AGI - Il concerto di Cesare Cremonini è cominciato ben prima dell’ingresso in scena da quella che il cantautore bolognese ha chiamato “The Gate”, questa porta luminosa al centro del palco, perfetta come metafora per anticipare ciò che stiamo per vedere, ossia lo spettacolo di un artista senza tempo, che a soli 42 anni ha già collezionato tutta una serie di carriere, contenute in lui come se fosse una matrioska artistica: il Cremonini dello stadio contiene quello dei palazzetti, che contiene quello nei teatri, che contiene quello che provava ad affermarsi come solista dopo il fragoroso boom con i Lunapop e, naturalmente, anche quello dei Lunapop, quell’adolescente capace di scrivere e sfornare “...Squérez?” uno dei più felici dischi d’esordio della storia del pop italiano.
Quello di Cremonini è un concerto che parte da lontano, esattamente come un calcio di rigore parte dalla rincorsa, ce ne accorgiamo chiaramente durante la conferenza stampa del mattino, lui è incontenibile, ci tiene a spiegare, raccontare, specificare, entrare nella storia, nei dettagli, tra le piaghe di quello che descrive come un punto di arrivo dopo, appunto, una rincorsa faticosa, forse a tratti perfino dolorosa, il che, di controbalzo, rende l’atmosfera particolarmente elettrica.
Questa matrioska artistica, ma anche esistenziale, naturalmente appesantisce la percezione che Cremonini ha di se stesso, l’impressione è che gli risulti particolarmente gravoso il fatto che ognuno voglia, forse anche pretenda, il proprio Cremonini, così il rischio, è evidente, è che nessuno venga accontentato, uno fra tutti Cremonini stesso, che vorrebbe, a ben ragione, come tutti gli artisti, essere riconosciuto per l’artista che è oggi dato che, fisiologicamente, con quel simpatico e talentuoso adolescente che cantava nei Lunapop oltre vent’anni fa, non c’entra e non potrebbe mai entrarci più nulla (sarebbe un grosso problema il contrario).
L’ingresso in scena è su “La ragazza del futuro”, title track dell’ultimo album del cantautore bolognese, lui veste una giacca dorata, sbrilluccicante, un braccio meccanico lo fa fluttuare sopra le teste del pubblico, numeroso, anche se lontano dal sold out; ma il discorso non è così semplice, non si tratta (per questo come per qualsiasi altro live in Italia) di vendita o meno di biglietti, di vittoria o sconfitta, ma di un’analisi su questa ripresa dei concerti particolarmente affannosa dopo due anni di triste pausa che prima o poi andrà fatta, ma è inutile al momento entrare nello specifico.
“Sono nato per gli stadi”, ha detto Cremonini in mattinata in sala stampa, ha ragione, effettivamente ha carisma e repertorio per stare su un grande palco davanti ad un grande pubblico, questo è innegabile. Su “Padre madre” si carica, cerca l’affetto del pubblico per innescarsi, un’energia che naturalmente i suoi fans non gli negano. Ne “Il comico” tira fuori le doti interpretative, chissà in realtà quanto funzionali alla realizzazione di un pezzo di una bellezza sconvolgente, complesso ed emozionante già di suo.
Ecco, appunto, l’interpretazione, Cremonini calca palchi di ogni genere ormai da anni, l’impressione è quella di un leone particolarmente affamato che all’improvviso viene sguinzagliato in un recinto pieno di carne fresca, Cremonini sbava di gioia, ci mette tutto se stesso, qualche volta anche esagerando e forzando intenzioni alle volte superflue dato che i brani già suonano come una forza della natura.
Ah sì, il suono, noi capiamo che Milano è la capitale della musica, cioè, più che altro è il posto dove la musica ha deciso di andare a vivere (ma, giusto un consiglio gratuito, ci sono città con affitti meno cari), e che San Siro è il salotto buono, quello più grande, ma l’acustica di quel luogo è semplicemente imbarazzante e faremmo un torto a chi ci legge, e forse anche a Cremonini stesso (vittima e non artefice di questa sciagura), se non sottolineassimo che chiedere un biglietto per assistere ad uno spettacolo in cui il suono arriva così impasticciato e confuso è davvero immorale, non permette una valutazione e fruizione serena dello show.
