AGI - Anche le ultime due settimane dell’anno sono fitte di uscite discografiche italiane. Fuori un nuovo brano dei Maneskin, in italiano, sui risvolti del loro successo; Lazza, in vista di Sanremo, fa uscire una versione del suo “Sirio” al pianoforte, un usato sicuro comunque esaltante. Bene il duetto tra Noemi e Gemitaiz, meno il singolo solista di Sarcina, a sorpresa tornano i Gemelli Diversi, meravigliosi i dischi di MezzoSangue e Voodoo Kid, ottimi i singoli di Venerus e Carmine Tundo, come quelli di Giorgieness, MIGLIO e MILLE.
Maneskin – “La fine”: Brano amaro sul risvolto della medaglia del successo che questa band di giovini sta vivendo in tutto il mondo. Tutto è buttato giù in maniera abbastanza didascalica, forse volutamente nuda e cruda, senza tanti giri di parole, anzi senza nessunissimo giro di parole: “Ho girato il mondo/ho visto gente/No, non è come lo immaginavo” oppure “Se tutti quanti ora ti stanno amando/Sappi che non è l’inizio, è la fine” e giù con questi toni per tutto il pezzo, che gira sul solito riff di chitarra semplice e funzionale. I fan italiani hanno chiesto a gran voce altri brani nella nostra lingua, ma sinceramente questa esigenza non ci sfiora. Lazza – “Sirio (Concertos)”: Non è la prima volta che Lazza ci declina il suo rap al pianoforte e non è la prima volta che ci risulta un’idea davvero capace di fare la differenza, di mettere in evidenza il contenuto, il messaggio, quello che il rapper milanese ha da dire. Naturalmente per provare questa strada serve che uno sappia suonare uno strumento musicale (cosa affatto scontata nel rap italiano) e che abbia qualcosa da dire (cosa affatto scontata nel rap italiano), ma questi non sono problemi di Lazza. Salto di qualità. Bravissimo. Noemi feat. Gemitaiz – “Fuori dai guai”: Sposalizio artistico azzeccato, forse addirittura il più azzeccato tra i tanti collezionati da Noemi negli ultimi anni. Gli accenni soul fanno respirare il brano, lo rendono raffinato e accessibile, un esercizio di stile di rara fattura in cui si inserisce perfettamente il rappato nostalgico ed intenso di Gemitaiz; non ci si poteva aspettare niente di meno da due fenomeni come loro. Francesco Sarcina – “Ragazzaccio”: Per giudicare il brano correttamente dovremmo forse guardare il film di Paolo Ruffini per cui il brano è stato scritto. Non avendolo visto, ci limitiamo a dire che “Ragazzaccio” non ha niente del Sarcina in versione, appunto, ragazzaccio; anzi ci sembra piuttosto denudato della sua tipica esplosività. Un brano che arriva dove può, ma non può tantissimo. Gemelli Diversi – “Torcida”: Ambra rilancia “T’appartengo”, Paola e Chiara richiamate a Sanremo e un nuovo brano dei Gemelli Diversi… Cosa state provando a fare? Lovegang126 – “Cattive abitudini”: Mentre a Milano giocano a fare i gangster e a Napoli si opera su linguaggio, poesia e atmosfere, a Roma la sensazione è che il rap in qualche modo riporti sempre a quella magnifica old school, alla celebrazione di un’aria, quella romana, che è unica ed insostituibile e se regala da sempre le stesse sensazioni, che poi si traducono in rap sempre con questo mood a metà strada tra asfalto e sentimentalismo romantico, ci sarà un motivo. Venerus – “Resta qui”: Venerus è certamente la più felice scoperta della discografia italiana degli ultimi anni; si tratta di un giocoliere del suono, uno capace di tutto e che non sbaglia mai un colpo. Questa “Resta qui” per esempio è divertente, trascinante, raffinata e fortemente stilosa; la ascolti, ti piace e la balli e nel frattempo, non lo sai, ma ti stai dando una bella ripulita all’anima. Mezzosangue – “Sete”: Un disco meraviglioso, certamente tra i migliori dischi rap degli ultimi vent’anni; Mezzosangue canta la sete, intesa come mancanza, come il bisogno di riempire dei vuoti in maniera profonda e definitiva, senza distrazioni, senza sotterfugi, senza inutili forme di placebo, senza diversivi discografici come featuring o contenuti terra