AGI - Alla follia non c’è mai fine e, a quanto pare, anche alle uscite discografiche italiane. Anche questa settimana siamo stati invasi da una marea di proposte, tra le quali spiccano gli album di Kaos, Jake La Furia, cmqmartina e Niccolò Carnesi. Più lunga la sezione singoli: bravi i Maneskin che cantano Elvis, divertente il Dargen D’Amico in versione hit estiva, eccezionali Giovanni Truppi e Anastasio; un disastro i tormentoni di Rocco Hunt, Elettra Lamborghini e Lola Indigo, così come il duettro tra Baby K e Mika. Strabocciati anche gli ex “Amici di Maria De Filippi” Albe e Deddy, bene N.A.I.P. e Alan Sorrenti. Chicca della settimana: “Buco nero” di Voodoo Kid. A voi tutte le recensioni alle più importanti uscite discografiche italiane della settimana.
Maneskin – “If I Can Dream”
I Maneskin trattano Elvis come fino a questo momento della loro breve ma fortunatissima carriera hanno trattato il rock: con devozione e rispetto, mettendoci il loro ma sapendo al millimetro fino a che punto spingersi, portando a casa il brano senza la pretesa, che sarebbe stata assurda, sia nei confronti di Elvis che di quel rock che loro non hanno mai vissuto ma solo amato da lontano, di rivoluzionare alcunché, di rivoluzionare ciò che già è stato talmente rivoluzionario da ispirare addirittura un film diretto da Baz Luhrmann, per il quale questa canzone è stata rivisitata.
Chiaro che qualsiasi critica, quando parliamo di una cover che si appoggia su base così solide è fine a sé stessa, ciò che possiamo valutare è l’atteggiamento con il quale la band romana si è approcciata al progetto e in tutta onestà lo riteniamo ancora una volta lodevole.
Rkomi – “Ossa rotte”
Il nuovo giudice di X-Factor non vuole proprio arrendersi a voler fare un passo oltre “Taxi Driver”, secondo i dati FIMI il disco più venduto in Italia nel 2021; peccato che siamo già andati oltre la metà del 2022 e magari sarebbe ora di chiuderla quella narrazione lì. E invece no, il rapper milanese prosegue in questa con questa “Ossa rotte”, che è un brano che si inserisce dignitosamente nella discografia di Rkomi, poi bisogna capire cosa ne pensiamo noi della discografia di Rkomi; da questa parte la riteniamo più o meno come un’appendice: finché non si infiamma e ti fa finire sotto i ferri per il dolore causato, va bene che stia lì dove sta, ma senza esagerare. Ecco “Ossa rotte” è un buon pezzo, un classico sfogo amoroso su questo ritmo andante ormai tipico di Rkomi, ma senza esagerare. Né bello né brutto. Legale.
Rocco Hunt feat. Elettra Lamborghini e Lola Indigo – “Caramello”
Da quando Rocco Hunt ha scoperto l’estate la nostra vita è nettamente peggiorata.
Baby K feat. Mika – “Bolero”
L’idea di una stagione musicale nella quale una serie di artisti, sempre gli stessi, si mescolano tra loro come bambini che formano le squadre di calcio nel cortile sotto casa, per ingolfare il mercato (già inutilmente affollato) di brani di tale ignominia, a noi deprime particolarmente; specie quando questi brani pretendono, al contrario, di rallegrare in qualche modo la nostra vita. E allora cosa vanno a pensare? Alla solita Baby K, sempre sullo stesso ritmo pompato, accompagnata da un Mika in versione simil Miguel Bosé…e abbiamo fatto la hit. Una gran tristezza. Oh, magari tra un po' arriverà Francesco Bianconi e trasformerà il pezzo in un capolavoro intimista, così come successo con “Playa”, canzone della quale siamo diventati quasi dipendenti; ma fino a quel momento, per quanto ci riguarda, resterà il metro di giudizio se restare in un locale questa estate o andare via, appena parte prendiamo l’uscio immediatamente, non è posto per noi.
Ariete – “Tutto (con te)”
Anche Ariete flirta con la hit estiva ma lo fa senza svilire il proprio intento musicale, quindi proponendo un testo teen dalla chiara tematica amorosa, scritto molto bene. L’amore visto non solo come riflesso del più classico dei batticuori estivi, ma come ancora di salvezza quando il mondo diventa così deprimente da toglierti la luce dagli occhi. Niente male.
