La vittoria di Marracash aprirà una nuova era del Premio Tenco?
AGI - Poteva andare meglio, diciamo che la fotografia sarebbe potuta venire fuori un po' più nitida, ma poteva andare anche molto molto peggio. Dei vincitori delle Targhe Tenco 2022 non ci si può lamentare, la giuria del più prestigioso premio musicale italiano (più prestigioso dato che assegnato esclusivamente da esperti del settore, così come tutti i premi dovrebbero essere) ha messo una firma su alcuni dei migliori lavori usciti in Italia nell’ultimo anno, pardon, tra l’1/6/2021 e il 31/5/2022, è questo l’arco di tempo entro il quale una pubblicazione poteva essere votata per il Tenco.
Ma, effettivamente, tutte le scelte della giuria si sono rivelate inoppugnabili: “Noi, loro, gli altri” di Marracash ha vinto la Targa Tenco per il miglior album in assoluto, una vittoria storica, l’accettazione del linguaggio rap nel circuito più (giustamente) radical chic della musica italiana; c’era un precedente, Caparezza, che nel 2014 vinse con “Museica”, ma il rapper pugliese già dai tempi era considerato un po' a lato della scena rap, una scena ancora non così affollata, come lo è oggi.
Doveroso che il Club Tenco desse un chiaro segnale in questo senso, la capacità di riconoscere un valore cantautorale anche per quel che riguarda la musica attuale e la voglia di premiarlo, di celebrarlo, affinché le nuove generazioni di artisti che si approcciano alla musica con quel determinato linguaggio, sappiano che oltre gli stream, i follower, il denaro, c’è qualcosa per la quale vale la pena aggiungere significato al proprio lavoro, la ricerca di una profondità sulla quale, non essendo più necessario, dato che il grosso del pubblico non ci bada più, la discografia non investe più.
Ma è una scelta realmente intelligente? Le votazioni del Tenco ci dicono di no, e la storia della musica prima di loro, chi ha badato a surfare l’onda più alta del momento, alla fine si è ritrovato regolarmente ingoiato da quello spietato meccanismo mastica e sputa. Anche per questo oggi celebriamo Marracash, che ha scritto un disco splendido, pieno di spunti di riflessione, denso di deviazioni intellettuali, filosofiche, politiche, illuminanti, sulla stessa precisa linea dei grandi cantautori che questo premio vuole omaggiare esistendo; il padre di questa scena t/rap che, piegata ai voleri spesso insensati del mercato, propone quasi esclusivamente imbuti cosmici di intrattenimento vuoto, se non, quando va proprio male (e ci va spesso) addirittura modelli comportamentali altamente discutibili.
Speriamo che in questo senso lo spostamento verso l’impegno autorale, controcorrente, contromercato, di Marracash, faccia scuola, affinché questa componente machista nei contenuti di questa nuova generazione di rapper, che a questo punto preferiamo chiamare nuovi cantautori, si attenui sempre di più fino a non interessare più nessuno.
Marracash ha ricevuto 53 voti, sei in più della veterana del premio Cristina Donà, seguita da Giovanni Caccamo, Max Manfredi, Erica Boschiero e Federico Sirianni, che erano un po' le sorprese delle nominations, specie gli ultimi tre, sconosciuti ai più e, senza alcuna valutazione di merito, praticamente inesistenti dinanzi al mercato discografico. Ma non hanno vinto e, ci sentiamo di dire, menomale, sarebbe stato piuttosto imbarazzante dover alzare le braccia di fronte ad altri potenziali nominati incredibilmente rimasti fuori dai giochi come Giorgio Poi, i Post Nebbia, Caparezza, Carmen Consoli, Fabri Fibra, Murubutu, Nayt o Rancore (quest’ultimo almeno si è potuto consolare con una nomination per la migliore canzone).
