AGI - Alla vigilia della seconda data del tour allo Stadio Olimpico di Torino, dopo il successo dell’esordio a Milano, Cesare Cremonini con l’AGI si sfoga sulle sensazioni derivanti da questo nuovo debutto, come lui stesso lo ha definito. La tappa di San Siro è stata particolarmente carica di emozione, il cantautore bolognese si è goduto l’imponente struttura creata ad hoc per il suo show, ma ha anche ritrovato il suo pubblico nel salotto più grande e importante della musica dal vivo italiana.
Soprattutto Cremonini ha mostrato chiaramente quanto lungo è questo passo della sua carriera, la consapevolezza di aver raggiunto uno status come artista che gli permette una libertà pressocché totale. Probabilmente il più importante valore del concerto architettato da Cremonini è proprio questo doppio obiettivo, chirurgicamente centrato: da un lato il grande show, la certificazione, anche visiva, spettacolare, di un livello raggiunto e decisamente meritato, dall’altro l’intimità, la possibilità, nonostante si tratti di live che fisiologicamente mettono distanza con il pubblico, perlomeno solitamente, di interagire, di farlo accomodare fluidamente nel proprio mondo, anche grazie, è chiaro, ad un universo di brani che ormai fanno parte in maniera stabile ed intoccabile della nostra memoria emozionale collettiva.
Alla data di esordio a San Siro hai un po' preso le misure, ti è servito anche per saggiare la reazione del pubblico, no?
"Era molto importante averla, non ero impaurito ma dovevo misurarmi con questa cosa, perché lo spettacolo porta un nuovo linguaggio nella mia carriera, nel mio modo di performare….ho cercato di spiegarlo ma non è facile spiegarlo questo spettacolo, perché è uno spettacolo talmente a 360 gradi, con quello che mi piace o mi stimola o vorrei fare, che devi solo vederlo. E lì poi il giudizio è spietato: è un si o un no, ed è stato una bomba atomica. È stato molto bello".
Tu hai carisma e repertorio per riempire uno spazio così grande, su questo non c’è dubbio…
"Secondo me è una questione di modalità espressiva, cioè piano piano il mio progetto musicale si è trasformato semplicemente in un percorso artistico; io non so esattamente quando faccio qualcosa che target devo colpire o che tipo di fruibilità devo cercare in quello che faccio o dove andranno le mie cose, perché non ci penso più ormai, io penso soltanto e unicamente al fatto che quello che sento deve essere uno stimolo enorme per darmi quell’energia, quella vitalità e quella creatività che so che può fare la differenza nel mio percorso. Al resto, sinceramente, non ci penso quasi più, devo dirti la verità, in questo senso la discografia e il mondo del live mi danno una mano in realtà, perché non avendo più responsabilità (visto che i numeri della discografia di oggi sono così inconsistenti) di fronte ad una cosa che non ha più valore sei più libero, anche di dire “Ok, perfetto, le regole non ci sono più? Bene, allora pensiamo semplicemente a fare l’arte migliore di cui siamo capaci, il più sinceramente possibile”.
Hai parlato di percorso, questo è uno spettacolo in cui ci tieni a raccontarlo, compreso il duetto con Dalla…
"Assolutamente si. Secondo me questo è uno spettacolo che è stato creato da me in un momento in cui non ho più niente davanti che mi pone dei dubbi di contrasto. Cioè, le riflessioni sul se faccio bene o no sono continue, i momenti di sconforto anche, i dubbi sono miliardi, però sono libero, sono libero in maniera totale e questo fa si che arrivi me in maniera completa. Tant’è vero che durante il concerto non racconto tanto la mia vita, ma proprio la profondità e l’altezza di cui sono capace, il peggio e il meglio, il largo e lo stretto, è come se riuscissi ad abbracciare quello che sono totalmente e buttarlo al pubblico in un percorso narrativo che è quello di uno spettacolo. È un grande risultato personale per me, oltreché professionale, mi sento soddisfatto per questo motivo in modo particolare, perché non è facile riuscire a contenere dentro di sé uno spettacolo come questo, però evidentemente quello che ho dentro era così, era molto vasto, molto contrastato, molto addolorato eppure anche molto pieno di gioia. Sicuramente la parola giusta è energia, l’energia che ho meraviglia anche me, non so dove metterla ed evidentemente il palco è un buon modo per sfogarla".
