AGI - Se il nuovo singolo di Gazzelle convince, quello di Laura Pausini stranisce. In zona rap, male Shade, male Rondodasosa, male Don Joe, benissimo però Nesli. Niente male il singolo di Renga e Nek, splendidi gli album di Leo Pari e Pier Cortese. Festeggiamo i vent’anni dei Musica Nuda e ci godiamo l’ottimo EP dell’ottimo N.A.I.P., così come la nuova Roshelle e il magnifico omaggio di Oratio e Dente a Enzo Carella. Chicca della settimana: Santoianni
“Laureanda” Laura Pausini – “Un buon inizio”
Si sente tutta la mano di Riccardo Zanotti nella composizione di questo nuovo singolo di Laura Pausini; infatti la struttura è forte, i versi che si incastrano con una naturalezza che ormai possiamo considerare tipica dello stile della penna dei Pinguini Tattici Nucleari. Ora dobbiamo solo capire cosa c’entra tutto questo con Laura Pausini, che infatti percepiamo totalmente distaccata dal brano, forzatamente aggrappata a questo treno in corsa, all’affannosa ricerca di qualcuno che sappia tornare a valorizzare la sua indole ultrapop, in un periodo in cui, purtroppo o meno (ognuno la pensi come meglio desidera), l’ultrapop non è più il centro di gravità permanente dell’industria musicale. È evidente che in questo momento la Pausini debba sciogliere un nodo, risolvere un enigma, tornare a rendersi indispensabile per un pubblico che si è raffinato nelle pretese e per una discografia che ha moltiplicato l’offerta. Ci riuscirà? Sarà la storia a dircelo. Comunque, auguri.
Gazzelle – “Idem”
I pezzi di Gazzelle ti scoppiano nelle mani come petardi che feriscono. “Idem” parla della fine di una storia e ondeggia leggera tra la classica carrellata di fotografie ingiallite dalla drammaticità del momento e la capacità del cantautore romano di rendere iconici e definitivi certi momenti musicali (“Se il mondo finisse domani, se arrivassero gli americani; se arrivassero mille tsunami, se tornassero i tirannosauri”). Gazzelle piace al pubblico perché tramite le proprie canzoni lascia sempre una finestra aperta sulla propria vita, perché percepisci forte l’onestà del momento vissuto, ed è un momento vissuto anche da te che ascolti, il che crea un legame autentico, che non puzza di stratagemma. Bravo.
Shade – “Lunatica”
Ognuno di noi commette piccoli o grandi errori nella vita, nessuno può esimersi da questo assioma universale, compreso chiaramente chi scrive, ma Shade in cassa dritta che canta “Sei un fiore di loto e scusa se è poco” è a tutti gli effetti una punizione biblica che, con tutto il rispetto, consideriamo decisamente eccessiva.
Rondodasosa – “New York”
Lì per lì clicchi play e già dopo pochi secondi avresti voglia di urlare “Oh calma! Che succede amico?”, perché Rondodasosa è decisamente arrabbiato in questo pezzo. Non si capisce con chi, non si capisce perché, ma il flusso, aiutato da una buona produzione di Nko, lo spinge verso uno sfogo, un blaterare sui soliti cliché del rap di nuova generazione, che in tutta onestà fa anche scappare un minimo di ridarella.
Francesco Renga e Nek – “L’infinito più o meno”
Una buona idea quella di Renga e Nek di unire le proprie forze; non solo perché così sarà più facile riempire i luoghi dove si esibiranno con i brani di questo disco in comune in lavorazione, ma perché forse ognuno può trarre linfa musicale dall’altro e dall’unione potrebbero scaturire scintille che, anche se non bruciano, anche se non lasciano ustioni indelebili, perlomeno schioccano, si fanno piacevolmente ascoltare. “L’infinito più o meno” è un buon brano, chiaro che il riferimento è ad un ambient musicale già sfrattato dal pubblico fuori da ogni classifica specializzata, ma ai fan di Renga e di Nek, tanti considerando che hanno segnato un’epoca della nostra musica con brani di assoluta rilevanza, piacerà. A noi è piaciuto.
