AGI - Il ritorno di Capossela scuote forte i nostri cuori, “La crociata dei bambini” è un brano straziante e necessario. Ottimo il nuovo album di Francesca Michielin, sempre più matura e centrata, così come anche i dischi di Lil Kvneki e VERSAILLES; e a proposito di dischi, impossibile non citare due perle come quelle prodotte da Ciulla e SASSO.
Passando alla sezione singoli, meritano attenzione Dente, Epoque in featuring con Ernia, Colombre, Vipra e BLUEM. Il trio Shiva, Sfera Ebbasta e Guè, guidato da Finesse, annoia da pazzi, Il Ghost propone la solita fuffa, Lorenzo “Highlander” Licitra sforna una roba talmente anni ’80 che per indossarla servirebbero le spalline. Chicca della settimana: LA NIÑA feat. Mysie con “Blu”. Una canzone che fa stare proprio bene. A voi tutte le recensioni alle nuove uscite della settimana.
Vinicio Capossela – “La crociata dei bambini”: Vinicio Capossela è un cantautore complesso e che, abbiamo l’impressione, si farà sempre più complesso, come se vivesse una sorta di senso del dovere dinanzi al proprio continuo lavoro di ricerca, alla propria maturità e alla propria sensibilità, sempre così pilotata verso il bello, il profondo, il significativo. Ne “La crociata dei bambini” racconta con la poetica inarrivabile, degna dell’immortalità, alla quale negli anni ci ha abituati, l’insensatezza di quando la guerra sgambetta gli innocenti, un bambino e un cane, e la normalità delle loro vite, stravolte per ragioni così lontane dalla semplicità della fame, alla quale vengono condannati e che Capossela rievoca con la stessa elementare drammaticità. Si tratta di un brano commovente, di una cifra stilistica alta, che ormai fa eccezione in un mondo, non solo musicale, che perde giganteschi tratti di poesia ad ogni passo. Francesca Michielin – “Cani sciolti”: Il fatto che “Cani sciolti” sia probabilmente il miglior disco di Francesca Michielin non è una cosa normale. Nel senso, è normale che una ragazza maturi e che ci sia una fisiologica differenza tra la Michielin che abbiamo conosciuto ancora ultraminorenne e quella di oggi, donna e musicista sempre più centrata, impegnata, decisa, consapevole; se oltre dieci anni di vita e di carriera dopo proponesse un pop generico, anche quando ben fatto, che poco o nulla può rappresentare di lei, allora sarebbe un grosso problema. Invece l’impressione è che ogni progetto sia ampiamente pensato e misurato, che sia maturata presto e bene; così il fatto che “Cani sciolti” sia un ottimo prodotto stupisce tanto quanto, non ci aspettavamo nulla di meno. Anche perché già i primi singoli, “Un bosco” soprattutto, ci avevano molto convinti; tra i “Cani sciolti” che ci sono piaciuti di più certamente “Ghetto perfetto”, scritto con Fulminacci e “Piccola città”, scritto con Vasco Brondi, a riprova del fatto che parliamo anche di un’ottima interprete. Alla fine ciò che resta dall’ascolto, piacevolissimo, di questo album è che tutto arriva in maniera chiara, resta la sicurezza con la quale la Michielin si prende il rischio di dire la propria “cosa”, e dirla attraverso tredici brani che pulsano dell’urgenza di uscire. Bravissima. Finesse feat. Shiva, Sfera Ebbasta e Guè – “Gelosa”: Ad una produzione estremamente cool del bravo Finesse, non corrisponde alcun tipo di contenuto. Clicchi play, ascolti il brano, la tua testa ti dice “Ok”, vai ad ascoltare altro. Ormai la musica è quasi tutta così e forse non è un caso che gli interpreti di questo pezzo siano proprio Shiva, Sfera Ebbasta e Guè, che di questo pressapochismo, questo vuoto assoluto, questo encefalogramma musicale piatto, sono tra i più dannosi artefici. Dev’essere triste andare forte proprio perché non si dice alcunché, ragazzacci che si spacciano per liberi, senza padroni, ma in realtà ne hanno uno e gli deve fare una paura tremenda, ed è il pubblico, contro il quale non azzardano mai un concetto vagamente più complesso, ma che nutrono sempre e solo con le solite spacconerie. Che noia. Dente – “Cambiare idea”: Sopravvivere alla fine di una storia, come farlo bene. Dente racconta, con la sua solita meravigliosa poesia, fatta di sensazioni prese di petto, immagini minuscole, l’uno per raccontare il tutto, quel bilico atroce sopra il quale ci muoviamo guardinghi, quasi sempre