AGI - Ottimo ritorno di Daniele Silvestri, mentre Ultimo ci presenta un brano nuovo che poi tanto nuovo non sembra mai e i Modà provano a riportarci indietro di una quindicina d’anni. Commoventi Geolier e Lazza, così come Chiello, artista sempre più centrato; Giordana Angi e Gio Evan no, certamente si Maurizio Carucci. Chicca della settimana: il disco della bravissima Barberini.
Daniele Silvestri – “Tik Tak”
È confortante, rassicurante, la presenza di Daniele Silvestri nel mondo della musica italiana; anzi, dai su, vale la pena allargarsi, nella nostra vita. Perché ti rendi conto che una certa tradizione cantautorale, fortemente caratteristica, continua a vivere nonostante il nuovo pop, nonostante le nuove modalità di diffusione della musica stiano non cambiando il modo di stare in campo, ma proprio le regole del gioco.
Silvestri invece insiste nella propria esplorazione linguistica e musicale, questa “Tik Tak” è un piccolo incendio che ti esplode in bocca, doloso, provocato con la stessa energia onomatopeica di due sassi che si schioppano baci per provocare una scintilla.
E quella scintilla è pura musica, autentica nel messaggio, la nostra vita che si muove al ritmo aritmetico di un algoritmo preciso al millimetro, un movimento vagamente sismico e molto rassicurante; autentica nella costruzione, una fuga balbettante ed emozionante via da certi meccanismi. È un pezzo di Silvestri ed è sempre bello riflettersi in un pezzo di Silvestri.
Ultimo – “Ti va di stare bene”
Qual è il confine tra lo stile e l’incapacità di fare una canzone diversa da un’altra? Una domanda difficile; nella nostra testa però quel confine immaginario che divide questi due mondi, così affini eppure così concettualmente distanti, porta il nome di Ultimo. Come se fosse un luogo di nessuno in cui riecheggia sempre lo stesso sound, le stesse parole, lo stesso identico cantato, un limbo musicale, un loop per qualcuno confortante, per altri ormai insopportabile. E noi siamo i secondi.
Geolier feat. Lazza – “Chiagne”
Pezzo struggente, una ballad rap sulla fine di una storia che mette insieme due poetiche, quella napoletana di Geolier e quella milanese di Lazza, che si incrociano sulla stessa malinconia, poi cucinata ad arte da Takagi&Ketra, che dovrebbero avventurarsi più spesso in zone musicali meno accaldate, perché comunque, se mettiamo un secondo da parte ogni pregiudizio ideologico sui tormentoni estivi, parliamo di due producer con un orecchio di rara fattura.
Molto interessante anche il concept del brano, un abbraccio amorevole tra due innamorati cui strade si sono separate; in un mondo in cui solitamente le donne sono “bitch” e gli uomini dei pistoleri inciuccati dalle droghe, si tratta di un approccio alla materia praticamente rivoluzionario. Non ci aspettavamo niente di meno da due artisti che hanno tutto il diritto di sentirsi tali.
Modà – “Finisce sempre così”
Questo sapore inizio 2000, questo romanticismo orchestrale, da un lato fa tenerezza, dall’altro ci risulta vagamente ammuffito. È proprio la visione musicale, narrativa e strutturale che è rimasta, comprensibilmente, un passo indietro, al tempo dei Modà, che è un tempo, bisogna dirlo, non per colpa dei Modà, è chiaro, non solo perlomeno, mortificante per la nostra musica e che con gioia ci siamo messi alle spalle; roba che a Calcutta, Gazzelle e Paradiso andrebbero intitolate delle scuole elementari.
Detto ciò il brano racconta (bene) la storia (poco credibile) di un uomo che vede la sua vita totalmente rivoluzionata da una cosa che mai si sarebbe aspettato gli sarebbe potuta succedere: l’ammmore. Il problema è che è difficile entrare dentro un brano che racconta una storia che non ti bevi in un modo che risulta ben poco attuale e che a te non convinceva affatto nemmeno quando era attuale. Insomma, ben fatto, ma non capiamo chi possa più appassionarsi a roba di questo tipo.
Chiello – “Cuore tra le stelle”
Ormai Chiello sforna solo pezzi scoordinati e genialoidi, melodie azzardate che è come se ti entrassero dentro incastrandosi in vuoti che non sapevi nemmeno di avere. Un sound che ammicca al retrò, inseguendo quel senso di epicità, un qualcosa che sia definitivo, come i pensieri quando si accostano alle stelle e ti danno l’impressione di non poter arrivare più in là.
Ecco Chiello, che ha trovato un’alchimia meravigliosa con Colombre, che lavora con lui a testi e produzioni, si spinge in là senza paura, come se vagasse in questa sua visione stramba, affumicata e romantica della musica barcollando con la meraviglia negli occhi e nella voce, in cerca di una stabilità che un artista vero come lui difficilmente troverà. Brano imperdibile.
Rondodasosa – “Autostop”
La struttura del pezzo, dal punto di vista del sound, non è solida, il ritornello è decisamente telefonato, comincia e sai già dove andrà a finire. Più interessante invece la costruzione del testo, lontano dai soliti cliché, inumidito da immagini malinconiche e autentiche; lui all’ultimo banco che si sente dimenticato anche da Dio, lui mani nelle tasche che cammina, da solo, come si fa quando senti che nessuno ti capisce davvero, allontanandosi da un amore tossico, sospirando. In un oceano di mediocrità, un buon brano.
Maurizio Carucci – “Inimmaginabile”
Una meravigliosa canzone d’amore che racconta di quel momento in cui l’amore non solo diventa amore ma si supera, diventa unità totale, una visione della vita che non può più risultare disuguale, sbilanciata, come se ancora due persone fossero ancora due e non due metà di un unico elemento.
