AGI - Un rapper italiano che da solo riempie uno stadio è qualcosa di mai accaduto nella storia del nostro Paese, chi in passato ha avuto occasione di assistere a un concerto di Salmo sa benissimo che solo lui in Italia aveva i numeri, non solo discografici, per realizzare una simile impresa. E così è stato.
Un’impresa che è anche simbolo di un trend che si è avvicinato in pochissimo tempo a toccare l’apice, a conquistare tutto il conquistabile, e infine a mettere piede e anche bandiera nel salotto buono e più grande di casa nostra. Per farlo però non serviva il più popolare tra i rapper, anche se Salmo è certamente tra i più popolari, serviva l’unico capace di reggere certe dimensioni, con il proprio carisma, il proprio repertorio, certo, ma soprattutto un’intenzione fortemente musicale, decisamente più intellettuale, insomma, non si può andare a San Siro pensando di intrattenere decine di migliaia di persone solo con una basetta e un atteggiamento da bulletto di periferia al quale tutto è dovuto in virtù di una manciata di stream; fortunatamente la musica sta attraversando un periodo di netta decadenza, ma non fino a questo punto.
E allora non c’era altra scelta: spettava a Salmo fare questo passo sulla Luna, solo che al contrario di quello di Amstrong, è un piccolo passo per l’umanità probabilmente, ma è un grande passo per lui e per quello che i più pigri definiscono semplicemente rap, sminuendo il tutto ad un genere musicale, anche (dai ammettetelo) con quella subdola convinzione che in fin dei conti si tratta di una moda destinata, come tutte le mode, a sparire; ma che in realtà andrebbe analizzato per quello che è, ovvero un movimento culturale, all’ombra del quale un’intera generazione si riconosce, alle volte, si, inutile negarlo, con superficialità, seguendo un’immagine ancor prima che un concetto, alle volte no, proprio no, ispirata da parole e storie che sfiorano, accarezzano, abbracciano, raggiungono, spesso, si, perfino superano, quel cantautorato classico al quale ci teniamo aggrappati, forse perché lasciarlo andare significherebbe lasciare andare anche il nostro tempo. Ma il tempo è solo tempo, per sua natura passa, ed è evidente che il nostro, quello dei deandreani, dei luciodalliani, è passato.
Non è il caso di tutti i rapper, ma è certamente il caso di Salmo, perché uno dei pochi a riuscire ad andare oltre il rap. Perché se è vero che le cose vanno veloci, ed è vero e vanno molto più che veloci, possiamo decretare che il rap già un quarto d'ora dopo l'esplosione già non basta a sé stesso, come niente nella musica esiste a lungo solo in virtù del successo commerciale, piacere non basta, intrattenere non basta, serve dispensare qualità, qualcosa di significativo, qualcosa che colpisca, che ferisca anche, che illumini, altrimenti si è solo cow boy che cavalcano asini, incapaci di cambiare direzione, incapaci di emozionare, di rendere un momento memorabile.
E questo debutto del rap in uno stadio è un momento memorabile, e solo chi è capace di vivere e domare certi momenti può arrivarci. Questa è la forza di Salmo, a parte un carisma, un dinamismo, magnetico e drammaturgico, la capacità e l’istinto di vivere con occhi e corpo ciò che canta, che arriva al pubblico come un abbraccio, un bacio violento, uno stupro, inteso come qualcosa di talmente potente da sentirti in qualche modo violato; anche la più elementare capacità di riempire di musica un ambiente così ampio, suonata, calibrata, vivace e orgogliosa.
La sensazione che si plastifica immediatamente davanti ai nostri occhi è che per Salmo il rap non sia un genere, ma un linguaggio, che lui in maniera originale, anche astuta, certamente ottimale, abbina al rock quando si veste da punk, con quell’immaginario lì, quel suonato lì, un compromesso musicale storico che crea un divario chissà quanto colmabile tra lui e tutti, ma proprio tutti tutti, gli altri componenti della scena italiana.
Salmo non è un tipo simpatico, questo è notorio, è evidente, anche perché lui stesso non fa nulla e non intende fare nulla per passare per tale; cioè, attenzione, magari è simpaticissimo, ma non in pubblico e, probabilmente, piace anche per questa sua attitude che sa di follia, e poi, si sa, nessuno è più divertente di chi risulta antipatico.
Quello che probabilmente non si aspettava, fieramente e giustamente convinto di poter affrontare qualsiasi situazione musicale, conscio della propria preparazione, è che tagliare un simile checkpoint potesse inevitabilmente far riaffiorare il sapore di tutte le sconfitte accumulate per arrivare lì, far correre veloce la propria mente a tutti quei momenti che ogni artista vive, quelli nei quali non azzardi nemmeno a pensare che sarai proprio tu il primo rapper a riempire da solo San Siro.
Così sul palco, è evidente, l’atteggiamento da duro e puro, dinanzi a quello spettacolo di volti carichi di rispetto, si smonta quasi all’istante e quando sulla faccia si ritaglia un sorriso è talmente largo e sincero e folle da risultare disarmante, come sentire bestemmiare una Barbie.