Leo Pari – “Amundsen”
Leo Pari è un autore di primissimo livello, dalla poetica tangibile, solida, e, soprattutto, rivoluzionaria. “Amundsen”, citazione del noto esploratore norvegese, infatti suona come un atto di liberazione, un disco che pulsa della necessità di uscire. Si tratta di un disco dalle tonalità cupe ma, attenzione, estremamente vitali; non solo perché i brani si fanno ascoltare tutti e sono tutti validi, ma perché la narrazione è lineare, come quella di un film che ti fa appassionare alla trama. In questo caso ci si appassiona al viaggio che il cantautore romano compie dentro se stesso senza concedersi pause, senza spingere la polvere sotto il tappeto, senza lasciarsi in pace. Il che è non solo ammirevole ma anche estremamente funzionale al progetto, un disco, davvero ben fatto e che, in qualche modo, riesce a non farti sentire solo nel tuo di viaggio, quello di chi ascolta e cerca nella musica un qualche conforto. Ecco, “Amundsen” è un disco confortevole. Bravissimo.
Sick Tamburo feat. Roberta Sammarelli – “Per sempre con me”
Sound autenticamente indipendente, sulla scia di ciò che il progetto Sick Tamburo ha sempre proposto; suoni complessi, dal sapore new wave, con forti contorni tech, che si aprono poi verso una poesia intensa quanto è intenso l’apparente distacco del visionario Gian Maria Accusani da ciò che canta. Come se dentro custodisse una nostalgia che non si arrende mai e la forza ottusa di volerlo raccontare. Ammirevole. Bravo e ammirevole.
Nesli – “Nesliving Vol. 4 – Il seme cattivo”
Nesli è un artista dalla spiccata sensibilità, in questo suo nuovo album, “Nesliving Vol. 4 – Il seme cattivo”, ci ricorda la differenza che c’è tra le canzoni che si sceglie di scrivere e quelle che capitano quando la vita va avanti e le cose succedono. Ecco, questo lungo album (ben 22 canzoni) è pregno di cose evidentemente accadute e che Nesli ha voluto in qualche modo incastrare nel suo rap dalle venature decisamente cantautoriali, un sound che fa respirare la sua penna, particolarmente ispirata a sto giro, che confeziona un album godibile e intenso.
Don Joe – “Don Dada”
Può un brano, in questo caso i tre che compongono l’EP “Don Dada”, vivere esclusivamente di produzione? La risposta più corretta è: dipende. Dipende da quanti anni hai, da cosa pretendi dalla musica, di cosa stai cercando in questo determinato universo. Se magari sei ancora discretamente giovinotto, se vivi quell’età in cui aspetti che mammà ti chiama a tavola che è pronto, allora probabilmente troverai ottimi spunti di semplicità in questi brani, la cui produzione del bravissimo Don Joe certamente in qualche modo ti tira dentro. Se invece sei un attimo più in là della maggiore età, se cerchi una sorta di poesia, di contenuto, di ispirazione, se cerchi qualcosa che possa in qualche modo imprimersi nel tuo cuore, allora meglio passare all’ascolto di qualcos’altro, perché questi tre brani che anticipano il producer album di Don Joe, sono davvero poveri, si aggiungono a quella stratosferica quantità di brani che fanno volume nel mercato discografico ma che si sgonfiano dopo 13 secondi netti.
N.A.I.P. – “Dovrei dire la mia”
La schizofrenia musicale, quasi affannosa, che campa di istinto, di N.A.I.P. rappresenta un caleidoscopio attraverso il quale, secondo l’inclinazione con la quale porgiamo orecchio, possiamo scovare mondi interi, dal taglio ironico ad una profonda nostalgia, dall’autoanalisi più spietata a guizzi inaspettati e sorprendenti di nonsense. Puro N.A.I.P. insomma, ma sempre più strutturato, con una decisa intenzione di rivolgersi al pubblico con più melodia ma senza smentirsi, senza smantellarsi, senza rinunciare alla propria identità. È una piccola e godibilissima perla questo EP, frutto del lavoro di un artista vero e non di una macchietta televisiva.