E allora ci si chiede quante altre avventure toccherà affrontare insieme, viaggi intergalattici fatti con la mente, ugualmente entusiasmanti rispetto ad un piatto di spaghetti, cucinato insieme, perché così è l’amore, si basta. Poi, noi abbiamo una particolare passione per i brani dove a dominare sono pianoforte e voce, il cantante degli Ex-Otago ci mette anche un senso di artigianalità che te lo fa sentire così vicino che ti strappa a morsi le lacrime dagli occhi.
Gio Evan – “De Dominicis”
Pop piuttosto sempliciotto intriso di questo spirito hippie di dubbio gusto e dubbia profondità. Esiste un universo, specie giovanile, che pende dalle labbra di Gio Evan, probabilmente perché riesce, e questo è certamente un merito, a veicolare questa sorta di filosofia da post su Facebook prestando pensieri alla generazione di giovani più ignorante della storia dell’umanità.
Noi però siamo maggiorenni già da un bel pezzo, per cui serve qualcosa in più per darci pensiero; la canzone è solida, funziona, ma si perde in un bicchiere d’acqua, nel senso che basta un bicchiere d’acqua per contenerla.
Federica Abbate feat. Fred De Palma e Emis Killa – “Doppio nodo”
Ascolti il pezzo e istintivamente cerchi attorno a te un camerino dove provare un jeans nuovo.
Peppe Soks feat. Yung Snapp e MV Killa – “Blow”
Incontro artistico che fa esplodere un’atmosfera che solo il rap in lingua napoletana sa creare. E parliamo di tre fuoriclasse della scena più interessante in Italia che riescono a raccontare una storia attraverso solo delle minuscole percezioni, quello che capisci insomma, restituendotene anche l’emozione e l’adrenalina. Bravi.
Tredici Pietro feat. Lil Busso – “Why U Naked?”
Brano divertente che insegue in maniera piuttosto evidente, forse anche ben più della media del rap italiano, un sound prettamente americano. Tredici Pietro e Lil Busso si lanciano in questa avventura e ne escono vivi, che già è una notizia; poi la storia di questo incontro erotico, anche se a tratti didascalica, comunque prende. Intrigante, interessante, divertente. Niente male.
Giuse The Lizia – “One More Time”
Giuse The Lizia devia dal suo mondo colorato per presentarci il suo pezzo migliore: questa “One More Time” è un viaggio struggente nel passato, Giuse The Lizia alza le braccia, sventola bandiera bianca, si arrende ad una nostalgia che non lascia tregua, così come fa la nostalgia, con tutti noi, quando ti prende di mira con sadismo. Il pezzo è scritto e pensato davvero molto molto bene, una lama tra le scapole di chi si aggira lontano da casa, per le strade, ingoiato dalle metropoli e pensa al senso delle cose e non lo trova. Mai.
Giordana Angi – “Questa fragile bellezza”
Disco personalmente utilissimo, da oggi in poi avremo cosa rispondere subito a chiunque faccia un’espressione che dice “Wow, che fortuna!” quando ammettiamo di scrivere di musica. Sarebbe un’idea anche offrire a chiunque acquisti l’album, in omaggio, degli auricolari, così quando qualcuno ferma un critico musicale per strada, guardandolo come uno che ha trovato una meravigliosa modalità di stare al mondo senza fare granchè, questo può tirarli fuori e costringere lo sprovveduto di turno a sedersi sulla prima panchina utile ed ascoltare 39 minuti e 21 secondi (non gli risparmiamo nemmeno i 21 secondi) di “Questa fragile bellezza”.
Scherzi a parte, il problema non sono i brani brutti, sono i brani poveri di significato, che non dicono niente che non sia stato detto già centinaia di migliaia di volte nella musica italiana e decisamente meglio.
Nel 2022, con le classifiche ingolfate dal periodo più illuminato della storia del rap, il pop tecnologico che si sta imponendo come sonorità ufficiale del nuovo cantautorato e una generazione di artisti intorno alla cinquantina che stanno attraversando un periodo di maturità esaltante, esattamente, questa musica così leggera, pulita, innocua, a cosa dovrebbe servire? E a chi? E perché?
Anzj feat. Camilla Magli – “Tu sai tutto”
Un brano che si esalta nella sua confusione, come assistere ad un’orgia di parole, non nel senso che sono tante, più che sono mescolate ad arte tra di loro. D’altra parte trattasi di canzone d’amore, quindi la metafora ci sembra azzeccata; un uomo e una donna si confrontano sulla paura che colpisce quando ci si rende conto che si è dato così tanto all’altro da aver perso se stessi.
Una cosa che in effetti, se lasciata a briglie sciolte, può diventare spaventosa, ma il brano, nonostante pulsi di input tech, non rinuncia ad evidenziare, quasi senza dirlo, solo con il suono, che si parla di un amore vivido, esistente, che proprio perché così sano può essere messo in discussione. Piacevolissimo.
Barberini – “Giorni d’oro”
Un bellissimo album, pregno di sensualità e carattere. Si sente chiaramente che dietro c’è un’idea ma anche la volontà di non sbrodolarla in un disco per mostrare i muscoli. Non un solo brano fuori posto, la dolcezza e la raffinatezza dell’intento si appoggiano su uno stile moderno, lontano dal pop ammuffito delle cantanti dalla melodia facile; con Barberini si viaggia in un presente distopico e affascinante, con gusto e introspezione.
E poi, in chiusura di album, la bellissima “06:15”, che vanta un featuring con Bonetti, senza ombra di dubbio uno dei più talentuosi cantautori del circuito indipendente. Fate voi.