AGI - Tante deviazioni dal percorso e altrettante conferme in questa nuova settimana discografica. Se i Måneskin infatti deviano l’attitudine rockettara per proporre una ballad molto convincente, Niccolò Fabi suona un’altra delle sue splendide poesie; e poi ancora Coez che canta Guè, il ritorno entusiasmante dei Coma_Cose senza accenni rap, male sangiovanni e Baby K (che non è proprio una sorpresa), mentre spaccano i Little Pieces of Marmelade, Rose Villain, Il Solito Dandy e Mille. Chicca della settimana: Voodoo Kid.
Måneskin - “The Loneliest”
I Maneskin flirtano con l’autunno proponendo una ballad gradevole, dalle tonalità un po' da colonna sonora di film commedia romantica anni ’80, infatti ci aspettiamo che mentre ascoltiamo da un momento all’altro si materializzi in camera Kirk Cameron. Si tratta di un buon brano, sicuramente il migliore da “Zitti e buoni” in poi, tocca delle corde che non sono esattamente inedite per la band romana, che già altre volte si era lasciata andare a questa sorta di romanticismo, solo che a sto giro l’atmosfera è più greve, più cupa, più solenne; in altri fu più pop e meno intensa.
Comunque promossi, si dimostrano ancora una volta ragazzi dotati di un orecchio giusto per far suonare i propri pezzi con un’intenzione precisa; e questa è roba da professionisti veri, questo qualora qualcuno avesse ancora in mente di mettere in dubbio il loro status gonfiandosi la bocca con discorsi su rock si e rock no, pop si e pop no.
Niccolò Fabi – “Di aratro e di arena”
Come ve lo aspettate un brano di Niccolò Fabi? Pregno di poetica, profondamente intimo, etereo nei suoni, rinfrescante nell’anima, capace di isolare dal mondo esterno, di rinchiuderti in una prigione dorata di immagini, di parole misurate, di sensazioni da assorbire con calma, melodiche e lente, estranee a questo mondo dominato da un incontrollabile ed inarrestabile flusso. Ecco, si, anche stavolta di questo si tratta.
Coez – “Fuori orario”
“From The Rooftop” è un’operazione molto interessante di Coez, una serie di sessioni acustiche di cover e proprie canzoni; un’operazione possibile quando stai dentro la musica con entrambe le scarpe, forte di uno stile riconoscibile, chiaro e autentico, in modo tale non da “far tuo” il brano, ma fare di un brano un nuovo brano.
Coez ci riesce anche con “Fuori orario”, che è un pezzo di Guè (ex Pequeno) contenuto nell’album del 2015 “Vero” e con il quale il rapper romano apre una seconda tappa di questo suo side project. In questo caso il brano ne esce addirittura fatto meglio, questo perché una delle caratteristiche fondamentali di Coez è quella di riuscire a dare un significato diretto alle barre che recita, come se riuscisse a stabilire un contatto unico tra lui che canta e tu che ascolti. “Fuori orario” ora vive di una nuova luce, anche Guè si è complimentato con lui…e ci mancherebbe.
Coma_Cose – “Chiamami”
Non è una novità per gli adorabili Coma_Cose sfiorare le fila della nostalgia, nei brani invitare costantemente all’analisi, provando ad accostare l’ascoltatore alla propria visione; lo è invece la totale assenza di ritmiche rap, nel brano infatti Lama e Califonia non incastrano le proprie barre in quel meccanismo perfetto al quale ci avevano abituati. Non si può nemmeno dire che sia nuova una certa attitudine pop, ma questa nuova direzione, nella quale una delle specialità della casa viene, ad alto rischio, messa da parte, non ce l’aspettavamo.
Ma noi siamo amanti delle sorprese e “Chiamami” in fondo non dimostra altro che quando si mantiene un intento artistico così lucido, poi le cose vengono bene. Infatti il brano è molto molto intenso, il duo non rende le cose facili, infatti il secondo ascolto è anche più gradevole del primo, il terzo più del secondo, questo probabilmente perché anche loro sanno che le canzoni semplici, telefonate, non scuotono alcunché, mentre in questa musica odierna servono forti scossoni per far sentire la propria presenza.
E “Chiamami” rappresenterà uno scossone per tutti gli amanti dei Coma_Cose là fuori, perlomeno musicalmente, perché poi il messaggio è ancora una volta ragionato: “chiamami”, “parlami”, “cercami”, uniamoci in un universo che ci vuole sempre più divisi ed isolati. Artisti veri. Bravissimi.
Sangiovanni – “Fluo”
Tentativo di tormentone post estivo, funzionante ma dimenticabile, svolazzante, senza alcun peso specifico. Sfugge il senso di ingolfare il mercato con questa roba, che tutto è tranne che fluo, nel senso che quella sensazione di buio cosmico rimane intatta; nel mondo e nella musica di sangiovanni.