Musica Nuda – “Musica Nuda 20”
Tutto estremamente etereo, garbato, denso, serio, artigianale, estremamente piacevole. I Musica Nuda compiono vent’anni e si concedono un nuovo album, quattordici nuovi brani confezionati con il loro stile in punta di penna, asciutto e allo stesso tempo ricco, gustoso e, soprattutto, inimitabile. Nel senso che non c’è nessuno che fa quello che fanno Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, che in un mondo di sciabole e mitra, in questo campo di battaglia sanguinoso e lacrimevole, decidono di lottare con il fioretto.
Auroro Borealo – “Aurora boreale”
“Aurora boreale” è un disco da ridere, si, certo, come sempre, ma è anche un disco da ascoltare, realizzato con un certo gusto. Un gusto bizzarro, a tratti grottesco, a tratti proprio trash, ma certamente centrato nei contenuti. Forse il limite è proprio che non c’è niente che non ci si aspetta già di trovare, come guardare un film che fa molto ridere ma che hai già visto mille volte.
Pier Cortese – “Sottopelle”
Quanta delicatezza ed intensità nei cinque brani di questo EP, “Sottopelle”, che ci conferma lo spessore di un cantautore, Pier Cortese, che meriterebbe riflettori più luminosi sul suo lavoro. Perché trattasi di un lavoro di grande valore, perché riprende la più autentica tradizione cantautorale, quella che vibra di poetica, che mira a creare un effetto in chi ascolta. E infatti i suoi brani emozionano, la sua narrativa è naturale, fluida, squisitamente interessante; così i brani risultano tutti perfettamente congeniati, che siano pensati per accompagnare l’ultimo romanzo di Chiara Gamberale (così com’è) o per adagiarsi sul volto come carezze.
Generic Animal – “Rosso”
Una schitarrata che regge le fila del brano e il bravo Generic Animal ci gioca intorno costruendoci attorno una metrica che sulle prime potrebbe sembrare quasi scoordinata, ma che poi in realtà si dimostra essere esercizio di stile autentico ed efficace. Tant’è che la canzone è molto divertente e in qualche modo ti entra dentro.
Roshelle – “Nella tana del mostro”
Una feroce battaglia contro se stessa, contro le proprie ossessioni, contro la figura nello specchio, con l’ossessione di chi non riesce a spiegarsi come ha fatto la propria vita a diventare questa, così lontana dai propri desideri, dalle proprie priorità, dalla propria natura. Roshelle non ci stupisce in questo nuovo brano solo con un tratto di penna più cupo, ma con un suono completamente diverso, particolarmente cool senza perdere di intensità ed emotività. Al momento, la miglior Roshelle possibile. Non perdetevela.
Cicco Sanchez – “Sara”
Il bravo Cicco Sanchez materializza l’umanità nel disagio di una singola persona, una ragazza, Sara, che non ha connotati precisi, ma che si ritrova, come tutti, a non essere in grado di liberarsi dalle meccaniche ottuse e spietate dell’esistere. Lei che insegue una qualche normalità, forse convinta di non aver fatto niente per meritarsi il meglio, ma nemmeno per essere condannata a respirare con questa carogna sulle spalle, che appesantisce i pensieri, li rende schizoidi, che si dimenano come se fossero stati buttati in mare aperto, di notte e legati. È un disagio che sarà comune a tanti che leggono come certamente a chi scrive, e che viene tradotto magistralmente anche in musica, con un sound che ti carica su una montagna russa accattivante, e che vive di un cantato lamentoso e ipnotico. Bravo.
Lucrezia – “Serratura”
L’ex X Factor Lucrezia torna con un brano adulto, un cofanetto di pensieri sparsi riguardanti una qualsiasi storia d’amore, che subisce scossoni, cadute, inciampi, voli e riallineamenti. Le tonalità sono sempre molto rosa, molto tenui, molto teen, la scrittura solida, il che è straordinario per una ragazza che possiamo ancora serenamente definire una esordiente, ma il tutto suona poco credibile, la canzone non intriga, non ti convince ad affidarle del tempo. Esiste, non ti penti di averla ascoltata, anche perché Lucrezia è talento da tenere d’occhio, però finisce tutto lì, non lascia il segno. Alla prossima.
