che tutti da un certo momento in poi devono confrontarsi con una delle domande più importanti che ci capita di farci nell’arco della nostra esistenza: dov’è che mi sento davvero a casa? Mida in questo pop potente e incisivo. Niente male davvero. Angelo Sicurella – “Orbita”: Un brano che trascina piano, un organo che dipinge il contesto senza sforzi, una canzone che arriva da lontano, confezionata con quell’epica antica, quasi distaccata, certamente poetica. Ancora Angelo Sicurella, ancora bravissimo. Luca Re – “Umore 01”: Questo modo di affrontare le canzoni, a metà strada tra pop e rap, l’abbiamo detto più volte, rappresenta il futuro della musica italiana, che deve confrontarsi con un pubblico che pretende di ascoltare qualsiasi cosa possa aiutare l’attenzione a non dimenarsi ma che non sa rinunciare alla melodia. Il bravo Luca Re si diletta in questa nuova nobile arte con la destrezza di un equilibrista; i brani di questo EP infatti funzionano tutti benissimo, i guizzi ti tengono attaccato all’ascolto, i contenuti non sono altissimi, gira che ti rigira si ritorna sempre su se stessi, sulle proprie sensazioni, una scelta anche corretta per un artista alle prime armi. A sorprendere è l’efficacia, è la direzione così precisa e onesta. Bravo. Riccardo De Stefano – “Dio delle attese”: Una preghiera, un’implorazione, anche se misurata, anche se dai contenuti pop, nel senso che si, face to face con il gran capo tutti chiederemmo la stessa cosa; la pace del mondo? No, non vogliamo vincere Miss Italia, ma tempo, sempre tempo, ancora tempo, mai sazi di vita, anche quando deludente, demotivante, mortificante, così com’è, sempre, in fondo. Tempo tradotto chiaramente in possibilità, rivivere ieri con la consapevolezza di oggi, anche se il sospetto è che così il giochino non riesca come dovrebbe; ed è sempre estate, sempre, per chiunque, e c’è sempre una lei, sempre, e ci sono sempre quei momenti che ti sfuggono dalle mani e che sai che torneranno solo nei tuoi ricordi, solo per tormentarti. Ed è una cosa che fa veramente schifo ed è una cosa davvero eccezionale. Bravo, bravo, bravo. Redh – “Esploderemo”: Brano diretto, schietto, una lettera che parte piano piano, senza bisogno di alcun salto mortale musicale, che poi si fa sempre più aspra, quasi lamentosa, quasi arrabbiata, arrivando a montare una supplica drammatica: “Ti guarderò come se tutto intorno a me non fosse altro che te”. Così i contorni si fanno struggenti, lacrimevoli, altamente sconsigliato agli innamorati non corrisposti, a chi ha fatto errori madornali o, comunque, a chi piange lacrime di coccodrillo. Jocelyn Pulsar – “Stereolocale”: Disco completamente registrato in casa, e si sente, firmato da Francesco Pizzinelli, cantautore dall’eccellente talento, e si sente, con una vena ironica e sempre in bilico sul surreale ammaliante, colorato, vivido. E si sente. Un disco letteralmente imperdibile.