Tutto ciò si manifesta quando accenna “La prima volta”, che è il primo brano scritto per il suo primo album, anno domini 2011, un momento che rischia di romperlo dall’emozione, nemmeno lui può niente contro quella valanga di affetto, quella sensazione che altro non fa che dimostrargli, e può vederlo con i suoi occhi dalla posizione più privilegiata della serata, che ciò che fa e che ha fatto (e probabilmente farà) ha un significato profondo per chi ascolta.
Noi per vivere non scriviamo canzoni, scriviamo di chi scrive canzoni, ma possiamo immaginare senza particolari voli pindarici che sia una di quelle immagini che danno senso alla propria esistenza come uomo, aldilà dei soldi, della fama, e di tutto ciò che con soldi e fama puoi ottenere. Che poi, diciamocelo chiaramente, mica fare il conscious rap è questa gran genialata di affare, certo, Salmo è riuscito a farlo digerire a una gran quantità di persone e allo stesso tempo a restare al centro del rap game italiano, ma fare pezzi impegnati, seppur riuscendo a non perdere quell'impeto macho e schizzoide, non conviene: serve lavoro, talento, ragionamento, tormento e poi, comunque, non vendi. Alla luce di tutto ciò, il lavoro di Salmo appare doppiamente straordinario.
La scena rap funziona in maniera profondamente diversa da quella pop, così è chiaro che la festa di Salmo diventa la festa di tutto il rap italiano, una conquista per tutti; non a caso Lazza, che apre lo show del rapper sardo, entra di gran carriera scaldando a dovere il pubblico con mezz’ora di session altamente godibile e lascia il palco (ma ritornerà per la meravigliosa “Ho paura di uscire 2”) dichiarando di sperare che presto quel palco sarà il suo e che si sta lavorando per quello. San Siro è anche l’occasione per decretare la pace con Fedez, che entra solo per una simpatica gag con una bottiglia da stuntman che rompe in testa a Salmo prima di un abbraccio e un saluto finale al pubblico con il quale intona i versi di “Il rap nel mio Paese” di Fabri Fibra: “Odio i rapper banali chi li produce e chi li segue/10 in comunicazione/Non uso mai l'inglese/Ora faccio un'eccezione/Fuck Fedez”; magari chiarendo una volta per tutte, a chi sta sopra, sotto, dietro e accanto al palco che lui non si ritiene un rapper, forse mai davvero lo ha fatto e si taglia fuori, lui e la musica che produce (quando va a lui di produrla), da questa palestra nella quale gli tocca, senza mai davvero meritarlo in fin dei conti, il ruolo di sacco da prendere a pugni.
Al momento del dj set ecco sfilare gli ospiti della serata, dopo il rientro di Lazza tocca a Ensi con il quale si diverte su “Ez”; poi entra in scena Nitro, forse quello che più di tutti è preso dall’emozione di avere davanti un pubblico totalmente inedito per un rapper italiano che, tra l’altro, lo accoglie con enorme affetto, e lui, dopo aver cantato “Marylean” risponde ai limiti della commozione, ringraziando “Mauri che ha portato il rap allo stadio”, a conferma del fatto che si tratta di data rossa sul calendario; ad interromperlo è proprio Salmo, che gli dice “Vieni qui, basta con i complimenti”. Quanto magnifico disagio. Certamente l’ospite più applaudito è un ancora acciaccato BLANCO, il brano proposto è chiaramente “La canzone nostra”, giusto a ricordarci di quanti ne ha battezzati Salmo. La scorribanda di amici si conclude poi con Noyz Narcos con il quale duetta in “Mic Check”, brano contenuto in “Enemy”.
Il concerto si conclude con un accenno all’evergreen di Ritchie Valens “La bamba”, insomma finisce a ridere, com’è giusto che sia a una festa; ma l’importanza del momento non può essere lavata via con un sorriso, ciò che è avvenuto ieri è importante e ora bisognerà capire se si tratta dell’apice della storia di Salmo o di tutto il rap, bisognerà capire quando e se un altro rapper riuscirà a portare a casa un simile risultato: un concerto carico di energia durante la quale non manca l’emozione, la voglia di spaccare tutto insomma, mentre nei cuori di chi assiste qualcosa si spacca, perché arriva per tutti un momento in cui una parola, così ben calibrata, riesce a tagliarti in due la schiena; e le canzoni di Salmo sono zeppe di questi momenti.
Forse per qualcuno sarà stata “Lunedì”, che è uno dei più bei brani scritti in lingua italiana degli ultimi (minimo) vent’anni, forse per qualcun altro sarebbe impossibile estrapolare un titolo dalla playlist del concerto, perché è già emozionante, già una vittoria, vedere salire sul palco più importante d’Italia qualcuno che parla la tua lingua, uno dei capostipiti di quella cultura che tanto e così bene ti rappresenta, così bene che è come se ci fossi tu lì sopra; e lo stesso vale per Salmo, capace di stare sopra il palco a cantare, come sotto a pogare, comandante di un intero popolo che ieri, dopo aver vinto molte battaglie, si aggiudica anche la guerra.