AGI - Il Festival di Sanremo non è solo la grande festa della musica italiana: “È anche il romanzo popolare nazionale che si arricchisce ogni anno di nuovi capitoli”. Così lo racconta all’AGI, Vincenzo Mollica, che è stato una delle più emblematiche presenze del Festival, microfono immancabile per quarantuno edizioni e testimone privilegiato anche dopo. Già celebrato con un ologramma da Rosario Fiorello, poi ritratto in un murale sul famoso balconcino da cui ospitava le sue interviste, Mollica è stato festeggiato il 27 gennaio scorso per i suoi settant’anni, tre in meno della kermesse dell’Ariston, e tra gli omaggi che gli sono stati tributati c’è anche il libro di Disney-Giunti con le avventure del suo storico alter ego, Vincenzo Paperica, giornalista al Festival.
Stamattina al bar, facendo colazione con la moglie, il veterano Paperica ha constatato un’altra volta ancora, ascoltando le chiacchiere degli avventori, che “il romanzo musicale popolare” è una fetta d’Italia imprescindibile. “Quest’anno poi la presenza, per la prima volta in assoluto, di un presidente della Repubblica ha sancito proprio questo speciale significato del Festival” osserva Mollica. “Sono molto felice che Sergio Mattarella sia andato a Sanremo com’è andato alla Scala, suscitando anche all’Ariston un’accoglienza affettuosa di pari intensità. Perché ha sottolineato l’importanza della cultura popolare, quella che passa attraverso la musica leggera di Sanremo”.
Mollica promuove anche in questa edizione la conduzione di Amadeus, promuove “il suo ottimo compagno di viaggio, Gianni Morandi” e Chiara Ferragni, “incisiva, efficace”. Sulla performance di Amadeus, il giudizio è articolato: “Fu bravissimo quando, assieme a Fiorello, seppe tenere in piedi il Festival senza pubblico durante la pandemia, ma oggi direi che ha acquisito una cifra ulteriore: non è più solo un direttore artistico o un presentatore, lo definirei un narratore, che è riuscito nella serata d’esordio a comporre un mosaico dove tutti i tasselli si sono tenuti”.
Dall’intervento di Benigni sulla Costituzione (“commovente”) al collegamento di Fiorello (“una nota meravigliosa”) è stata, nota Mollica, “una bella serata che giustifica gli ascolti straordinari. E sa una cosa? Anche tra chi giura di non vedere Sanremo si annidano spesso quelli che lo guardano, ma a chi davvero non lo guarda vorrei far capire che la cultura popolare non merita snobismo ma attenzione. Ogni festa popolare non è mai una deminutio e il Festival è un rito collettivo importantissimo per la nostra vita”.
Di quali capitoli si arricchirà, quest’anno, il romanzo popolare? “Per capirlo bisognerà aspettarne la conclusione ma un fatto è certo: già lunedì prossimo metà di questo Festival sarà inglobata nella nostra memoria, dove sopravviveranno le canzoni che ci sono più piaciute. Cos’è una canzone? Un condensato di ricordi pazzeschi che un giorno ti riaffiorano proprio riascoltando un brano: momenti personali, momenti collettivi, gioie e nostalgie che dopo poco o tanto tempo si sbloccano magicamente. Ogni canzone dovrebbe essere un tentativo di creare felicità per non perdere di vista il senso della vita”.
Tra i brani della prima serata, Mollica non ha dubbi: “Mi è piaciuto più di tutti quello di Marco Mengoni, perché ‘Due vite’ arriva subito come arrivava subito ’L’essenziale’ con cui vinse il Festival nel 2013. Poi un sì deciso per ‘Supereroi’ di Mr. Rain e ‘Mare di guai’ di Ariete, un talento che può riservare molte sorprese. A seguire metto Elodie che si conferma brava, ma la sua ‘Due’ è una canzone che va ascoltata più volte, non ti prende alla prima”.
Nota stonata, la sfuriata distruttiva di Blanco che ha fatto scempio delle decorazioni floreali sul palco per una rabbia incontrollata: “Spero sia un esempio negativo per tutti gli altri. Le intemperanze vanno tenute a bada e poi, sapendo quanta fatica c’è dietro una scenografia, dietro gli addobbi, bisognerebbe dimostrare il massimo rispetto per chi le ha allestite”. Il cangiante romanzo musicale è anche show, e uno show must go on: cambiano facce, voci, restano certe loro canzoni, quelle che hanno il potere di diventare “classici”.
Eppure, se Mollica avesse la bacchetta magica qualche faccia e qualche voce le vorrebbe adesso nuovamente lì, sul palco o sul suo balconcino, assieme alle canzoni che hanno lasciato:“Farei riapparire per magia Lucio Dalla, ma forse chiedo troppo… Allora mi piacerebbe rivedere almeno Adriano Celentano: è stato un capitolo fondamentale della musica italiana, un artista sorprendente che ha arricchito le vite di tutti. Voglio ricordare, a proposito, una delle interviste più buffe della mia vita, fatta proprio a Sanremo. All’uscita dell’hotel, ci sistemiamo e comincio a fargli le domande. Silenzio. Gliene propongo altre e lui zitto, a ciascuna reagisce solo con smorfie, sorrisi, espressioni del viso. Le dirò: alla fine ho mandato in onda una delle interviste più belle della mia vita. Con le risposte senza parole”.
Avanti Festival, intanto. “Che poi”, chiosa Mollica, “bisognerebbe dire quale: perché Sanremo ha vari sottofestival: quello delle canzoni, delle conferenze stampa, delle polemiche, dell’estetica, della moda, dei commenti al mattino dopo… Si fa presto a dire Festival. Mica è uno solo: l’ho detto, è un romanzo senza fine con innumerevoli personaggi”. E Vincenzo Mollica è fra quelli che non si dimenticano.