terra. No, Mezzasangue filosofeggia in libertà, spinto dall’istinto, spinto dal concetto, dalla parola, che risuona tra le labbra scoppiettando, accartocciandosi su se stessa, come in un’orgia carica di amore. “Sete” è un piccolo capolavoro, la consacrazione totale di un artista ormai giunto a compimento della propria maturazione. Chadia Rodriguez – “Bitch 3.0”: Dicono che le quote rosa nel rap italiano siano un problema; effettivamente di donne che prendono questa strada, relativamente alla musica, ce ne sono pochine. Certo, se pure quando si dilettano in questa nobile disciplina finiscono a fare lo stesso gioco ridicolo e plastificato dei maschietti, allora qualsiasi discorso su uomini e donne va a farsi benedire. Che gli uomini, stupidamente, utilizzino il mezzo rap per fare i muscoli allo specchio e dirsi da soli che sono duri, forti, pericolosi, vabbè, è un’inclinazione piuttosto comune, sono gli stessi che toccati i quaranta si compreranno automobili enormi; ma le donne, che posseggono nel cuore interi universi, tesori di incalcolabile profondità, ci vogliano propinare gli stessi fasulli clichè, è proprio il massimo del minimo. Tra l’altro il pezzo sarebbe anche prodotto benino, ma il contenuto è proprio poco credibile, non ci cascherebbe nemmeno l’ultimo degli scemi. Carmine Tundo – “Il primo racconto”: La poesia abbrustolita dal sole, la delicatezza dell’epica della provincia, accarezzata con una sequenza di immagini nitide e meravigliose. E poi quel suono, che profuma di grano e sabbia, e ancora una volta il corpo della donna, celebrato con una precisione chirurgica e romantica. È tornato Carmine Tundo, uno dei più talentuosi cantautori italiani, con un brano favoloso che ti costringe ancora una volta a guardare al mondo attraverso i suoi occhi. Ed è un piacere assoluto. Quentin40 feat. Vegas Jones – “Lacrima”: Ballad rap che varca certamente la linea di confine con lo sdolcinato avvilente e decisamente troppo teen. Quentin40 e Vegas Jones sono due bravissimi rapper, hanno certamente fatto di meglio. Alla prossima. Santi Francesi – “In fieri”: Crederci? Non crederci? Ogni anno è sempre così con chi esce vittorioso da X Factor. Noi decidiamo che si, ci crediamo nei Santi Francesi; e non per il loro percorso dentro un talent cui dinamiche, inevitabilmente, sono condizionate dalla drammaturgia televisiva, ci crediamo perché i Santi Francesi si sono dovuti rivolgere ad un talent per emergere da quel limbo indie molto più popoloso di quanto non pensiamo, che è anche una cosa abbastanza triste. Ci crediamo dopo l’ascolto di un EP, questo “In fieri”, che ci dimostra quanto il duo dal sound electro pop sia già discretamente strutturato; manca la vera hit probabilmente, certi passaggi ci evidenziano ancora una certa immaturità, ma anche la certezza che ci sono ampi ed interessantissimi margini di miglioramento. Giorgieness – “Jack & Sally”: La canzone che non andrebbe ascoltata a Natale, il periodo più nostalgico dell’anno. Cruda, diretta e maledettamente efficace; Giorgieness ci mette alla prova, ci propone una carrellata di immagini così belle e comuni, ci incastra in questo romantico gioco al massacro, ci obbliga a voltarci indietro scaraventandoci in quell’imbuto cosmico, in quelle sabbie mobili che poi alla fine, nonostante la vita, cinica, vada sempre avanti, non possono fare altro che soffocarti con una domanda, sempre la stessa: perché? Perché gli amori finiscono? Come fa ciò che oggi sembra tutto, domani, a prescindere da che parte della barricata ci si trovi, a diventare nulla? Giorgieness con questo pezzo spariglia la nostra nostalgia, rimette tutto in discussione, disordina tutte le nostre convinzioni con un approccio all’amore sempre aperto a capovolgimenti di trama e lo fa con la sua musica, che è una musica che tocca nel profondo, che punge, ed è sempre, ma proprio sempre, azzeccata. Questa ragazza non sbaglia un pezzo. Mai. Stupefacente. Lil Kvneki feat. The American