E a proposito di miglior canzone, a vincere giustamente Elisa e Davide Petrella per “O forse sei tu”, brano classificato secondo al Festival di Sanremo; esclusi “Una sera” di Alessandro Fiori, “Giorni felici” di Giorgio Poi, “Strappati lungo i bordi” di Giancane, brano che ha accompagnato e sottolineato il successo stratosferico della quasi omonima serie Netflix di Zerocalcare, o la stessa “Brividi” chiaramente, cui poetica mescolata a sonorità così contemporanee, a causa del successo mainstream dato dalla vittoria all’Ariston e la conseguenziale partecipazione all’Eurovision di casa nostra, forse diamo erroneamente per scontata; si tratta di un ottimo brano.
Nella lista troviamo un featuring degli Zen Circus, ma forse noi a quello divertente con Brunori SaS avremmo preferito quello complesso e meraviglioso con Motta (“Caro fottutissimo amico”); a rischiare la vittoria è stata invece “Tiritera delle canzoni che volano” cantata da Alessandro D’Alessandro con Elio & David Riondino, poco più di 1000 ascolti su Spotify, e “Freccia” di Rancore è stata superata nelle votazioni da “Desiderio” di Cristina Donà (…e fin qui) e “In fondo al '900” di Andrea Tarquini, cui riproduzioni sulla principale piattaforma per l’ascolto della musica in streaming sono talmente poche da non essere nemmeno quantificabili.
Ora, il Tenco, giustamente, non è un premio agli ascolti, anzi, la valutazione deve tenersi ben lontana dai freddi numeri della FIMI o delle varie piattaforme, è corretto che rappresenti un’oasi di qualità in un mondo che la qualità la sta svendendo con preoccupante regolarità; però anche il concetto di qualità va aggiornato, serve attenzione per riconoscerla la qualità, per andare oltre se stessi, oltre i propri gusti, le proprie impressioni, la propria storia, prenderne distacco e capire che esistono prodotti musicali autentici, lavorati con grazia e allo stesso tempo totalmente innovativi ma, soprattutto, che piacciono al largo pubblico, che non è una bestemmia, anzi, il contrario, è un valore assoluto; non capita spesso, saremmo sconsiderati a pensarlo, ma quando capita il Tenco dovrebbe prenderla come una vittoria da battezzare e siglare.
Serve lucidità per capire che non tutto ciò che è nuovo è peggio e, soprattutto ci verrebbe da dire a guardare le nomination di quest’anno, non tutto ciò che è vecchio è migliore a prescindere. Qualcuno potrebbe obiettare che i lavori di questi artisti (sottolineiamo le virgolette) “minori” siano magari migliori di quelli esclusi; in qualche caso diciamo che si potrebbe aprire un dibattito sensato, in altri casi, lo assicuriamo, no.
Soprassedendo sulle categorie “minori”, irrilevanti e a dire il vero un po' oscure, perlomeno discograficamente, come quella per il miglior “Album collettivo a progetto” o “Interpreti di canzoni” vinte rispettivamente da The Gathering e il bellissimo “Petali” di Simona Molinari; il miglior album in dialetto è stato quello degli ‘A67, che battono clamorosamente James Senese, Nino D’Angelo e Davide Van De Sfroos, artisti diversamente giovani che tolgono spazio, giusto per tornare al discorso di cui sopra, a facce nuove, anche in questo sottobosco musicale, come Alessio Bondì (consigliamo vivamente l’ascolto di “Maharìa”) ma soprattutto come “Liberato” e con lui un’intera generazione di rapper napoletani straimpegnati e straascoltati.
Una piacevole sorpresa invece arriva dalla sezione “Opera Prima”, una delle più importanti, che quest’anno premia la bravissima Ditonellapiaga per il suo “Camouflage”; la cantautrice romana che si è imposta al grande pubblico grazie alla partecipazione in coppia con Donatella Rettore all’ultimo Sanremo di Amadeus, supera di appena un punto Djelem Di Mar (356 ascolti su Spotify…fiuuu!) e il superfavorito della categoria: BLANCO, colui che sta cambiando i connotati al pop italiano, che non va oltre i 45 voti, abbastanza pochini, tutto abbastanza clamoroso.