ubriachi, quando siamo arrivati all’addio con qualcuno che riempirà la nostra vita con il vuoto che creerà. Una di quelle situazioni nella vita che ti fanno esplodere dentro ogni singola sensazione immaginata dall’uomo ma anche il suo contrario. Davvero un bellissimo brano, uno di quelli di Dente insomma, che a bellissimi brani ci ha abituati da sempre. Lil Kvneki – “Crescendo”: Lil Kvneki ha il merito di aver fatto di questa scoordinazione, nel cantato, nella pronuncia, questo sound trascinante, anche quando semplice e pigro, uno stile ben preciso. Se esistesse un luogo in cui la lingua ufficiale fosse l’italiano con le vocali sbagliate, Lil Kvneki ne sarebbe certamente re, sindaco, presidente, capo tribù, boss. Il disco è davvero piacevolissimo, teen quanto è giusto che sia, il pop che si declina in (prendete il termine con le pinze) punk come in “Tempo sprecato” e “Silenzio”, perfino in blues (state leggendo muniti di guanti, speriamo) in “Se vuoi”; tutto accennato, ci mancherebbe, ma l’impressione è che ci fosse la volontà di tuffarsi con spregiudicatezza oltre se stesso, ed è andata bene, è vivo e vegeto. E bravo. Leo Gassmann – “La strada per Agartha”: Mettersi accanto autori più centrati come Riccardo Zanotti, Lodo Guenzi e, manco a dirlo, Edoardo Bennato, ha fatto certamente bene al giovine Gassmann, che con "Terzo cuore” a Sanremo a nostro parere ha raccolto molto meno di quanto meritasse; infatti lo abbiamo visto libero, divertito, volendo anche più sporco, meno controllato, più umano insomma, come se fosse finalmente sbocciato. “La strada per Agartha” è un buon disco, certo, non privo di inciampi, ma comunque positivo, infatti se bocciamo la lettera/canzone a Lucio Dalla, che già al “Caro Lucio ti scrivo”, primissimi versi, ti rendi conto che stopparla e skipparla non basta, devi necessariamente schiantare il computer contro un muro; dall’altra parte promuoviamo “Without You” con i Will And The People, “Siamo a metà”, “Volo rovescio” e “Io vorrei che per te”. In generale non si tratta di niente di memorabile ma anche di un passo che potrebbe rivelarsi fondamentale nella carriera del figlio e nipote d’arte. Silent Bob – “Bussola”: Ballad debole e dimenticabile; se si scrive sull’amore bisogna sforzarsi di andare più a fondo di un sound orecchiabile, bisogna cercare di capire, oltre a se stessi, a chi può essere utile ascoltare cosa si ha da dire. Ecco, “Bussola” non serve proprio a nessuno, il maggiore limite è questo. Il Ghost – “20 ALBANESI”: Spacconeria di seconda generazione; del brano resta questo e il vago ricordo di una produzione fatta bene. Niente di più. Epoque feat. Ernia – “Ricordi”: Un colpo di tacco raffinato, dimostrazione che non tutto ciò che proviene da quel mondo lì deve necessariamente rappresentare il manifesto di un bullo delle elementari. “Ricordi” fa viaggiare, il sound unisce l’Rnb alle melodie dell’Africa Occidentale, così eteree e accomodanti che l’ingresso di Ernia ci risulta leggero e incisivo. Ottimo lavoro. BigMama – “Ma che hit”: Cassa dritta, tecnica sopraffina, cazzimma. BigMama ha sganciato la mina. Colombre – “Durerebbe un’ora”: La classe eterea di Colombre che si adagia su una musica che risulta persistente, trascinante e psichedelica, anche quando così dolce, quieta e affatto tech. “Durerebbe un’ora” parla della cognizione del tempo, di quelle cose che dovrebbero durare un’ora e invece si allungano e di quelle cose che dovrebbero durare in eterno e invece non superano i 60 minuti; e di come alla fine è il nostro cuore a dare misura al tempo, per esempio questo pezzo è uno di quelli che il tempo lo rallenta, come se qualcuno volesse sottolineare il fatto che bisogna prestare attenzione, farci caso, a quello che ci accade, che ogni sguardo fuori posto è un’occasione sprecata. Bravissimo Colombre, as usual. Samurai Jay – “Colpa mia (GELOSA)”: Colpisce e affonda in termini di funzionalità, si tratta di un pop eclatante e spudorato; acqua fresca in termini di contenuti, praticamente dimenticati nelle tasche degli altri pantaloni. La gelosia, che è un sentimento esplosivo, conturbante, vivido, totalmente denudato di qualsiasi profondità, ridotto a “Calmati, parliamone”, come in una qualsiasi commedia scollacciata; tutto troppo