AGI - Marco Mengoni, dopo tredici anni di carriera, ieri ha conquistato lo stadio San Siro di Milano, il salotto più grande e più importante del live italiano.
Un risultato ottenuto dimostrando ogni giorno un talento che potrebbe anche essere unico per quello che riguarda la sua generazione, non solo perché, semplicemente, Mengoni canta bene, ma soprattutto perché negli anni non ha mai smesso di ricercare la parte più raffinata e sbrilluccante di quel talento che gli è toccato in sorte, quando probabilmente avrebbe potuto naufragare dolcemente tra le onde di questo pop italiota scadente e scaduto.
Invece no, prova ne è l’ultimo ottimo “Materia (Terra)”, certamente tra i migliori lavori proposti dalla discografia italiana nell’ultima stagione, attenzione, Marco Mengoni, senza mai rinunciare a quelle caratteristiche che ne fanno un personaggio assolutamente adorabile, totalmente positivo, quindi facilmente amabile per il largo pubblico, va a smussare sempre di più gli angoli, ad affilare la propria unicità.
Così l’entrata in scena a San Siro, la sua prima in uno stadio, sold out solo per lui, non sorprende sia lato pubblico; lui, nella conferenza stampa avvenuta poche ore prima dell’inizio del concerto, ha spiegato “Entro dalla parte del pubblico per godermi quella visuale”, ma la percezione, perlomeno nostra, è che si tratti di una azzeccatissima metafora, perché in realtà la storia di Mengoni è esattamente quella: lui, uno tra i tanti, che per sua fortuna (e nostra, conseguenziale) viene tirato fuori dalla massa, illuminato dal giusto riflettore, e piazzato dove tutti potessero vederlo, al centro della scena, sul palco più importante.
Non a caso il brano scelto per l’apertura è “Cambia un uomo”…perché un uomo cambia, fisiologicamente, o può cambiare, può diventare chi vuole, e se vuole diventare tra gli artisti più preparati e seguiti del panorama musicale italiano, allora così sia. Lui questo traguardo l’ha inseguito fortissimamente, senza risparmiarsi mai, e infatti così è.
Ma, visto che Mengoni ha scelto questo ingresso, noi decidiamo di appropriarcene per metterci dentro un altro significato, più generico, quello legato alla ripartenza dei live, che si ammassano in maniera piuttosto scoordinata, com’era facilmente prevedibile, ok, ma che riguardano tutti gli organi dell’apparato musicale italiano, da chi organizza un concerto a chi fa in modo che vada in scena, da chi lo realizza sul palco a chi ne scrive e a chi lo guarda; tutti insieme, con Mengoni, a risalire sul palco per ricominciare. Felici. Finalmente.
E chissà se tra le lacrime che gli bagnano gli occhi una volta concluso questo primo brano, quando si rende conto di trovarsi al centro dell’arena, circondato da una marea di persone venute lì solo per lui, c’è anche questo tra i pensieri, oppure è solo la commozione di chi vede materializzarsi davanti agli occhi il proprio sogno.
Così viene naturale seguire la scaletta del concerto con il dito indice come fanno i bambini quando leggono, affinché nulla sfugga di ciò che Mengoni ha intenzione di raccontarci; allora “Esseri umani”, che a noi cinici realisti, pur ammettendone la qualità eccelsa, non ci aveva mai fatto vibrare il nostro intimo sentimentalismo, impregnata com’è di uno spudorato ottimismo che non ci è mai appartenuto, improvvisamente ci appare chiara e tonda come canzone, più o meno come si dev’essere sentito San Tommaso una volta afferrato chi effettivamente aveva davanti.
Le favole esistono, accadono tutti i giorni, puoi non crederci quando osservi inerme le brutture di questa assurda contemporaneità, però poi ti ritrovi ad un concerto di Marco Mengoni e il dubbio che tutto si regga su uno spietato equilibrio tra depressione e meraviglia ti viene. La struttura che fa da scenografia all’esibizione dell’ex X-Factor ed ex vincitore del Festival di Sanremo è precisa, sensata, conforme all’idea di narrazione che l’artista desidera fornire al proprio pubblico, esattamente due anni, sei mesi e un giorno dopo l’ultimo suo live.