Presentando il tour hai detto che per te ogni passo è sempre una prima volta, un nuovo esordio…
"Sì, per me è sempre stata così, una rottura di scatole che non ti dico (e ride); è pesante proprio. Però purtroppo (cioè, non dovrei dire purtroppo, perché sono qui e dovrei solo festeggiare) non mi è stato regalato neanche un briciolo e questa cosa qua è il destino di quelli che iniziano molto molto presto e soprattutto è il destino di quelli che iniziano molto molto presto con un grandissimo successo, è un destino segnato per tutti gli artisti che hanno avuto questa esperienza. Ti mette alla prova questo lavoro, in maniera molto particolare se tu vivi questa esperienza di vendere un milione e seicentomila copie a 18 anni. Io ero già un cantautore con “50 Special” in fin dei conti, perché raccontavo sinceramente la realtà che vivevo; poi era sporcata dalle influenze musicali del periodo, perché a 18 anni emuli, se non emuli a 18 anni sei Dio, mentre io ero un ragazzo molto normale che costruiva una carriera da cantautore senza sapere bene se lo ero o no. Oggi posso dire che era l’inizio di un cantautore che scriveva le sue canzoni, quando inizi così è veramente, veramente, un percorso che ti mette alla prova di più, però fai vedere anche quanto fegato hai, è un’occasione per dimostrare quello che vali fino in fondo, ti fai i muscoli".
“50 Special” è una canzone veramente assurda, perfetta, uscisse oggi sarebbe una hit esattamente come lo è stata 23 anni fa. Che rapporto hai con questo pezzo?
“50 Special” è ancora oggi uno degli apripista più importanti dei locali giovanili, è stato una specie di miracolo pop scritto da un ragazzo che non sapeva che “50 Special” sarebbe diventata una canzone per il pubblico. Io credo che il suo segreto, così come il segreto di quasi tutte le canzoni di successo che ho scritto, sia una profondissima sincerità".
Cosa hai pensato quando sei uscito dal Gate, il portale al centro del palco che avete chiamato così? Perché parliamo di un momento che arriva dopo una lunga lavorazione…e ad un certo punto diventa presente e lo stai vivendo davvero.
"È stato liberatorio, perché ho lavorato quattro mesi su questo spettacolo coinvolgendo delle persone che non erano sicuramente pronte a lavorare quattro mesi, non se lo aspettavano, io li ho portati a dare il 100% in più rispetto al loro 100%, che è un po' anche il mio ruolo quando faccio le cose. È stato liberatorio perché sapevo che era uno spettacolo che doveva incontrare San Siro per esprimersi, io l’ho costruito sapendo che sarebbe andato in posti con una grande ampiezza di pubblico. Io dentro lo sento come grande, ma qualcuno da fuori l’ha definito colossale, però in realtà è nato da una cosa piccola, ho scoperto questo spettacolo mentre lo stavo facendo, mi ha cambiato mentre lo stavo facendo, mi ha portato in un territorio nuovo dal quale non tornerò mai più indietro, come quando fai i dischi…"
Ti è capitato anche con “La ragazza del futuro”?
"Sì, “La ragazza del futuro” non è un disco premeditato, mi ci sono trovato dentro e poi sono cresciuto insieme alla sua lavorazione; quando finisci una lavorazione così in simbiosi con te, che è anche una simbiosi in maniera totale essendo un’opera che stai creando, la cosa ti può anche distruggere, perché ci stai dentro fino al collo. Quando riesci a portarlo a termine lui ti ha cambiato, ti ha portato in un altro posto e quello sei il tu di adesso. Quindi la sensazione che ho provato quando sono entrato a San Siro è stata: “Sto entrando nel nuovo Cremonini”, e questa cosa qua è stata bella, sana, per me".
Anche perché quella che proponi al pubblico è una sfida, è un concerto semplice da seguire perché in scaletta ci sono canzoni già molto amate dal pubblico, ma concettualmente, e mi riferisco anche alla messa in scena dei pezzi, proponi un percorso tortuoso…
"Sì, io ho sfidato il pubblico, come faccio ormai la maggior parte delle volte essendo un percorso artistico; in qualche modo sfido il pubblico a seguirmi, e lì c’è anche l’eccitazione dell’errore, potrei sbagliarmi e fallire, anche l’adrenalina di vivere questa esperienza dubbiosa. E invece mi hanno seguito, e adesso non si torna più indietro (e ride). Forse la domanda giusta infatti sarebbe stata: “cosa hai ottenuto?”, secondo me ci sono dei momenti cruciali della carriera che determinano un posizionamento e una crescita, e dopo tu diventi quello per il pubblico. Credo che posso dire che se dal 2018 ad oggi gli stadi erano una scommessa, ora diventano veramente una partita da giocare".
