Bene Giorgia, eccellenti i Coma_Cose. Le recensioni musicali della settimana
AGI - L’album dei Coma_Cose è certamente tra i migliori del 2022, così com’è, contemporaneo e intimo, ma soprattutto magnificamente scritto. Benissimo, oltre alla cantante romana, anche Deda e Rosa Chemical, mentre come chicca della settimana proponiamo il magnifico EP di Johann Sebastian Punk. A voi tutte le recensioni alle ultime uscite.
Giorgia – “Normale”
Brano che è il risultato di un lavoro molto serio in ogni fase, dalla scrittura, nella quale spiccano le firme della premiata ditta Mahmood/Dardust, alla produzione, affidata al maestro Big Fish, fino naturalmente a lei, Giorgia, che tanto mancava nel nostro al tempo stesso affollato e desolato panorama musicale. Un brano serio, cool, moderno ma con venature che indicano l’old school dell’R&B; ammaestrato con mestiere, con quella voce, forse la più bella in assoluto della storia del pop italiano, così intensa, vibrante, riconoscibile ed efficace. Un ottimo lavoro insomma, niente di meno di quanto ci aspettassimo. Bentornata.
Rocco Hunt - “A’ vita senz’ e te (me fa paura)”
Deboluccio questo nuovo singolo di Rocco Hunt, prova a tirarlo su con un beat pulsante, che però, con un effetto boomerang, ci fa ritornare in faccia focose ventate di cafonal poetry. Nemmeno l’utilizzo del napoletano salva un pezzo scritto con l’intenzione dell’inverno e il cuore ancora all’estate, la stagione che ha rapito Rocco Hunt e lo ha portato lontano dai nostri cuori con quegli insopportabili e vuoti tormentoni.
Coma_Cose – “Un meraviglioso modo di salvarsi”
I Coma_Cose proseguono nel loro viaggio con un disco davvero splendido. Raramente in questa musica italiana, dominata dal machismo più talebano, dalla violenza nei suoni e negli intenti, diventata una gara a chi c’ha il conteggio dei follower più lungo, ci è capitato di imbatterci in un album così onesto. “Un meraviglioso modo di salvarsi” è un disco che spalanca la finestra su un progetto cui connotati, perlomeno in Italia, non corrispondono a niente che si sia mai visto e sentito. È un disco in cui i Coma_Cose riprendono le fila di “Hype Aura”, tenendosi stretta l’esperienza di “Nostralgia”, in cui torna quella scrittura dai tratti Carroliani, in cui ogni parola viene rivoltata come un calzino fino a restituirci una nuova immagine incantata, le parole utilizzate come tessere di un puzzle che si collocano al posto giusto solcando una linea di pensiero che ti avvolge, ti abbraccia, ti convince.
È infatti un disco in cui Lama e California si espongono molto, riguardo questo insulso e inutilmente frenetico modo che abbiamo scelto di vivere, riguardo un genere, il rap, che è parte integrante del loro percorso artistico, e che è diventato una pappetta di sciocchi e fuorvianti luoghi comuni da servire ai più piccini. E su se stessi, come singoli e come coppia, con tale spregiudicata schiettezza che ti senti come uno che sbircia i loro pensieri, e se non fossero messi in musica con tale armonia la cosa ti farebbe sentire quasi in imbarazzo. Non c’è un pezzo debole, non c’è un pezzo che non richiami un’atmosfera chiara, precisa e coinvolgente. I Coma_Cose insomma si confermano una delle più belle e originali realtà del nostro pop, nuvole che svolazzano indi(e)pendenti sulle teste di centinaia di artistucoli che non vogliono e ai quali, abbiamo la netta impressione, nemmeno interessa dire nulla. Uno dei più bei dischi dell’anno, su questo non c’è dubbio; sentite anche voi questa puzza di Tenco?
Alex W – “Ciò che abbiamo dentro”
Pop morbido e innocuo, sempliciotto e inutile, prodotto per soddisfare le fauci da latte del pubblico di “Amici”, un disco, come lo sono praticamente tutti i dischi degli artisti che vengono fuori da quel determinato talent, che rappresenta la fine di un percorso produttivo ben preciso: prendono un ragazzino dall’aspetto gradevole, l’intonazione pulita e l’incapacità di distinguere le vocali all’interno delle parole, lo sbattono su Canale 5 in pasto a ragazzine musicalmente bianche e a casalinghe annoiate, raccolgono quella popolarità, la incanalano verso un album liscio liscio, arrotondato, che non disturbi nessuno; e poi quello che succede succede, finché la cosa tira si va avanti, se non tira il ricordo sfiorisce nella nostra memoria, si fa sempre più appannato, coperto dai nuovi che arrivano.