Baby K – “Easy”
Eh, appunto, easy, tutto easy, tutto veramente easy, brano inutile e noioso come il primo livello di Tetris, livello easy infatti, che è talmente easy che uno si chiede chi può mai essere così easy da trovare interessante una roba del genere?
Rose Villain – “Rari”
Brano autentico, divertente, meravigliosamente schizofrenico; Rose Villain si conferma autrice centrata, questa “Rari” utilizza il materiale del rap per dire qualcosa di proprio, anche prendendosi un po' in giro, smussando gli angoli di quella narrazione solitamente dura e pura, centrando con precisione chirurgica invece quelle tonalità pop che rendono tutto molto più accessibile. In questo evidentemente grande aiuto dalle mani magiche al banco regia di SIXPM ed Hendric “HNDRC” Buenck.
Side Baby feat. Mikush – “Gossip”
Se di “Gossip” possiamo salvare, ma giusto perché oggi c’è un bel sole e ci sentiamo particolarmente euforici, la struttura del brano, delle barre, chiuse con una scelta di lessico vagamente più ricercata; lato contenuti siamo nuovamente caduti in quelle atmosfere alla Spike Lee che ormai hanno stufato perfino Spike Lee. In testa certe canzoni suonano come gli abbai del cane della vicina, cui funzione che si è scelto nella vita è evidentemente quella di stare tutto il giorno dinanzi alla porta aspettando il passaggio di qualche inquilino del palazzo.
Ma la verità è che quel cane non l’abbiamo nemmeno mai visto, dopo anni dubitiamo anche della sua esistenza. Sentiamo solo abbaiare. Abbaiare, abbaiare, abbaiare. Siamo forti, siamo pericolosi, andiamo a letto con un sacco di “bitch” (che classe), ci droghiamo, siamo pieni di soldi…ma alla fine raccontiamo tutto in una canzone che finirà nelle orecchie di ragazzini e non ci viene nemmeno tanto bene.
Voodoo Kid – “Guardare giù”
Se il sound più convincente tra quelli più proposti dalla discografia è questa sorta di elettro/pop morbido, ritmato, psichedelico, difficilmente ci immaginiamo qualcuno che lo faccia meglio di Voodoo Kid. Che è un vero fenomeno, la sua capacità di accarezzare i brani con grazia senza togliere credibilità e sostanza ai contenuti è davvero rara. “Guardare giù” tratta la fine di un amore e Voodoo Kid mette in musica proprio quelle vertigini da incubo quando si perde la terra sotto i piedi. Eccellente.
Rio feat. Modena City Ramblers – “In viaggio da sempre”
Verso la fine dei ’90 probabilmente sarebbe stata una hit totale, di quelle da Concertone del Primo Maggio, con la puzza di vino acido nel naso, il caldo romano che scalda la spensieratezza dei tuoi vent’anni e la tua invincibilità messa alla prova pogando con un gruppo di abruzzesi.
Oggi ci risulta vagamente impolverata ma pregna di quell’epica sinistroide che ormai parrebbe non interessare più a nessuno; tranne noi che, sarà che con certo sound ci siamo sempre molto divertiti o sarà perché certo disinteresse nei contenuti ci rattrista sempre un po', sentiamo una focosa nostalgia per un genere di musica, di storie, di visioni, che appartengono alla migliore versione di noi.
Little Pieces Of Marmelade – “Ologenesi”
Che disco potente, psichedelico, visionario e, anche, sorprendente. Non perché non avessimo già intuito a X Factor la capacità dei Little Pieces Of Marmelade di fare musica vera, di non fare la parte dello specchio del mercato, provando a ripetere le gesta, a “smorfiarsi” il viso per assomigliare a qualcosa che semplicemente non si è; ma perché credevamo che fosse un album più rock old style, anzi, ammettiamolo, un po' ce lo aspettavamo e un po' ci speravamo anche.
E invece no ”Ologenesi” va decisamente oltre, è un album che di old non ha proprio alcunché, i LPOM trascinano per le orecchie la loro attitudine rock in un territorio ultracontemporaneo, fosse un film sarebbe l’incrocio tra “Lock&Stock” e “Blade Runner”. E poi è un album perfetto, dalla prima all’ultima canzone, tutte senza titolo ma semplicemente enumerate, si fa si con la testa, diremmo “si rockeggia” se il termine non ci facesse sentire il preside Skinner; i ragazzi picchiano duro e ci fanno divertire.
Marco Carta – “(Forse) Non mi basti più”
Manifesto musicale perfetto di una stagione musicale, quella durante la quale i Marco Carta, forti di un pugno di televotanti, vincevano Sanremo, che fortunatamente ci siamo messi alle spalle. Marco Carta che vince Sanremo…ne abbiamo viste davvero di tutti i colori.