Alex Britti – “Mojo”
“Mojo” anticipa il primo album strumentale della carriera di Alex Britti, attesissimo, dato che conosciamo ormai molto bene il suo spessore quando imbraccia la chitarra. Non possiamo non elogiare il coraggio di Britti, artista che abbiamo colpevolmente un po' perso di vista negli ultimi tempi, nel proporre un disco strumentale, che discograficamente equivale a un suicidio ben poco assistito; ma vi incoraggiamo a dare una possibilità a questo brano, perché si tratta di una vera narrazione in musica, come se Britti volesse raccontarci qualcosa lasciando che siano i nostri pensieri, le nostre sensazioni, a metterci le parole giuste. Manco a dirlo comunque parliamo di un brano dalle sonorità semplicemente entusiasmanti.
La Rappresentante di Lista – “Diva"
Non il miglior brano de La Rappresentante di Lista, bisogna dirlo, risulta vagamente telefonato, il tema dell’inclusività, questo spingere chiunque a vivere il mondo da diva, da protagonisti della propria storia, quindi in totale scioltezza con se stessi e la propria intima entità, è corretto, ci mancherebbe, ma anche forse un po' troppo conforme al messaggio che il duo già ha ampiamente concordato con il proprio pubblico. Forse è giunto il momento di essere un po' più spiazzanti. In ogni caso, il brano è sorretto da sonorità del tutto corrette, come al solito coinvolgenti, pregne della personalità inattaccabile di Mangiaracina e della Lucchesi, che si conferma una delle più belle voci del pop italiano contemporaneo. Detto ciò, anche basta, voltiamo pagina e proviamo ad andare un pochino oltre, se è possibile, e loro sono talmente bravi che è certamente possibile.
Jake La Furia – “Ferro del mestiere”
Atmosfere molto cupe, un disco impregnato di ricordi e personalità, Jake La Furia quando è in duetto fa da fratello maggiore, quando è da solo si accartoccia meravigliosamente nella propria nostalgia, nella propria verità. La scelta di coinvolgere, diversi producer, geniacci della regia del calibro di Big Fish, 2nd Roof, Don Joe, Drillionaire, Mace e The Night Skinny dona a tutto il progetto una dinamica che non permette di annoiarti mai. Certo, non è un disco perfetto, per dirne una: anche in questo disco ritroviamo un feat. con Ana Mena e sinceramente sfugge l’esigenza di coinvolgere una cantante spagnola dal timbro totalmente comunissimo con tutte le bravissime, molto più brave di Ana Mena, perlomeno in termini di caratteristiche e carattere, cantanti italiane (o anche straniere se senti il bisogno di quel tocco) che ci sono. Il lavoro comunque è ottimo, Jake La Furia si conferma uno dei nostri rapper più capaci, uno dei pochi della old school a trovarsi così in sintonia con un’idea di musica che tende ad escludere chiunque abbia superato una certa soglia anagrafica. Lui invece resta un king del rap game.
Dargen D’Amico – “Ubriaco di te”
Dimostrazione plastica che se uno vuole proporre al proprio pubblico un brano più allegrotto non c’è bisogno di riempire una scatola con tutti i clichè estivi, non c’è bisogno di gettarsi a piè pari in una pozzanghera di semplicità insulsa, sperando di schizzare più gente possibile. Si può anche architettare un brano del genere, danzereccio, ma mettendoci dentro carattere, un contenuto, una sorta di complicatezza (non fine a sé stessa, è ovvio), un’idea. Ecco, diamine, un’idea: “Ubriaco di te” è una buona idea che ci conferma che Dargen D’Amico è uno che fa una discografia a parte.
Baby Gang – “EP2”
Le sonorità minimal fanno si che i brani suonino come riflessioni intime, quasi sussurrate; peccato che si tratta di riflessioni sempre abbastanza noiose, riguardanti sempre gli stessi argomenti, peccato perché è evidente che questo ragazzo ha una visione musicale piuttosto nitida, ma si continua ad ingarbugliare in queste immagini trite e ritrite, senza ciccia, senza vigore. Ecco, peccato. Nient’altro.
