A gennaio gli U2 hanno annunciato la pubblicazione di “Songs Of Surrender”, una collezione di 40 brani, scelti tra i più importanti del catalogo, ri-registrati e ri-immaginati per il 2023. La raccolta è stata anticipata dall’uscita di una nuova versione di “Pride (In The Name Of Love)”, accolta qui in Italia con particolare, alle volte anche feroce, diffidenza.
Il poker d’album che propone la band irlandese potrebbe sembrare una normale operazione greatest hits che però, perché no?, potrebbe risultare addirittura necessaria, considerando che un’intera generazione sta crescendo all’ombra della musica fluida, ovvero la musica usa e getta, quella dello skip sulle varie piattaforme al minimo accenno di calo dell’attenzione e, di conseguenza, senza quei punti di riferimento musicali inossidabili; tra questi, certamente, gli U2.
“Songs Of Surrender” è un lavoro interamente pensato da The Edge, pseudonimo di David Howell Evans, ovvero il chitarrista degli U2, che spiega: “La musica ti permette di viaggiare nel tempo e siamo diventati curiosi di scoprire come sarebbe stato portare alcune delle nostre canzoni degli inizi con noi nel presente, dando loro una veste del 21mo secolo. Quello che è iniziato come un esperimento, mentre molte delle nostre canzoni si vestivano di nuove interpretazioni, si è velocemente trasformato in una personale ossessione. L’intimità prendeva il posto dell’urgenza del post-punk. Nuovi ritmi, nuove tonalità e in alcuni casi sono arrivati nuovi accordi e nuovi testi. È venuto fuori che una grande canzone è qualcosa di indistruttibile”.
E di grandi canzoni questo progetto è pieno, chi si avventurerà in questa giungla di suoni rimasticati in maniera calda e accogliente, si imbatterà in capolavori assoluti come “Beautiful Day”, “One”, “Bad”, “Ordinary Love”, “Invisible”, “I Still Haven’t Found What I’m Looking For”, “With Or Without You”, “Sunday Bloody Sunday” e tutti quei brani che hanno reso gli U2, gli U2, una sigla legata non solo alla musica ma al significato che Bono, The Edge, Adam Clayton e Larry Mullen Jr. hanno dato all’energia, l’influenza, sociale, politica, oltre che emozionale, senza permettere mai che questo aspetto del loro lavoro cascasse in secondo piano.
“Ho osservato cosa resta di una canzone quando tutti gli elementi, tranne quelli essenziali, vengono tolti” ha spiegato The Edge, e quello che resta è un suono acustico, artigianale, da mestieranti, l’essenza dei brani che viene fuori con leggerezza, come se le parole, il dialogo con chi ascolta, prendesse il sopravvento sul furioso bisogno della scrittura originale, esattamente quello di cui parla The Edge, quella “urgenza del post-punk” che veniva recepita come traduzione di un movimento sociale, anche quando non politico, necessario ed efficace.
Gli U2 in “Songs Of Surrender” altro non fanno che adattarsi ad un mondo della comunicazione, che ha inglobato tutto, anche la musica, anche la politica, anche la lotta sociale, che si è fatto didascalico e multiforme; ma al tempo stesso decidono di non sottostare alle tempistiche del flusso, alla fretta, alla cassa dritta, all’elementare, ma di fare gli adulti, di provare a giocare con le carte sul tavolo, le parole in questo caso, e, nonostante l’assenza, quasi totale, di certi elementi rock, abbia fatto storcere il naso a molti, come se gli U2 avessero autosoffocato il proprio grido contro, come se la storia, la loro incredibile storia, li abbia in qualche modo ammansiti, rendendoli così inutili.
Tutto scorretto; sarebbe invece il caso di riscrivere la definizione di rock, di mettere distanza tra la concezione anni ‘50/’60, la rottura in termini musicali dal passato, l’accompagnamento di una certa rivoluzione, l’urgenza, di nuovo, di trovare un codice, un linguaggio, che fossero nuovi a tutti i costi, e il concetto di lotta legato alla musica, di cosa voglia dire oggi, in un mondo che la rete ha allargato e informato a dismisura, rompere uno schema.
I cantanti che oggi vanno in classifica in Italia dichiarano apertamente, senza vergogna né problemi, anzi, quasi con una certa soddisfazione, di tenersi volontariamente lontani da tematiche politiche, sociali, perché ignoranti in materia e orgogliosamente disinteressati all’argomento. Gli U2 invece della propria volontà di provare a cambiare le cose con un mucchio organizzato di note e parole ne hanno fatto una missione, che forse, attraverso la nudità di questi 40 loro grandi successi, diventa addirittura più incisiva, di questi tempi così irrequieti, forse ancora più rock.