Boyfriend – “Solo come un cane”: Brano che si piazza in pieno pop contemporaneo adolescenziale: vocali sbagliate, cantato spreciso, strascicato, intenzioni decisamente teen. Niente che parli a nessuno che abbia superato, anche da un quarto d’ora, i 18 anni, però confezionato con gusto. Clavdio – “Guerra fredda”: Sembra che Clavdio abbia scelto esattamente da che parte stare, che genere di artista intende diventare, che poi è il bivio che aspetta qualsiasi artista arrivato al secondo album. Un secondo album che Clavdio ci ha fatto sudare ma che si srotola in tutta la sua intensità ascoltandolo; brani che ne esaltano la voce, che diventa così stile, diventa marchio di fabbrica, un gradito anticipo rispetto quello che andremo ad ascoltare. Tutti i brani sono estremamente godibili, il featuring con Malika Ayane poi, non ne parliamo, uno dei pezzi migliori dell’anno forse. Manca la hit, manca una “Cuore”, diventato uno dei brani simbolo di un modo di scrivere canzoni strettamente legato all’universo indie, ma non escluderemmo che si tratti di un’esclusione ponderata, un’esclusione che ci dice qualcosa e cioè che Clavdio ora è altro e a noi quello che è diventato Clavdio ci piace assai. Stabber feat. Gaia – “Fé”: Intrigantissima preghiera elettronica nella quale suoni stroboscopici si mescolano a ragionamenti profondi e mistici. Un incontro estremamente felice quello tra Stabber e Gaia, che si conferma ancora tra le più raffinate nuove voci femminili del pop italiano. GionnyScandal – “712”: Molto complesso recensire questa “712”, perché il contenuto è onesto, ti convince a tal punto da incupirti, perché mica c’è qualcuno che può mai trarre godimento dal dolore di un artista, specie quando lo senti così autentico, quando sgorga copioso tra le barre di una canzone, anche se quell’artista non ti convince sto granchè; un dolore spiattellato così, senza la voglia o la capacità o l’energia di indorare la pillola, di renderlo in qualche modo generico; il che è una scelta precisa che va rispettata. Quindi massima vicinanza a GionnyScandal, sperando che il suo incubo in qualche modo si risolva, che una luce lo accarezzi. M.E.R.L.O.T. – “Occhi lucidi” / “Solo per scomparire”: Due ottimi brani che arricchiscono il già ottimo “Gocce”, felice debutto discografico di M.E.R.L.O.T., che è, e ancor di più in futuro sarà, una delle più interessanti voci di quella generazione che è riuscita ad unire armoniosamente rap e pop, senza cascare in facili clichè, senza accartocciarsi in una serie di copia e incolla stucchevoli. Con destrezza e sincerità. Due ottimi brani che arricchiscono un già ottimo disco, ripetiamo: “Gocce”; andatevelo a recuperare al più presto. Young Rame feat. Guè – “Mafia”: Un brano che ti pone davanti al più antico e amletico dei dilemmi: ridere o piangere? Perché a sentire queste barzellette gangster verrebbe da ridere, da dargli una pacca sulla spalla e mandarli tutti quanti sul divano a giocare alla playstation con un succo di frutta alla pera. Poi però ti rendi conto che questa canzone suona come l’ennesima celebrazione di una cosa che, fa niente se passiamo per tromboni, andrebbe trattata con una delicatezza del tutto speciale. Il motivo per cui la criminalità è diventata argomento di interesse per i bambini che ascoltano un certo tipo di rap (perché sono bambini), tra l’altro fatto anche maluccio, confezionato con superficialità, resta un mistero assoluto. Gazebo Penguins – “Quanto”: Un disco meraviglioso quello dei Gazebo Penguins, che ci mostra tra l’altro in che modo il rock può ospitare elementi contemporanei e anche fortemente cantautorali. Può un pezzaccio dalle schitarrate che ti aprono in due, che ti fanno imbracciare una chitarra invisibile provocando un maremoto di capelli che non hai più, dire anche qualcosa che può essere significativo? E può tutto ciò non avere per forza un sound che ti porta indietro di quaranta/cinquant’anni? Si. “Quanto” è un viaggio tanto bello quanto