Roy Paci – “Happy Times”
Brano intenso che allontana il trombettista e cantante siciliano dalle sue solite atmosfere, gettandolo in un universo quasi dance che all’inizio spiazza, poi ti rendi conto che il sound è pieno e vigoroso, che si tratta, ancora una volta, di un lavoro d’autore, anzi, no, un ottimo autore. A quel punto te la godi e te la balli.
Alan Sorrenti – “Oggi”
Quest’idea dell’universo indie di rispolverare Alan Sorrenti è una delle migliori mai partorite. Perché si tratta di uno scambio equo, l’indie ha bisogno di mestiere ed epica, Alan Sorrenti aveva bisogno di una spinta commerciale, di un’entità che riuscisse a “venderlo” come il grande artista che è, anche se poi, concettualmente, il risultato è che ormai ci è rimasto più da recuperare che da inventare. L’intento dell’operazione forse era divertente, quasi provocatorio, o vintage, come quando troviamo un cimelio della nostra infanzia e scopriamo che vale millemila euri; ma la realtà, stringi stringi, è che Alan Sorrenti, a 71 anni suonati, mette in riga un’intera generazione e ascoltarlo è un piacere totale.
Giovanni Truppi – “Alcune considerazioni"
La collaborazione tra Truppi e Niccolò Contessa crea una sorta di scintilla, rappresentata da un brano dalla forte cazzimma, in cui ironia e dramma si mescolano per creare un sapore agrodolce che non è solo condivisibile nella sua essenza ma anche avvolgente. Le considerazioni di Truppi sono umane e disinteressate, non puntano insomma alla commozione, alla funzione drammaturgica della narrazione o della costruzione del testo; semplicemente esistono, Truppi fa un passo indietro e racconta, senza filtri, senza mezzi termini. In questo bellissimo pezzo è la vita a metterci la poesia, Truppi si fa solo strumento di osservazione, unico, chiaro, come sempre.
Mondo Marcio feat. Arisa – “Fiori e fango”
Un ottimo brano che mette insieme una coppia inedita, Mondo Marcio e Arisa, ma perfettamente funzionante. Un brano sulla ripresa, sul rialzarsi, su quella forza che ti prende anima e corpo per conquistarti la tua rivalsa. Una rivalsa che è come se partisse dal punto di vista, dalla visuale, dall’inquadratura, quando decidi che non vuoi più guardare il mondo dal basso, ma ti alzi, ti scaldi e sei pronto a respirare un’aria nuova. Forse non farà storia, perché ormai quasi nessun brano fa più storia in questa genialata di nuova musica fluida, ma per fortuna sia Mondo Marcio che Arisa la storia l’hanno già fatta, ora, a ben ragione, se la godono.
Fred De Palma – “Extasi”
Cafonal hit dal sound talmente ignorante che se l’ascolti fino alla fine ti dimentichi la tabellina del 2.
ANNA – “Lista 47”
Dietro questa patina di barocchismi iperprodotti, dietro quel trucco esagerato, le unghie allungate all’inverosimile, questo scimmiottamento forzato e affannoso delle bad girl della scena statunitense, se si fa bene attenzione, si trova tanta sensibilità, una visione del mondo, giustamente ancora bambina; e, attenzione, è la vera forza di questo disco, che viene fuori in maniera illuminante quando si mescola a quella complicatezza ricercata nelle produzioni. Questa è la ANNA che ci piace (in realtà, più in generale, gli artisti che ci piacciono), quella che mostra sé stessa senza bisogno di maschere, che va al sodo presentando la sua musica e senza cedere accontentando il pubblico coetaneo con quella sfacciata e plastificata volgarità ammmericana, fasulla in tutto e per tutto. Si tratta di un buon disco, molto moderno, dalle sonorità sgargianti e ponderate con una straordinaria contemporaneità. Però, per piacere, non parliamo di rap femminile, perché, nel rap come nella vita, finché l’atteggiamento delle donne che vogliono spaccare è identico a quello dell’uomo, non possiamo proprio giudicarla una vittoria, anzi tutto il contrario, è la prova che l’uomo ha vinto la battaglia e se vuoi giocare il suo stesso gioco devi stare alle sue regole. Questo è semplicemente rap con una voce femminile al posto di una maschile, ma alla fine al centro dei pezzi resta quella brutalità che non ha sesso, è solo brutalità, anche piuttosto ridicola.