Oratio feat. Dente – “Foto”
Oratio, con la complicità di Dente, si lancia in un omaggio, assolutamente dovuto, a Enzo Carella. Un omaggio portato a casa con una tale delicatezza, un tale rispetto, da dargli letteralmente nuova vita; ma soprattutto riaccendendo la luce su uno dei tanti, troppi, punti oscuri della memoria musicale di questo paese. “Foto” anticipa l’uscita di un intero album/omaggio firmato da Oratio e, oggettivamente, ci fa pensare che parliamo di una vera perla di disco.
Davide Diva – “Ex”
“L’amore smuove le montagne” ha detto qualcuno che, speriamo per lui, abbia depositato alla SIAE il colpo di genio, figuriamoci se può mai non essere il centro nevralgico attorno al quale orbita una qualsiasi espressione artistica. In musica, non è che ne parliamo, siamo letteralmente ossessionati, non si parla d’altro, che lei sia un “Piccolo grande amore” o una “Bitch”, che ci abbia lasciati o che abbiamo crudelmente abbandonato, che sia troppo lontana o troppo vicina, che ricambi o meno i nostri sciocchi sentimenti da “Cioè”, comunque, in ogni caso, sempre, ci ritroviamo a crescere ascoltando una percentuale altissima di canzoni d’amore. Tant’è che Nick Hornby nel cult “Alta fedeltà” si chiede: “La gente si preoccupa perché i ragazzini giocano con le armi, perché gli adolescenti guardano film violenti; c'è la paura che nei giovani finisca per imporsi una specie di cultura della violenza. Nessuno si preoccupa dei ragazzini che ascoltano migliaia di canzoni - migliaia, letteralmente - che parlano di cuori spezzati, e abbandoni e dolore e sofferenza e perdita”. Alle volte, invece, troviamo delle piccole grandi canzoni come questa “Ex”, che affrontano la tematica del dolore amoroso praticamente dicendo solo “Peccato”. A suo modo, geniale. Tante menate per poi, a cicatrice ampiamente chiusa, guardarsi indietro, fare spallucce e pensare: “Peccato, poteva andare in un modo e invece no”. Sarebbe bello vivere l’amore senza quella rabbia, quella passione teatrale ed esagerata. Vabbè, peccato.
Comete – “Lampi e tuoni”
Probabilmente il miglior brano di Comete da quando è uscito da X Factor; “Lampi e tuoni” è una storia tormentata affrontata con le spalle larghe, con una consapevolezza adulta, una canzone scritta dal punto di arrivo, quel punto in cui il dolore, la perdita, no, meglio, il lutto, diventano in qualche modo parte di te, una sorta di patrimonio personale, il proprio bottino. Bravo.
Dile – “Marciapiedi”
Una onesta canzone d’amore con tutto ciò che ne deriva: gli interrogativi, lo sforzo nel ricostruire la strada percorsa, indagando ogni bivio, con una profondità talmente, appunto, onesta, credibile, che non viene tradita nemmeno dalla scelta di buttare giù un testo estremamente semplice, che prende vita grazie ad un’interpretazione chirurgicamente perfetta. Forse sarebbe necessario qualche guizzo in più, qualcosa che faccia brillare la canzone, ma nel complesso è un buon lavoro.
Marco Ligabue – “Nel Metaverso con te”
Hit radiofonica assoluta. Totale. Pop di primissimo livello che diverte e fa pure muovere le anche. Pubblicata con 20/25 anni di ritardo. Peccato. E comunque, senza l’intenzione di voler mancare di rispetto a nessuno, il fratello un brano così efficace non lo azzecca a occhio e croce dal 2005.
Santoianni – “Laureanda”
Una canzone è una perfetta metafora della vita, scorre regolare, liscia, inconsistente, a meno che uno non decida di colorarla, di andare sopra le righe, di approfondirla e, comunque, di saperla raccontare. Santoianni prende in mano questa storia, questa sbandata per una studentessa universitaria che ha poco tempo per il protagonista, un tema semplice, leggero, che non presuppone universi che esplodono, vulcani che eruttano, guerre mondiali, drammi apocalittici, e la fa brillare con un brano carico di schizzi, sobbalzi, slanci, sussulti, grazie ad una interpretazione assolutamente perfetta. Bravissimo.