Cosa viene dopo?
"Io credo che per i prossimi dieci anni, finché il corpo mi permetterà di offrire al pubblico degli spettacoli in cui anche fisicamente io possa essere molto prestante, molto fisico, la mia ambizione è riuscire a determinarmi come performer. Perché la completezza che il mio percorso, anche articolato e difficile, mi ha dato secondo me oggi diventa un grande valore da offrire al pubblico, una grande unicità. Passare da Lucio Dalla a “Lost In The Weekend” a “50 Special” e “Al telefono” e “Poetica” e poi “Nessuno vuole essere Robin”, sono sei registri completamente diversi l’uno dall’altro, la mia è quasi una capacità attoriale, perché vivo talmente in simbiosi con le canzoni che faccio che in qualche modo mi riportano dentro ai loro universi e questa capacità di riuscire ad attraversare registri diversi secondo me va portata al pubblico, fatta conoscere, con il solo scopo di volerli fare stare bene. Il mio successo deriva da quanto riesco, attraverso quello che so fare, a far stare bene la gente in fin dei conti, il mio obiettivo rimane quello di riuscire a donarmi".
Qual è l’effetto che ti piacerebbe che provasse il pubblico uscito da questo concerto?
"Credo che il potere grosso oggi non siano i soldi, forse nemmeno il potere politico, ma credo che sia la capacità di far ritrovare le persone, farle sentire se stesse, riuscire con la propria emozione musicale e artistica a far sentire le persone come sono realmente, questo è un potere molto grande, che se tu hai il talento rappresenti una grande occasione per gli altri. Una canzone oggi è una delle pochissime cose (veramente pochissime) che improvvisamente ti fa capire meglio chi sei, ti aiuta a ritrovarti nella tua sensibilità, ti toglie quella cattiveria in più che hai accumulato, quella frustrazione, ti ritrovi e ti riconduce al fatto che in fin dei conti sei buono, magari puoi volere bene, cosa che magari ti sei dimenticato, e secondo me è questo il potere grosso del mio lavoro".
E funziona anche per te?
"Sono pubblico quanto tutti gli altri. Sono un consumatore pubblico e forse è anche questa la mia fortuna, nel senso che io misuro me stesso in quello che faccio legandolo totalmente alla mia sensibilità. Sono convinto di avere una sensibilità molto comune, il che vuol dire anche universale, quindi nella sua semplicità è anche un’arma a mio vantaggio".
Il settore della musica negli ultimi due anni è stato certamente messo a dura prova, probabilmente è stato il settore più colpito dalle restrizioni dovute alla pandemia, ma ha anche permesso ai lavoratori dello spettacolo di capire qual è il rapporto che li lega alle istituzioni, tu in questo senso c’hai pensato?
"Non ho mai avuto una percezione migliore di quella avuta durante questi due anni, nemmeno prima della pandemia, nonostante questo io credo che riempire di contenuto anche un universo così effimero come il mainstream italiano, come il pop italiano, in fin dei conti credo sia doveroso e una necessità imprescindibile oggi. Non c’è dubbio che ci sia una cultura sul mondo della musica in Italia (non sulla musica, sul mondo della musica e dell’industria musicale) decisamente scollegata dalla realtà, nel senso che le persone sanno molto poco, il pubblico sa molto poco, la politica sa molto poco di come funzione il nostro sistema, che è un bellissimo sistema in realtà. Io credo fortemente che l’impegno di chi fa musica è quello di non scomparire e per non scomparire oggi, in un momento in cui tutto scompare, in cui perfino il dolore per le cose scompare, questo mondo ti da la sensazione che non ci sia nulla che possa realmente durare, l’unica strada è inserire un contenuto onesto, pulito, vero, a quello che fai, anche se si chiama canzonetta. Paolo Villaggio, che secondo me è uno dei geni dell’ultimo secolo e avrà vita eterna, quanto Lucio Dalla, non ha mai nascosto l’idea di fare qualcosa di leggero ma con un contenuto di una tale onestà e una tale visceralità e un tale collegamento con le profondità della vita o le quotidianità della vita, da risultarci oggi un’enciclopedia artistica. Quindi io credo nel fatto che non ci sia necessità di considerazione da parte di qualcuno, né di coscienza, quello che credo è che ci sia necessità di contenuto in quello che facciamo ".