Grido feat. Fabri Fibra – “Sfiga”
Sonora sculacciata a tutta la scena rap da parte di due dei fratelli maggiori. Grido e Fibra, riappacificati dopo lo storico dissing del 2006, tirano fuori una mina di brano che fa capire, a chi distratto ancora non l’avesse capito, che anche il rap è una questione artigianale, le produzioni, anche quando cool, e questa lo è certamente, vanno accarezzate e lavorate con mani sapienti, sennò i brani vengono denudati della loro essenza artistica e assumono la stessa importanza dell’allarme della macchina che scatta a piacimento rompendo il silenzio di una notte altrimenti serena. Potete comprare il pane in busta o potete andare dal panettiere all’angolo…ecco, questa è la differenza. A voi la scelta. Noi non abbiamo dubbi: “Signor Grido, signor Fibra, buongiorno. Quattro rosette, come al solito, belle croccanti. Grazie mille, è sempre un piacere”.
N.A.I.P. – “Ho bisogno di”
Divertissment efficace ed intellettuale, N.A.I.P. non ricerca questa esclusività di suono (nel senso che quello che fa lo fa solo lui) per regalare attimi di pornografica goduria ai radical chic là fuori, ma si riflette nei suoi brani utilizzandoli come scusa per concedersi, perlomeno questa è l’impressione, onestissimi attimi di follia. E a noi piace l’onestà e piace anche la follia, quindi bravo.
Anastasio – “Miele di vespa”/”Rosso Malpelo”
Altri due esempi di cantautorato altissimo da parte di Anastasio, per quanto ci riguarda tra le migliori penne in circolazione in Italia, certamente ben oltre il rap, forse anche ben oltre la musica. Questo perché i brani di Anastasio vanno sempre oltre, ti portano in un universo sconosciuto, essendo il suo di intimo universo, e ti imbambolano con quella malinconia così ben calibrata, così maestosa, così intellettuale. La nostra personalissima percezione è che Anastasio, forse per la partecipazione a X-Factor, forse proprio per l’intellettualismo del quale sono intrise le sue opere, molto più probabilmente per questa nuova assurda e inconcludente e pericolosa tempistica della discografia moderna, che non permette ai progetti di respirare e al pubblico di approfondire, non sta raccogliendo quanto meriterebbe. Che dovrebbe essere tanto. Tantissimo.
Cmqmartina – “Vergogna”
cmqmartina rappresenta il confine, affascinante, ancora esotico per il nostro paese, che divide la cosiddetta nu-dance dal cantautorato vero e proprio. Il sound ti porta fuori, a ballare brilloccio, al barcollare gioioso e incosciente, i contenuti, cavolo, no, il contrario, perché sono profondi e sinceri, abissi di introspezione dai tratti fortemente realistici, tangibili. Dieci pezzi, non uno sbagliato, non uno in cui cmqmartina non si piazzi al banco degli imputati, non si metta in discussione, non ci mostri il suo lato più fragile, utilizzando queste sonorità andanti per mascherare quell’insicurezza, quella paura, quei rimpianti, che rendono tutti, non solo lei, dannatamente umani e vulnerabili, tutti immobili all’ombra di una vergogna, che è la nostra. Lavoro eccellente.
Lil Jolie – “Bambina”
Seppure i brani non siano memorabili, nel senso che purtroppo si perdono nei meandri dell’immensa discografia attuale, difficilmente si può trovare musica che in maniera così chiara, palese, quasi didascalica, ci illumini sull’idea di musica che la famigerata Generazione Z propone. Buoni testi, ottime sonorità, le dinamiche sono avvincenti, contemporanee, ci illustrano un nuovo romanticismo, meno epico del nostro, meno definitivo, ma ugualmente sentito. Quello di Lil Jolie è un ottimo esordio.