Sorpresa piacevole non perché speravamo vincesse Ditonellapiaga (anche se ci vantiamo di essere stati i primissimi a scrivere di lei, almeno un anno prima l’esordio all’Ariston) ma perché “Camouflage” è un disco complesso, moderno e più maturo di “Blu celeste”, anche se il range di ascolti su Spotify di “Blu celeste” varia da un minimo di 11milioni (per “David”) a un massimo di 124milioni (per “Notti in bianco”), roba da far girar la testa; Davide che batte Golia insomma, che poi, come abbiamo già detto, è il vero senso del Tenco, quindi ci sta. Ma, anche qui, ci sono artisti (tanti a nostro parere) che non sono nemmeno arrivati alla nomination, tipo Marta Tenaglia, Mara Sattei, Chiello, MIGLIO, Amalfitano o Ariete, tutti, esattamente come BLANCO e Ditonellapiaga, ma godendo meno dello sbrilluccichio della TV, ai vertici della discografia attuale, mainstream e anche indie.
Un premio che è fondamentale per il suo significato ma che deve necessariamente dare una sbiancata alle pareti; a partire dalla giuria, della quale, fieramente, chi scrive fa parte, affinchè il premio risulti ancora e sempre più credibile bisogna che a votare siano quei giornalisti (evidentemente una selezione più ristretta) che lavorano ogni giorno con il mercato discografico e hanno una visione attuale e precisa di ciò che succede, perché il Tenco non ha il dovere di crogiolarsi nei tempi che furono, arrotolarsi beato su un disco di Gino Paoli, ma deve dare un’indicazione chiara, lucida, indiscutibile, definitiva, in costante contatto visivo con il pubblico, andandogli incontro per guidarlo attraverso la foschia e le insidie della musica fluida.
Poi le date per la partecipazione al premio devono essere più definite: 1 gennaio/31 dicembre; l’arco temporale attuale è anacronistico dato che il timing della discografia italiana è ormai cambiato ed è complesso ad oggi ricordarsi chi è uscito quando, dato che fondamentalmente tutti escono sempre. E poi, soprattutto, le categorie; chissà, forse la vittoria di un rapper permetterà al Club Tenco di prendere in considerazione l’idea di una categoria ad hoc per il genere, se ne esiste una per gli album a progetto o per gli album scritti in dialetto o per gli interpreti, che spesso altro non sono che oasi di visibilità per chi non ne ottiene con il proprio lavoro (a ben ragione o meno), perché non una categoria per i rapper? Il Tenco ha il potere (dovere?) non solo di premiare la musica migliore, quella autorale, di concetto, ma anche di migliorarla, sarebbe una buona idea, anche in termini di comunicazione, mettere la mano sul capo dei nomi che vendono (quando valgono, è chiaro), per concedere una benedizione (altamente ricercata, fidatevi) che non si può acquistare con stream, ospitate televisive o featuring con Fedez.
È un valore di inarrivabile grandezza, specie rispetto all’inconsistenza musicale, strutturale, filosofica della musica italiana di oggi; ma che viene sprecato con una semichiusura che non fa bene a nessuno, tanto chi vende continua a vendere, chi non vende continua a non vendere, un disinteresse colpevole e vagamente autodistruttivo. Quest’anno ha vinto Marracash e, insomma, con questi presupposti, non possiamo proprio lamentarci, ma il Tenco ha una storia gloriosa e, come tutte le storie gloriose ancora in atto, è inevitabile dover pensare a come quella storia debba andare avanti e a come preservare quella gloria. La Targa Tenco resta il più importante e sensato premio della musica italiana e insieme alla musica italiana deve crescere e, ogni anno, rifiorire.