AGI - Quando una canzone viene messa sul mercato non appartiene più a chi l’ha composta; questo è un assunto con il quale tutti gli artisti devono confrontarsi. Figuriamoci poi se la canzone è “Vita spericolata” di Vasco Rossi, che compie 40 anni.
Un anniversario sentito dallo stesso Vasco che è intervenuto con una serie di stories su Instagram per raccontare la genesi del pezzo e sostenendo che si tratta di “una delle canzoni più fraintese della storia dell’umanità”. Può darsi, per forza di cose siamo costretti a tenere in considerazione la verità di chi l’ha scritta, le sue intenzioni, le sue motivazioni, la sua voglia, giovane, legittima, di provocare una crepa nella sacralità del Festival di Sanremo, oggi uno show televisivo che forse si nutre più dell’hype che stuzzica che di musica, ai tempi un’istituzione seriosa nella quale Vasco voleva stonare, macchiare, con quel suo approccio alla musica così rock, perlomeno nell’atteggiamento.
“Era uno sberleffo a tutta la platea – dice infatti - a quei tempi molto ingessata”, come era decisamente più ingessato anche il pubblico a casa, come era decisamente più ingessato il paese, in bilico tra quello sfrenato e spregiudicato ottimismo di quei favolosi anni ’80, che a distanza di anni sapremmo rispondere con precisione chirurgica a Raf quando si chiedeva in una famosa hit “Cosa resterà?”, e il nostro inaffondabile perbenismo cattolico di fondo. Tant’è che “Vita spericolata” si classificò penultima, alimentando la leggenda secondo la quale chi arriva ultimo a Sanremo poi è destinato a fare grandi cose.
È andata spesso così, vedi fino all’anno scorso Tananai, non sempre chiaramente, ma certamente per Vasco, diventato poi quello che sappiamo, un’icona terrena e inarrivabile. Ma nemmeno questo status assoluto gli permette, ahilui, di poter tenere il significato di “Vita spericolata” solo per se stesso, come se la verità sia una e una soltanto. Non può essere così per un inno che compie 40 anni e che, siamo certi, tra 140 anni saremo ancora qui a celebrare in quanto incapace, concettualmente, di invecchiare.
1983 Vita spericolata al Festival di Sanremo#loradistoria #vitaspericolata #sanremo pic.twitter.com/BWogjsjggo
— Vasco Rossi (@vascorossi) February 3, 2023
Perché tutti sogniamo “una vita come quelle dei film”, “Come Steve McQueen”, e la sogneremo ogni giorno, per sempre, qualsiasi sia la nostra condizione; tutti insomma vogliamo essere gli eroi di questo dramma collettivo che chiamiamo esistenza, altrimenti non si spiegherebbero fenomeni mediatici con fortissime implicazioni sociali come reality e influencer; tutti vorremmo una vita che allarga le maglie delle proprie regole solo per noi, rendendosi così, solo per noi, spericolata, maleducata, esagerata, “che non dormi mai”, “che non è mai tardi”.
Per poi finire con gli amici al bar naturalmente, il Roxy Bar, che non è quello in centro a Bologna, per raccontarsela questa vita, come se prendesse valore solo quando paragonata a quella di qualcun altro, come da italica tradizione; per scoprire quanto è verde l’erba del tuo prato è necessario guardare quanto è verde quella del tuo vicino. Infatti, attenzione, “Vita spericolata” non è “Imagine” di John Lennon, non è un grido generazionale, non è una preghiera collettiva, è una canzone estremamente intima, Vasco canta un desiderio molto personale nel quale però tutti si possono riconoscere e che, soprattutto, tutti possono fare proprio, così come in fondo è accaduto. Una vita spericolata è una vita che rompe gli schemi dentro i quali società, religione, educazione familiare e scolastica, ci hanno rinchiuso, tutti, non solo Vasco, e sempre, non solo 40 anni fa; è una vita in cui quel perenne peso morale si scioglie in un urlo, tradotto alla lettera con quell’”Eeeehh”, dentro il quale Vasco Rossi nasconde interi universi di emozioni.
Vasco Rossi avrà avuto i suoi buoni motivi per scrivere “Vita spericolata”, ai tempi, supponiamo, senza nemmeno sapere (come nessuno può mai saperlo) quella canzone, portata a Sanremo, come spiega, per allargare il bacino di utenza ben oltre l’Emilia-Romagna, che fine avrebbe fatto.
È finita in tasca a Vasco Rossi prima di tutto, alla fine di quella prima esibizione all’Ariston, quando lasciò il palco infilandosi il microfono in saccoccia mentre la registrazione della sua voce proseguiva, svelando che in realtà quello show si trascinava, canzonetta dopo canzonetta, a colpi di playback; ma soprattutto, non cantando, non incitando, ma mostrando che una “vita maleducata” era possibile, e non in un sogno o in un futuro lontanissimo, ma lì, in quel momento, in diretta RAI, nel bel mezzo del più incravattato e sacro e seguito dei momenti televisivi del palinsesto italiano.
Certo, è finita poi nella scaletta dei suoi live, ancora oggi di gran lunga i più grandi in Italia; è finita quindi in bocca ai suoi fan e anche a quelli che non sono mai stati suoi fan, è finita infatti tra le espressioni più utilizzate della nostra lingua, metafora musicale dell’opposizione contro queste barriere invisibili che inevitabilmente condizionano la nostra vita; è finita dentro gli zaini di chi raccoglie le sue cose e parte senza meta, colonna sonora di chi conserva sogni impossibili, di chi si avventura in imprese sovrumane, di chi non ce la fa più, di chi decide di prendere il toro per le corna e a cornate la propria posizione nel mondo, in chi ha la ferma intenzione di cambiare le cose, per se stesso o per tutti. “Vita spericolata” è una canzone scritta da Vasco Rossi, ma non è una canzone di Vasco Rossi, è una canzone di tutti.