avventuroso, di quelli importanti insomma, quelli che non ti scordi più. Olly – “Il mondo gira”: Olly è uno di quei cinque giovani che si sono classificati secondi alle spalle di gIANMARIA a Sanremo Giovani guadagnandosi così un posto tra i big del festivàl; prima di esordire all’Ariston ci offre “Il mondo gira”, un EP che suona un po' come biglietto da visita. Da questi sette brani si percepisce la voglia di spaccare, di non fare semplicemente presenza, quindi una cassa dritta che spesso tiene il ritmo, come uno che mentre parla si assicura che lo stai ascoltando perché ha delle cose che gli premono dentro per uscire; infatti è anche un disco molto personale e anche molto efficace, nel senso che ogni brano arriva dritto in faccia, senza passare dal via. Bravo. Cecco e Cipo – “Forse dovresti farci più caso”: Un’altra piccola perla da parte di Cecco e Cipo, duo dotato di un tocco di penna così delicato ed intenso che ogni volta lascia sempre un po' paralizzati dalla bellezza. Il tema naturalmente è riferito alla nota frase di Kurt Vonnegut, “Quando siete felici, fateci caso”, ma va oltre incastrando queste semplici e fondamentali parole dentro la nostra vita comune, che spesso ci attacca da più lati e non ci permette di avere una visuale chiara. In realtà però alla fine del brano realizzi che tra tutte le innumerevoli cose alle quali dovremmo fare più caso, nella musica ci sono certamente Cecco e Cipo, che non hanno ciò che si meritano. Matteo Romano – “Tremo (midnight)”: Copriti. Anche senza cantare, nessun problema. MIGLIO – Per non pensare + a te”: MIGLIO è un’artista favolosa, i suoi pezzi sono pennellate di cantautorato elettronico di rara fattezza, questa “Per non pensare + a te” pulsa di una disperazione assoluta e sotterranea, come se MIGLIO si prendesse il tempo di un pezzo per spiegarci quale cavallo imbizzarrito sta domando faticosamente, qual è la battaglia in corso. Wow. Livio Cori – “Sulo pe chella”: Forse il più bel brano in assoluto mai pubblicato da Livio Cori. Pregno di una poetica essenziale, bilanciata, definitiva. Bravissimo. Il Solito Dandy – “Dumbo”: Il più complicato tra gli obiettivi di un artista emergente è semplicemente farsi riconoscere in questa giungla insensata che è diventata la discografia contemporanea. Il Solito Dandy ha un carattere fortissimo che in questa “Dumbo” viene fuori in maniera potente, il brano ti incastra nel farsi ascoltare, lì dove sei, con un’attitude pop che lo rende accessibile e coinvolgente. Pablo America – “Boy George”: I pezzi di Pablo America sono come il Pasqualone, non sai mai dentro cosa puoi trovarci. Potrebbe farti ballare, ancheggiare, rimbalzare, piangere, ridere, riflettere, riballare, riancheggiare, ripiangere e poi forse uscire di casa e urlare; come se stuzzicasse una parte di te particolarmente sensibile ed incontrollabile, il pezzo avanza e a te vien voglia di scodinzolare, senza sapere perché. Musica vera insomma. MILLE – “Touché”: Sensualità in cassa dritta, storie che sbrilluccicano come paillettes, anche quando trasudano umanità, anche quando la danza distrae dalle lacrime. A MILLE manca solo una hit, questa “Touchè” potrebbe esserlo. Voodoo Kid – “Anche i demoni piangono”: Un disco straordinario firmato da un artista visionario, in continua maturazione riguardo le tematiche ma soprattutto lo studio del suono. I brani di questo EP “Anche i demoni piangono” sono uno più accattivante dell’altro, una di quelle robe che quando gli amici salgono in macchina tu puoi metterlo su e dire “Oh, sentite che bomba che vi faccio sentire”. Davide Diva – “Pagine”: Davide Diva si conferma tra i più interessanti artisti esordienti del panorama italiano, questo perché scrivere brani così fortemente strutturati ma anche così accessibili, privi di particolari complessità ma allo stesso tempo intensi ed impegnati, così pregni di guizzi, non è affatto facile, anzi, è proprio la cosa più difficile che c’è e a lui viene del tutto naturale.