sempliciotto. Cmqmartina – “Mi ami davvero?”: Questo beat da clubbing, proposto senza mettere da parte una visione concettuale della musica, sta diventando il marchio di fabbrica di Cmqmartina, una delle artiste in più evidente crescita del panorama pop italiano. Straordinaria per esempio la capacità di disegnare situazioni, anche piuttosto nostalgiche, viene in mente proprio l’attacco “Sono finita da sola a giocare quaggiù/ dentro a questo Bingo marcio, con la gente brutta dentro”, che è già praticamente un cortometraggio. Sempre meglio. Alfa – “Le cose in comune”: La cover che non ci meritavamo. Pier Cortese – “Sottopelle”: I nostri ricordi più profondi nascosti, appunto, sottopelle. Pier Cortese ci ricorda che tutto ci tocca e, in qualche modo, niente ci abbandona, che siamo fatti di ciò che ci accade, che siamo il residuo della nostra storia, forse, chissà, anche della musica che ascoltiamo, e quella di Pier Cortese è un bagno caldo per il cuore. VERSAILLES – “A-PATICO”: Cantautorato profondo, decadente, impietoso, con influenze tech misurate e ben congeniate; VERSAILLES è un artista illuminato, rimbalza, senza scalfire le proprie intenzioni, tra generi differenti, tirandoli tutti per la coda nel proprio mondo psichedelico e affascinante. Non un solo pezzo sbagliato in “A-PATICO”, un EP che è un labirinto di suoni e parole che ti intriga dalla prima all’ultima nota, dall’entrata all’uscita, che vorresti non trovare mai. Yes. Jack Out – “Sempre più sad”: Nuovo viaggio nel mondo “sad”, con Jack Out a fare da guida, a indicarci gli angoli più oscuri di noi, non per illuminarli, per modificarli o vivisezionarli; ma per capirli, per accarezzarli, per dargli un senso, perché siamo anche quello, che ci piaccia o no. Lorenzo Licitra – “Never Give Up”: “Il mio nuovo singolo – scrive in una nota Lorenzo Highlander Licitra - è la sintesi di anni di ricerca in cui non nego di aver avuto difficoltà nel trovare la mia direzione musicale”; non l’avremmo mai detto. E comunque, “anni di ricerca” per poi sfornare la parodia della copia di una copia di una copia di un qualsiasi orrendo brano proveniente dai meandri dei peggiori anni ’80? Eh vabbè… LA NIÑA feat. Mysie – “Blu”: Che colpo di tacco celestiale, che meraviglia di brano, un volo mistico, come ingoiare una nuvola che ti trascina al di sopra di tutto ciò che sai, invitandoti a guardare al mondo con la calma dei risolti; una roba che ti entra dentro e ti devasta con un soffio. Sierra – “Poseidon”: I Sierra sono proprio bravi, hanno una visione così chiara di ciò che vogliono fare, così “Poseidon”, che spacca in due momenti personali difficili affrontati dal duo, sia come uomini che come progetto musicale, risulta coinvolgente, trascinante, una canzone profondamente onesta. Bravi. Vipra – “Musica dal Morto – MARTINI”: Bravo Vipra, che si mette nei panni di Mia Martini per denunciare non solo quel mondo orrendo che, nelle sue accuse, ma di fatto, nei fatti, uccise una delle migliori interpreti della nostra musica; ma anche la discografia odierna, che ha deposto le armi dinanzi alla semplicità, all’elementare, al fumoso, che ormai pretende il più ampio target di pubblico, quello che fa muovere il danee, quello di progetti, pomposità, immagine, incastri di fugaci classifiche, per poi evaporare come l’ombra di qualcosa che non è mai davvero esistita. Con certe sonorità pop punk che stanno tornando timidamente fuori, Vipra ha i numeri per farcela e noi lo teniamo d’occhio, sicuri che torneremo a scriverne; soprattutto perché notiamo in lui una feroce voglia di dire qualcosa. BLUEM – “Angel”: BLUEM ha questa capacità di farti cambiare dimensione, una musica talmente intensa da rendere stroboscopico pure il sole. In “Angel”, tech ballad da brividi, sviscera un romanticismo che picchia forte al cuore, anche in quegli accenni clubbing, in quel solo apparentemente innocuo “Tururu” del ritornello, che ci arriva come se fosse sussurrato, totalmente azzeccato, totalmente pungente, totalmente eccitante, tutto totalmente eccellente. Ciulla – “L’arte di star bene”: Passare dall’ascolto delle megaproduzioni da classifica a dischi prodotti con tale onestà, provoca vertigini musicali abominevoli, di quelle capaci di rivoltarti il mondo come un