Nello Taver – “Ho ucciso l’hip hop italiano”
Nello Taver è scorretto come uno stand up comedian, ma senza quell’intellettualismo di fondo, schietto come il vinello della casa, ma non da alla testa e non ti svolta la serata. Nello Taver funziona, ok, la sua narrazione poeticamente così spicciola lo porta ad essere immediato e facilmente fruibile. Nello Taver fa, d’accordo, ma non rappresenta alcunché, il rap lo utilizza come linguaggio, il che è certamente un pregio (la parola talento, non ce ne voglia, la conserviamo per situazioni più adeguate), ma alla fine suona più come un fenomeno passeggero; come a dire “Si, ok, lo ascolto, mi ci faccio su due risate (se si gradisce questo genere di humor, è chiaro), ma poi passo ad ascoltare musica seria”. Ecco, Nello Taver non è musica seria e forse non è nemmeno il suo intento produrre musica seria, forse il suo intento è l’intrattenimento, l’esposizione, il che non è mica un reato, solo che noi qui parliamo di musica. Allora no. Ma proprio no no, certi versi rasentano davvero il peggiore Martufello.
Kaos – “Chiodi”
Un disco semplicemente disarmante, un disco che ti inchioda (appunto), che riporta il rap alla propria essenza, alla celebrazione della parola, a sonorità che ti lasciano in bocca il sapore della strada, inteso come simbolo di qualcosa e non come vuota scenografia da Blockbuster. C’è della musica che ti tira fuori qualcosa, o perlomeno quella è la pretesa, anche prepotentemente, tipo un tormentone estivo, odioso perché vuole necessariamente, con estrema presunzione, coinvolgerti in un buon umore da shottino che non ti appartiene, che rifiuti categoricamente, come uno che vuole farti ridere quando non c’è niente da ridere (e, se qualcuno avesse ancora dubbi, su, concentratevi e vi renderete conto che non c’è davvero quasi mai niente da ridere). E poi invece c’è la musica che ti tira dentro qualcosa, che ti tira dentro un mondo che ha una geografia straniera, sconosciuta, immacolata ai tuoi occhi, che si presenta così com’è, anche se grigio, anche se malinconico, imperfetto, un limbo complesso. Kaos è un paroliere d’eccezione ed è chiaro che non produca tormentoni, al massimo tormenti, nel senso che in quel suo mondo ti senti circondato dai pensieri, dalle parole, che ti cadono in testa come violenti acquazzoni; puoi evitare e skippare altrove, nessuno ti sta puntando una pistola, ma esiste una parte di noi alla quale dobbiamo ogni tanto uno sfogo, affinchè quell’intreccio di dubbi che ti si arrovellano in testa non diventino, a furia di cacciare la polvere sotto il tappeto, puro distillato di stupidità, perché quello è il destino, sappiatelo, a furia di twerkare con Elettra Lamborghini e bailare con Fred De Palma, ad invocare amore eterno con la Pausini. Ecco, quando provi a sciogliere quei nodi, quelle scintille che ne derivano suonano come un disco di Kaos. Grazie mille.
Niccolò Carnesi – “Gli eroi non escono il sabato”
Dieci anni da “Gli eroi non escono il sabato”, quello che possiamo considerare come un punto fermo della rivoluzione indie italiana, un manifesto che si esprimeva con piccoli capolavori come “Il colpo”, “Levati”, “Moleskine” e “Mi sono perso a Zanzibar”, un manifesto firmato da Niccolò Carnesi, senza alcun dubbio uno dei più preparati e illuminati cantautori di tutto il panorama italiano. Dieci anni dopo l’artista siciliano decide di riprendere in mano quei pezzi per riproporli in una nuova versione assieme a molti dei compagni di viaggio di quell’avventura, quell’indie che non voleva dire niente e ha significato tutto. Naturalmente parliamo di un disco altamente godibile, un tuffo nel passato per molti, per chi ha trovato in quel movimento controculturale che ha rimesso in riga la discografia italiana, disarcionandola dalla dittatura dei talent che hanno massacrato i primi dieci anni del nuovo millennio, una nuova ragione per riavvicinarsi alla musica italiana, che si fosse destinati a farla o semplicemente ad ascoltarla.
Albe – “Albe”
Albe è il ragazzo che ha vinto il casting per interpretare sangiovanni nell’ultima edizione di “Amici di Maria De Filippi”; ed è andato così a fondo nello studio del personaggio che ha anche pubblicato un disco di una bruttezza epocale. Complimentoni.
chiamamifaro – “Post nostalgia”
“Post nostalgia” è un disco che suona benissimo, una sorta di concept album che parte, appunto, da ciò che resta quando la nostalgia diventa un diversivo, quando mente, oscurando il cielo più di quanto non sia realmente. E restano i ricordi, restano i sapori, gli odori, i giorni felici, che vediamo così lontani eppure sono sempre dietro l’angolo, specie quando si è giovani, come chiamamifaro, e sono tantissimi i giorni che ci aspettano. È anche un disco naturalmente pieno di quell’innocenza adolescenziale, quella che ti mette innocuamente al centro del mondo e in qualche modo ti fa girare la testa.