MACHETE - “Cantera Machete, Vol. II”
L’academy Machete, proprio come concetto, è estremamente interessante; significa che c’è la volontà di instaurare una linea editoriale ben precisa, una scuola rap. Saremmo falsi a dire che non si sente una certa inesperienza, ma altrettanto falsi a dire che non abbiamo notato anche guizzi piuttosto interessanti, un esempio su tutti: “Red Light” di Pico.
Molto interessante anche apprendere quanto il pop sia un linguaggio del tutto accettato, che forse quell’affannoso inseguimento al celodurismo rap a tutti i costi, va un po' scemando, infatti questo secondo volume della Cantera Machete ospita tantissima melodia, ed è un bene.
Valerio Mazzei – “Che male che fa”
Brano che un’intera generazione di sedicenni dai cuori infranti utilizzerà sui social per mandare messaggi ben poco velati alle ragazze (o ai ragazzi, è chiaro) che li hanno mollati. Non vediamo proprio a cos’altro potrebbe mirare una canzone del genere, così sempliciotta e pronta a confondersi in quel marasma pop smielato al quale si ispira. Fatevi forza, su; anche se adesso non lo credete possibile, un giorno riderete di questo dolore. E probabilmente anche dell’aver ascoltato questa canzone.
Il Solito Dandy – “Travolti da un insolito destino in un sogno Lady Oscar”
Un sogno raccontato e bene con un intento ultraterreno, stare un po' lassù per scappare da quaggiù, che quaggiù non è che spesso sia sto granchè. Per cui Il Solito Dandy, che si conferma uno dei cantautori più interessanti di questa nuova generazione, dilata tempo e spazio, le immagini, che sono fulminee e che lui allunga, storpia, caricaturizza in qualche modo, rendendole colorate e ridicole, nella migliore delle accezioni possibili. Canzoni con titoli come “Travolti da un insolito destino in un sogno Lady Oscar” spesso ce le ricordiamo, appunto, solo per il titolo; non è questo il caso. Bravissimo. Di nuovo.
Mille – “Monsieur Malheur”
Il progetto Mille è proprio messo a fuoco e questa “Monsieur Malheur” è proprio un pezzo divertente. Certo, si schiera moralmente, politicamente, filosoficamente, dalla parte di quelle ragazze che, svolazzando scientemente a destra e a manca, avide di vita, lasciano con perfidia pezzi di loro nei cuori di noi poveri sfigati, che in questo senso siamo proprio alla base della catena alimentare. Ma il brano è talmente frizzante e ben fatto che alla fine te le fa stare anche simpatiche. Ah…potenza della musica!
II Ghost – “Te stesso”
Una narrazione cruda che apre gli occhi su storie che ci tagliano la strada mentre prendiamo una metro, mentre siamo in fila alla posta, mentre passeggiamo col cane al parco, ma che ignoriamo, perché anestetizzati al dolore degli altri. II Ghost invece, che è un rapper di origini albanesi, in “Te stesso” spiattella tutto, una confessione da commissariato, come ci si ritrova spacciatori in un paese che non è il tuo, in un paese che ti fa sentire il più possibile diverso, quando ti va bene tollerato.
Un paese che l’unica soluzione che offre è l’accumulo di denaro, ad ogni costo, buono per comprarsi un’immagine da persona benestante, mentre covi i tuoi fantasmi, mentre cerchi di domare lo stesso incendio che i tuoi pensieri alimentano. Vorremmo evitarlo, vorremmo buttarci capo e piedi nell’universo sempliciotto dei Tommaso Paradiso, e invece ci tocca, perché la musica, sarebbe il caso di ricordarlo, serve anche a questo. Ottimo lavoro.
Lil Busso – “Ho perso la testa”
Mastichiamo rap con una certa ingordigia, non solo perché ci piace ma anche perché è necessario in un’epoca in cui la quasi totalità del mercato è occupata appunto da rapper; covando l’ipotesi che in realtà ancora ne dobbiamo vedere. E ci diamo ragioni da soli, allo specchio, come degli scemi, quando ci capita di ascoltare qualcosa di realmente differente, perlomeno per quel che riguarda la scena italiana. “Ho perso la testa” nasconde un beat elettronico e dinamico come non ne abbiamo mai sentiti; da limare e approfondire la parte relativa ai testi, ai contenuti, ancora decisamente acerbi, ma l’idea musicale è davvero originale, che è un aggettivo che non siamo affatto abituati ad utilizzare.
Wism – “Pazienza”
Ottimo debutto, c’è identità, c’è ciccia, c’è struttura, c’è interpretazione. Wism è da tenere d’occhio, questo è un esordio col botto e se dovesse confermarsi in futuro ci toccherà raccogliere il pop col cucchiaino.