calzino. Ciulla è un cantautore che viaggia pesante, dotato di una vena poetica e un’efficacia nelle intenzioni degne dei grandi, così “L’arte di star bene”, che altro non è in fondo che un’analisi spietata, fatta di disegni accennati, di piccole grandi rappresentazioni dei nostri sentimenti più comuni, è un album esaltante, che ti fa tornare su un rigurgito di speranza nei confronti di un cantautorato italiano che si fa sempre più ammiccante. Ciulla non ammicca, Ciulla funziona, Ciulla coinvolge e, soprattutto, azzecca i pezzi, toccando l’apice in “Il cielo sulle spalle”, che mette letteralmente i brividi, ma anche la title track e “Verrà altro tempo per noi” e “Distante”. Bravissimo. Le Deva – “Fiori su Marte”: Episodio crossover tra “Amici di Maria De Filippi” e “X Factor” che ci saremmo evitati con grande piacere. “Fiori su Marte” gareggia per rappresentare San Marino al prossimo Eurovision Song Contest, chissà cosa ne pensano gli abitanti di San Marino, vogliono davvero dire al mondo: “Ecco, mondo! Le Deva sono la nostra musica!”? Sarebbe divertente ma improbabile. Pop vuoto, stantio, ammuffito, buttato sul mercato senza alcuna esigenza artistica ma solo la voglia di esserci. No, grazie. Babele – “Petrolio”: Le atmosfere cupe, tetre, quasi ansiogene, di una storia tossica, una di quelle che fanno più male che bene, una di quelle pericolose, alle quali ci si affeziona perché in quelle storie vediamo riflesse le nostre turbe, tradotte in pop ipnotizzante e raffinato, ricco di intuizioni da professionista navigato. Mentre in realtà parliamo del secondo singolo di questo cantautore siciliano ascoltato lo scorso anno in una delle aperture di Indiegeno, uno dei più interessanti festival estivi tra l’altro. “Petrolio” è un brano portato a casa con una scioltezza disarmante, è un brano che sa dove vuole pungere, sa quali sensazioni vuole riportare a galla, quali sono utili per recepire ogni singola nota, ogni singola virgola; senza gli eccessi tipici degli esordienti, senza quell’insopportabile arrivismo, una canzone che vive semplicemente di chi l’ha scritta e di chi la ascolta, e chi la ascolta, assicurato, trova una perla. Bravo. Angelo Sicurella – “Città deserte”: Cantautorato minimal e ficcante, fatto di poche parole e tanta delicatezza, di suoni che sembrano provenire dallo spazio ed un’umanità post-apocalittica che pietrifica, incastrata come rimane, sempre, costantemente, senza scampo, dinanzi alle meraviglie dell’amore. Ottimo lavoro. SASSO – “Musica”: Certe volte ti imbatti in certa musica che ti fa pensare: “Roba seria” ed è questo il caso di SASSO. “Musica” è un disco ambizioso, brani che scavalcano di gran carriera i 4, 5, 6, 7 minuti, praticamente un suicidio discografico, uno di quei dischi che non potrebbero essere diversi da come sono, che vivono di un certo intellettualismo, della ricerca di una strada non comune ma, attenzione, ugualmente funzionante. “Musica”, esempio fortunato di cantautorato impegnato e intrigante, tecnologico ma dolce, sgorga con grande semplicità, taglia, ferisce, ricuce, ti sbatte ai lati della stanza, ti stordisce, ti abbraccia, ti esalta, ascoltarlo è una gioia, come quella di un buon libro, un buon film, una cioccolata calda mentre fuori piove, una di quelle cose che consiglieresti di cuore. /handlogic – “Libera (esseri umani perfetti)”: Ritrovarsi in un volo musicale d’eccezione con un pezzo rigenerante, dalle atmosfere quasi contemplative; un ragionamento dal sapore autentico sul nostro esseri liberi o meno, anche vivi, o meno, anche felici, o meno. Alta qualità, tremori che si impossessano dei tuoi pensieri senza chiedere permesso, gli /handlogic non suonano, ti abbracciano. Where Is Wang – “Off My Mind”: Che spasso, i Where Is Wang rievocano con precisione e audacia, con la spregiudicatezza degli esordienti e la leggerezza degli appassionati, new wave anni ’80 e il migliore punk commerciale dei 2000. Una carezza che ti arriva con la forza di un pugno, con l’incisività dell’impazienza, musica suonata con il divertimento di chi ascolta, di chi non può farne a meno; una di quelle robe sulle quali inciampi e che poi finisci per ascoltare e riascoltare in cuffia. Per dire, al momento vive in cima alle nostre playlist più toste. Fidatevi.