AGI - Elegante, carismatico, un artigiano del palcoscenico, un mestierante come pochi in Italia, paese che spesso celebra la pura incompetenza di chi vive di un quarto d’ora di luce, forte di una hit, massimo una hit e mezza, catapultato direttamente dalla propria cameretta nel prime time musicale, un non luogo diventato sempre più parodia di sé stesso.
E poi c’è Ramazzotti, un artista che è riuscito a far comprendere all’intero pianeta la propria idea di pop, melodico, accessibile, italico, ma mai casuale, mai buttato lì per caso, giusto per far sentire la propria presenza al mercato.
La prima data del tour mondiale di Eros Ramazzotti, a Siviglia, nell’arena Real Maestranza di Siviglia, ci dice esattamente questo, rappresenta un ripercorrere a zig zag la carriera di un artista fondamentale della storia della musica leggera italiana, uno dei pochi ad aver seguito un percorso lineare senza tradirsi mai, costruendo un repertorio di enorme valore, popolare, concettuale, ma anche strettamente musicale.
I seimila di Siviglia si sono inchinati dinanzi al ritorno di Ramazzotti, che riesce a smontare l’atmosfera da corrida, la rinomata Feria de Abril, del luogo (splendido) con la sua visione genuina e romantica, con la sua musica, suonata con strumenti veri, e rimanendo cool ma non artefatto, perfino sensuale senza mai essere troppo ammiccante.
Il concerto si apre con tre brani di “Battito infinito”, il suo nuovo album: “Battito infinito” (firmato dalla figlia Aurora, presente anche lei in terra spagnola), “Ama” e “Solo”, che sono i due singoli che lo hanno anticipato, brani portati a casa con innegabile mestiere, che se convincono fino ad un certo punto (ma convincono) su disco, esplodono letteralmente live, sembrano addirittura scritti con questa precisa intenzione, cosa che off record tra l’altro, lo stesso Ramazzotti ha confermato proprio con noi dell’AGI.
“Dove c’è musica” poi apre ad una carrellata di vecchi successi da far brillare gli occhi, chiaramente cantati un po' in italiano e un po' in spagnolo, non cambia, “Stella gemella”, “Se bastasse una canzone”, “Terra promessa”, “Adesso tu”, “Fuoco nel fuoco”, fino ad “Un’altra te” e “Cose della vita” (che brani questi due, così potenti e precisi), la hit intramontabile “Più bella cosa”, ormai una delle più riuscite canzoni d’amore del repertorio italiano e, soprattutto, “Musica è”, capolavoro assoluto, totale, orchestrale, epico, uno dei più bei brani mai incisi in lingua italiana. Sicuro.
Impressionante la voglia di Eros di mettersi in contatto con il pubblico, entrare in sintonia, fisicamente, con i suoi fans; fa su e giù dal palco indomabile, si lascia abbracciare, palpare, ci parla, direttamente, senza filtri, cerca gli amici che ha convocato dall’Italia, ospita sul palco una coppia olandese che festeggia i 25 anni di matrimonio quella sera.
E il pubblico risponde con una litania quasi da stadio e assolutamente contagiante: “Eeeerooooosssss, Eeeerooooossssss, Eeeerooooosssss”, e quando lui accenna un commiato dal palco loro lo richiamano dentro al grido di “Otra”, un’altra insomma, ancora una perla, uno scrigno per ricordare insieme quella volta che, quel pezzo che abbiamo dedicato a chissà chi e chissà dov’è finita, quella canzone che veniva sputata fuori gracchiante dall’autoradio, in viaggio, d’estate, senza aria condizionata, e tu la cantavi a squarciagola con la tua famiglia, in uno dei più bei ricordi della tua esistenza.
Perché Eros Ramazzotti straordinariamente vive queste due dimensioni all’unisono, la gestione di un patrimonio sentimentale di inestimabile importanza per chi ascolta e la capacità, che si fa sempre più complessa, è chiaro, e nel nuovo disco si percepisce, è fisiologico, non c’è nulla di male, di mantenere il proprio status artistico.
Attenzione, non mediatico, artistico, e questo fa tutta la differenza del mondo. “Mi chiamo Eros – dice verso la fine, sul palco, evidentemente quando sente lo show vorticare libero e festoso - non ho più vent’anni ma amo la musica, vorrei morire sul palco”, ecco, se eliminiamo l’iperbole finale della dichiarazione, che richiama a eventi piuttosto tristi per la storia del nostro cantautorato, il riassunto della serata lo fa proprio lui, in maniera semplice e diretta, che è la sua maniera, da sempre, la chiave per essere Eros, senza cognome, nemmeno serve, come un amico, uno di famiglia, elemento musicale, romantico, che custodisce la nostra memoria collettiva.