AGI - È strano parlare di un debutto in riferimento a Manuel Agnelli, che è un personaggio ormai assai noto, assai mainstream, eppure questo “Ama il prossimo tuo come te stesso” rappresenta davvero la prima (e certamente non ultima, è stato apertamente dichiarato) esperienza da solista del cantante degli Afetrhours.
Chiaro che la prima domanda che ci si pone ancor prima di cliccare play è: quanto degli Afterhours ci saranno in questo disco? Domanda legittima che richiama ad una risposta piuttosto semplice: Manuel Agnelli è anima e penna degli Afterhorus, una cosa abbastanza evidente, perché gli Afterhours sono un progetto che possiamo serenamente considerare a capo di un movimento musicale sotterraneo, quell’indie che era indie veramente e non solo l’anteprima di un nuovo panorama cantautorale alla amatriciana, e lui si è sempre approcciato, perfino seduto su uno dei quattro troni di X Factor, con quella sanissima seriosità, quella da sudore e sangue sul palco di provincia.
Per cui sì, c’è molto degli Afterhours nel disco da solista di Agnelli, o meglio, c’è moltissimo Agnelli nei dischi degli Afterhours. L’atteggiamento, la struttura dei brani, manco a dirlo la voce, gli strappi rock, le esplosioni strappabudella, ritroviamo in tutto e per tutto il Manuel Agnelli che ama chiunque ami la musica ben fatta. Come quella degli Afterhours.
Si parte con una ballad splendida dal titolo “Tra mille anni mille anni fa”, uno di quei brani che ti aprono in due il cuore dalla commozione, un moto di pace nei confronti di un amore certamente passato dentro cui Agnelli fa brillare nuovamente i gesti, i momenti, le immagini, le fisicità. Se avete una donna con la quale è finita ma alla quale volete ancora bene, il consiglio è di dedicarle questo pezzo ma, attenzione, è talmente bello che rischiate di farla tornare.
Si prosegue con “Signorina Mani Avanti”, pezzaccio rock old style in cui la rudezza della musica si mescola con quella del testo, bellissimo oltretutto, che recita: “Se non provi niente prova me/se non cerchi niente trova me”, rivoluzionario in un universo in cui si tende spesso a sconsigliarsi, Agnelli invece fa i muscoli e in questo brano evidentemente si diverte parecchio.
Una sensazione che se è il caso cresce in “Proci”, brano che dimostra quanto Agnelli sia maestro indiscusso di quella messa in scena musicale così schietta e diretta, schiaffeggiante, dell’underground anni ’90. Da lì non si è mai mosso e la cosa non ha mai rappresentato un limite e men che meno un’operazione dal sapore vintage, ma anzi, al contrario, la propria forza, il proprio modo, molto serioso, di solcare un fosso per draghi rispetto al vaso di Pandora scoperchiato da internet negli ultimi dieci anni nel panorama pop italiano. “Proci” è una mini opera rock in cui il pianoforte tira le fila, introduce e gestisce un’ansia appuntita e dissacrante.
Il miglior brano di un disco pieno fino all’orlo di migliori brani è certamente “Milano con la peste”, che si, è chiaro, fa immediatamente scattare in mente le immagini del primo lockdown, quella calma imposta nel bel mezzo di una tempesta; ma in realtà forse è ancora più forte il rigurgito malinconico che ne deriva, la malattia cui capezzoli sono stuzzicati da una società, quella milanese in particolare, che tende a selezionare, ad escludere, ad ingoiare.
L’album non presenta ufficialmente alcun featuring, a parte quello ne “Lo sposo sulla torta” con la misteriosa Vaselyn Kandinsky, che è evidentemente un nome di fantasia inventato ad hoc, perché non esiste sui social né su Spotify; in tutta onestà ci frega pochissimo della sua identità, il punto è che si tratta di un ottimo pezzo, dissacrante al punto giusto nei confronti di un sentimento che più si va avanti nella vita e più si complica; anche per questo davvero azzeccata, quasi metaforica, la partecipazione di una voce femminile che piega un po' la solita wave da rocker.
Toccante la confessione di Agnelli in “Severodonetsk”, in cui si apre letteralmente in due, dividendo se stesso dall’immagine spalmata ovunque, che forse non lo rappresenta nella sua totalità, un’esposizione che in qualche modo lo fa marcire a tal punto da fargli sentire la necessità di affidare in altre mani la propria essenza.
Così in “Guerra e pop corn” rimette i panni dell’osservatore rock impietoso, nel brano un uomo e una donna sul divano guardano la guerra come se fosse un reality che non li riguarda, accompagnandola con “coca e pop corn”; un’immagine atroce e realistica che lo riporta anche musicalmente su un percorso per lui classico.
”Pam Pum Pam” e “La profondità degli abissi” sono due brani scritti per il “Diabolik” dei Manetti Bros; nel primo Agnelli gioca con un sound orchestrale, definitivo, storia di un amore garbato, dal sapore antico, musicalmente regale, certamente nostalgico e coinvolgente. Nel secondo pesta duro ma riesce splendidamente a tenere le redini della propria idea di una declinazione aulica del rock, quella puramente cantautorale, che poi è da sempre specialità della casa, sorretta dunque da una capacità di scrittura che vive di talento e mestiere
L’album si chiude con la title track “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ballad meravigliosa in cui la voce di Agnelli si incastra tra i tasti di un pianoforte, stracolma di quella incompiutezza che un po' è segno distintivo e attrattivo della musica di Agnelli, quella sua attitudine a non servirti mai nulla su un piatto d’argento, a farsi inseguire nei concetti e nella struttura dei suoi brani; ma che è anche rappresentazione plastica di una frase, di biblica memoria, che effettivamente, come dichiarato dallo stesso Agnelli, è sempre rimasta “mai realizzata”.
Nessuno scrive più con tale epicità, anzi, l’epicità sembra proprio un elemento della poetica odierna snobbato, scambiato per un vecchio catarroso incrociato su un marciapiede che ci vien voglia di cambiare solo affinché quell’immagine sia riposta il più lontano possibile da noi. Ma in fondo parliamo solo del senso della bellezza ormai perduto, per il quale non c’è più interesse e che invece artisti come Agnelli si sentono evidentemente moralmente obbligati a mettere al centro del proprio fare.
C’è da dire che Agnelli non è più un giovanotto che non può permettersi di sbagliare, che deve affannosamente inseguire le hit, con la sua storia si è guadagnato il privilegio di fare un po' il cavolo che gli pare, però le alternative allo sforzo di mettere su qualcosa di estremamente artistico ci sono, tipo grattarsi la pancia sul divano o parlare in televisione, che sarebbe anche, immaginiamo, più remunerativo. Invece scrive e compone e si chiude in uno studio per registrare questa perla di album.