Nel 99% dei casi succede così, quell’1% è rappresentato da progetti come Alessandra Amoroso, Emma Marrone, sangiovanni, Marco Carta, Valerio Scanu…tutta gente che sarebbe stato meglio dimenticare, che alla musica italiana diremmo che ha dato poco o nulla, se non fosse che secondo noi ha dato proprio nulla e in molti casi ha addirittura tolto. Questo “Ciò che abbiamo dentro” è un disco brutto e immaturo, ma non brutto perché immaturo, brutto perché l’intento è brutto in partenza, perché si illumina di questo vuoto cosmico, di questo riflesso di morte intellettuale, come una stella cadente, alla quale chiedi però soltanto che questi 35 minuti e 22 secondi passino il più velocemente possibile.
Deda – “House Party”
“House Party” è un disco in cui Deda, che tanto abbiamo amato per il suo lavoro con i Sangue Misto, mescola le sue sonorità, fisiologicamente old school ma mai noiose o calanti o cupe, con una scrittura, al contrario, del tutto fresca. È un buon disco, composto con uno spirito da artigiano, scegliendo sapientemente le voci, che suona benissimo, che è piacevolissimo all’ascolto e che, speriamo (ma dubitiamo) possa convincere più professionisti del genere possibili a buttare sul mercato prodotti che abbiano un senso più artistico che discografico.
Rosa Chemical – “Non è normale”
Ci siamo, ormai è chiaro, Rosa Chemical è proprio sull’orlo dell’esplosione, concettuale più che discografica, anche perché, discograficamente parlando, quello che esplode oggi si spegne in un silenzio alienante e fragoroso domani. Ma Rosa Chemical ha affilato il suo stile, ascolti i brani e ti senti autenticamente provocato, da questi concetti portati allo stremo, da queste immagini scarabocchiate, irriverenti ma mai fini a se stesse. Rosa Chemical è pop art musicale erotica, dissacrante e profondamente viva e questa “Non è normale” è un gran pezzo in cui il concetto di normalità viene distorto, ridicolizzato e rinnovato. Entusiasmante.
Rondodasosa – “Trenches Baby”
L’album si intitola “Trenches Baby”, all’interno si alternano guizzi molto interessanti in termini di sound e banalità di contenuti da scuola media. Certo, bisogna dire che si capisce più o meno il 50% di ciò che viene cantato, cosa sempre più solita nel mondo della trap, per cui magari in quel marasma incompiuto di parole Rondodasosa ci ha rivelato il senso della vita, chi ha ammazzato Kennedy, dove è nascosto il Santo Graal e pure chi è quella bruttissima persona che si è inventato il guardarsi negli occhi quando si brinda, ma noi non lo sapremo mai. Interessante e immaturo, il ragazzo ha vent’anni, tutto sommato ci sta.
Management feat. Nicolò Carnesi e CIMINI – “Il demonio”
Brano bello e complesso, intriso della meravigliosa necessità di dire qualcosa, di esaminare anche quella parte della nostra anima, più oscura, più nera, il nostro personalissimo demonio, che spesso tendiamo ad ignorare il più possibile, a causa di questa sbronza di autocompiacimento che ci fa sentire sempre così corretti mentre il mondo attorno a noi crolla sotto il peso del nostro stesso disinteresse. Succede quando artisti di un certo spessore, e qui stiamo parlando dell’élite assoluta del circuito indie, si incontrano.
Vale Lambo – “TAG”
Brano molto interessante in cui Vale Lambo, uno dei più autentici talenti dell’urban partenopeo, scatena le barre su un beat che richiama in maniera evidente agli anni ’80, o perlomeno a questa nuova visione degli anni ’80 offerta ultimamente dal pop mondiale. Si tratta di rap romantico usato per raccontare, in linea di massima bene, una storia d’amore con una consistente componente virtuale, quindi una qualsiasi storia d’amore contemporanea, che non si accartoccia però su se stessa e sui soliti clichè. Ottimo lavoro.