La scaletta prosegue con “No stress”, la hit estiva evidentemente incisa per esplodere in un grande live, infatti esplode lì davanti ai nostri occhi, mentre l’imponente ma misurato impianto luci inquadra un Mengoni in formissima; tutto è molto suonato, niente è lasciato al caso, come nei grandi show internazionali, i video che accompagnano l’esecuzione delle canzoni sono addirittura geniali, ogni brano è stato riletto in base alla rigorosa grammatica del palcoscenico, così da risultare efficace al 100%. In questo contesto si inserisce in armonia anche la cover di “Psycho Killer” dei Talking Heads, incisa nel 2009, inserita nel disco “Dove si vola”, il primo dopo l’exploit televisivo; necessaria, perché ogni viaggio comincia con un passo e il primo passo di Mengoni è stato un talent che ai tempi non lasciava spazio oltre le cover.
I primi telefoni si accendono su "Mi fiderò", feat con Madame ma senza Madame, questo perché Mengoni ha scelto la seconda e ultima data di questo minitour negli stadi, quella all’Olimpico di Roma, per ospitare la giovane rapper vicentina, così come Gazzelle e Giuliano Sangiorgi.
Il live è diviso in blocchi lunghi circa 4/5 pezzi, quello in cui lo stadio si trasforma, straordinariamente, in un club anni ’70, è di certo uno dei più divertenti, ed è a questo punto del concerto che ci si rende conto che è davvero stupefacente anche la semplicità con la quale Mengoni regge il palco, regge il supporto di una band dal suono potente, regge la difficoltà dei suoi stessi brani, regge la voglia di stupire e l’emozione di un debutto che di fatto cambia lo status della sua carriera. Molto interessante anche la parte centrale dello show, quando viene fuori dalla passerella centrale un enorme cubo in videowall, una sorta di enorme scatola dove Mengoni, attraverso un accorato monologo, cestina tutte le parole da buttare, da eliminare dal nostro vocabolario, in modo tale che anche gli effetti di quelle parole possano svanire dalle nostre vite.
Alla fine del monologo dentro quella scatola ci troviamo lui, che con la sua voce su “Non passerai”, ripulisce quella cattiveria verbale, che è uno dei più pericolosi problemi che attanaglia le nostre esistenze. Particolarmente toccante il momento di “Hola”, brano estratto da “Atlantico” (2018), che strappa ai 54mila di San Siro una doverosa standing ovation; ci avviamo verso la fine, Mengoni una votla cantata l’ultima nota del brano, di fronte a quel tributo così naturale, non dettato da un cieco fanatismo, ma dall’amore con il quale la materia musica viene lavorata e servita, per quell’energia che solo l’onestà dell’arte, quando è onesta, riesce a suscitare in chi osserva, si commuove, si imbambola, toglie gli auricolari, se la gode con una faccia che dice “Guarda che ho combinato”, e poi in lacrime, per la seconda volta nella serata, mentre un sorriso gli apre la faccia, si rivolge al pubblico: “Vorrei augurare a tutti voi, qualunque sia la vostra passione, di provare le stesse cose che sto provando io stasera... Perché è bellissimo”. Si, è tutto innegabilmente bellissimo.
Non poteva esserci debutto migliore, Marco Mengoni, da bravissimo artista quale è, decide di non debuttare negli stadi vomitando in maniera scoordinata sul pubblico tutte le sue hit, puntando su diversivi extraterrestri didascalici e fini a se stessi, ma propone uno spettacolo architettato, pensato, ponderato, che racconta una storia coinvolgente.
Mengoni entra in scena dalla parte del pubblico, ma quello che fa una volta salito sul palco, è portarselo su con lui, è restare in perenne contatto, attraverso musica, sguardi, movenze e lacrime; e poi giù, alla fine, come se facesse parte della sua storia, anzi convincendo chiunque fosse presente che quando si scrive musica con tale impegno e sincera passione, quando ti brucia dentro quell’inquietante fiamma e condividerla fuori da te diventa una necessità, allora è chiaro che chiunque venga toccato diventa parte essenziale di quel racconto.
Esattamente come qualcosa che si infiamma non brucia meno della prima scintilla che causa l’incendio; ecco, in questo senso Mengoni a San Siro è stato decisamente un piromane e noi ci siamo infuocati con lui. E ce n’era di caldo a Milano ieri. Quindi bravo. Quindi grazie.