Leo Gassmann feat. L’ennesimo – “Lunedì”
Sicuramente il miglior brano nella ancora breve (ma speriamo assai lunga) carriera di Leo Gassmann, cantautore con dei numeri ma al quale manca una cifra stilistica ben definita. “Lunedì” suona un po' come un brano on the road, ci immaginiamo ad ascoltarla facendo si con la testa mentre ci lasciamo una città indaffarata alle spalle e fuggiamo verso il mare. Che è una cosa che non succede mai, ma dovesse succedere a qualcuno là fuori, provate a mettere “Lunedì” prima di buttarvi subito su “Sweet Home Alabama”, che poi a scadere in un cliché ci vuole un attimo. Intendiamoci, “Lunedì” non è un capolavoro e probabilmente verrà dimenticata a strettissimo giro (cosa che ormai succede anche alle grandi canzoni) ma è un brano con un’anima.
Deddy – “Luci addosso”
Non è che il pezzo sia orrido, cioè, si, è orrido, una roba che ti viene voglia di farti una nuotata in una piscina stracolma di rovi, sperando che il dolore ti faccia dimenticare di aver mai cliccato play; ma non è tanto questo il punto, d’altra parte non è che da Deddy ci possiamo aspettare “Generale”. È più orrida l’idea dietro l’uscita di questo pezzo, ossia quella che bisogna necessariamente uscire, necessariamente far sentire la presenza al mercato, anche se questo significa mandare letteralmente al macello la vita di un ragazzo che evidentemente ci crede. Non è che noi ce l’abbiamo con Deddy, né con gli innumerevoli Deddy che ci sono passati sotto il naso in tv negli anni, né con quelli che verranno (e siamo sicuri che ne verranno), ma con chi tira i fili di questa discografia, sull’orlo, ve lo giuriamo, di un’implosione che potrebbe rivelarsi epocale. O magari chiuso il pezzo è scattato l’applauso perché erano sinceramente convinti di buttare dentro un capolavoro…allora cambiate proprio mestiere.
Voodoo Kid – “Buco nero”
Una perla di pezzo, un brano perfetto, non solo perché cool, perché rispecchia la migliore prospettiva possibile per ciò che riguarda il cantautorato italiano del futuro; ma perché in un’epoca di tale viscerale ottimismo di facciata, in cui tutto deve sembrare perfetto agli occhi degli altri, raccontare del proprio buco nero, quel luogo in cui cadiamo tutti più di quanto non desideriamo ammettere, quel luogo oscuro in cui orbitiamo quando le cose vanno storte e, diavolo, questo mondo è un posto in cui le cose vanno regolarmente storte, lo troviamo totalmente eroico. Voodoo Kid è un’artista vera, già ci aveva impressionato con “Amor, requiem” del 2021, un capolavoro di equilibrio etereo di inarrivabile bellezza, con questa “Buco nero” ci regala una ventata di speranza: c’è ancora chi utilizza la musica per dire qualcosa e non come cespuglio per nascondersi o come abito da indossare o come filtro per le proprie storie su Instagram. Arte, perdio! Musica che abbia la pretesa di andare oltre sé stessi, le proprie ambizioni, le proprie insicurezze, per significare qualcosa per qualcuno; questo resta nella storia, il resto se lo porta via il vento o lo sciacquone.
CeK EL BLANCO – “Rari (Whap Whap Remix)”
Fatevi un viaggetto nei bassifondi della vostra anima, se avete il coraggio. Insieme a CeK EL BLANCO, che struttura i suoi brani come nessuno in Italia: apre una parentesi, ti fa accomodare, ti scoordina, ti sbugiarda con spietata onestà, ti lascia lì in sospeso, e quando credi di esserti perduto tra le immagini reali e orripilanti che ti propone, quelle che solitamente gli altri dribblano, ti riprende dal collo come un micetto e ti riporta sulla Terra. E da lì in poi sono cavoli tuoi. I suoi brani non sono solo brani, sono un’esperienza.