Junior Cally – “Sulla pelle mia”
Brano dedicato al fratello, sincero, autentico, globalmente anche commovente; purtroppo anche dimenticabile essendo privo di guizzi interessanti, di capriole di parole, colpi di tacco, incastri poetici, tutto è invece decisamente troppo spiattellato. Interessante la messa in musica, anche se troppo pomposa, troppo esagerata. Junior Cally non è esattamente il primo della classe rap, in questo singolo c’è un’idea abbastanza precisa di cosa si vuole raccontare, ma è una narrazione che non acchiappa. Spiace, più no che si.
Studio Murena – “Corri”
La rudezza del rap quando fatto davvero bene, mescolata alle sonorità schizoidi del jazz; gli Studio Murena sono un laboratorio di sperimentazione entusiasmante, non perché mettono insieme due generi che, solo apparentemente, sono lontani anni luce, ma perché lo fanno con cognizione di causa, vivendo questo presente musicale che si nutre di contaminazioni e, in questo senso, facendosi terreno fertile.
Johann Sebastian Punk – “Rinascimento”
Pop moderno con un intento decisamente poetico. Johann Sebastian Punk parte da un presupposto agrodolce, da un lato etereo, leggero, quasi sussurrato, proposto con la calma tipica di chi ti sta per rivelarti una verità assoluta; dall’altro la complessità dell’arrangiamento, la sperimentazione, la spregiudicatezza, l’inseguimento ponderato di un intellettualismo musicale ormai raro in un periodo in cui si punta decisi verso la semplicità più idiota e che diventa anima, ragion d’essere, del progetto. L’EP si intitola “Rinascimento” ed è perfetto, stupefacente, a tratti schizofrenico e futurista. Insomma, una vera e propria opera. Imperdibile.
Kaufman feat. Den – “Lividi”
Ballad pop dai tratti schietti dell’indie di penultima generazione e una totale accessibilità e fluidità. Un brano che funziona in maniera perfetta e che rincorre una malinconia contagiante, quasi commovente. I Kaufman hanno i numeri per funzionare a qualsiasi livello, perché serve gusto e orecchio per macinare brani ogni volta corretti al millimetro. Forse a questo punto del percorso manca la hit, ma siccome per noi le hit sono solo canzoni che piacciono ad un’enormità di gente senza per forza renderle canzoni migliori (anzi, quasi sempre il contrario), allora va benissimo così, chi se li perde è colpa sua.
VERSAILLES feat. Missey – “Comfort Fit”
Ottimo brano, vibrazioni ipercontemporanee che ti fanno quasi viaggiare nel tempo in un futuro in cui comunque sopravvive la nostra sempre perfettibile umanità. Buon lavoro.
Qualunque – “Namecc”
Ci sono artisti capaci di un magnetismo del tutto particolare, è un dono, non ci sono segreti, non ci sono trucchi, non c’è uno che ti insegna a farlo; semplicemente uno parla ed ha la capacità di far arrivare qualsiasi cosa dica. Qualunque è esattamente così: lui canta di qualcosa e nella tua testa si materializza l’immagine. “Namecc” ci riporta in quell’immaginario manga già celebrato nel bellissimo “Shonen”, umanizzandolo con un arrangiamento acustico e intimo. Ottima idea. Ottimo brano. Tutto ottimo.
Barbato – “Superstiti”
Ma voi non sentite mai il bisogno di ascoltare un disco pieno di belle canzoni? Semplicemente belle canzoni, nessuna arzigogolata sperimentazione, nessun barocchismo, nessuna iperproduzione, un pezzo di carne, sanguinante, vivo, senza contorno, senza niente che ne disturbi il sapore, non perché le complicazioni ci confondono ma perché alle volte, semplicemente, non ce n’è bisogno. Ecco, “Superstiti”, album d’esordio di Barbato, è così: un disco pieno di belle canzoni, di strumenti suonati, di un concept ben preciso, la volontà di disegnare le proprie storie con colori neutri, così come lo sono ormai i nostri sentimenti, quando ci spingono in una o l’altra direzione. Quella proposta da Barbato è semplice e corretta. Ad avercene dischi così. Bravissimo.