Show che prosegue con “La stella di Brodway”, che è un brano che sembra tirato giù da un sogno, un brano che accende già le prime luci dei telefoni di un pubblico che canta forte, si scatena immergendosi nel mondo di Cremonini, che poi è proprio la forza di Cremonini, il portare oltre 55mila persone dalla sua parte e non farsi ingoiare dall’affetto, non crogiolarsi nella propria popolarità. Arriva poi il turno di “Chimica” e “Colibrì”, altri brani del nuovo album, e abbiamo l’impressione che la traduzione scenica che Cremonini e il suo team decidono di dedicare a questi nuovi brani, per esigenze artistiche e non altro, è un po' più attenta e particolare.
“Sono immagini e momenti che non dimenticherò mai, soprattutto per quello che sta accadendo in questo momento – dice - E dopo tutto quello che è accaduto penso che l’unica cosa possibile è costruire nuovi bei ricordi”, a questo punto le immagini della prima parte del concerto si riavvolgono sul ledwall, le luci si spengono e quando si riaccendono Cremonini imbraccia una chitarra per una versione acustica di “Qualcosa di grande”, inutile dire uno dei momenti più attesi, nonostante, ricordiamo, sia il terzo singolo estratto da “...Squérez?” ed era il 3 aprile del 2000, tanto, ma tanto, tempo fa.
“Moonwalk” è forse il momento più commovente dell’intero show, la canzone è dedicata al padre, purtroppo sparito da poco, lui è seduto al pianoforte e riesce nella straordinaria impresa di trasformare San Siro in un piccolo club, creando un’atmosfera intima, spedendo le parole del testo in ogni angolo dell’ampia struttura, parole forti, capaci di crepare il cemento dello stadio e i cuori di chi ascolta.
Prosegue al piano con “Vieni a vedere perché”, è il momento migliore di tutto il concerto, siamo tutti nel salotto di casa Cremonini, abbiamo cenato, siamo un po' ubriachi, Cesare si siede a strimpellare e ci fa ascoltare una delle sue canzoni più efficaci. “Le sei e ventisei” non era stato inserito nella scaletta che avevamo in mano, è forse il brano meglio arrangiato per la performance in stadio, l’orchestrazione imponente si stiracchia, arriva e arriva forte.
Da rivedere forse l’interazione con Jovanotti in “Mondo”, il “ragazzo fortunato” appare in un video mal girato e piuttosto fuori sincro, non puoi guardarlo senza immaginare Jovanotti a casa sua che fa finta di cantare da solo e più che altro ti viene un po' da ridere. Una delle migliori interpretazioni della serata Cremonini la fornisce sicuramente per “Greygoose”; gioca, ammicca, con la piena consapevolezza di essere un sex symbol oltreché il poeta pop, tra i più influenti degli ultimi 30/40 anni in Italia.
Il duetto con Lucio Dalla in “Stella di mare” (duetto, non omaggio, Cremonini ci tiene) è naturalmente un momento particolarmente intenso dello show, il cantautore ha scelto evidentemente di infilare dentro questa enorme scatola un po' tutto di sé, tutta la sua storia, tutta la sua scalata, e in questo percorso non si può escludere Bologna e non esiste un modo migliore di parlare di Bologna se non con le note di un pezzo di Lucio Dalla.
Cremonini, ha ragione, non omaggia Dalla, ma accompagna parole e musica di quel capolavoro assoluto di “Stella di mare” facendo un passo di lato, concedendo al brano la possibilità di esplodere in uno stadio e, di fatto, facendoci un gran bel regalo. Da qui in poi parte un po' la parte finale dello show, colpo a effetto su “Ciao”, un pianoforte infuocato emerge dallo stomaco del palco. Strabiliante il momento “50 Special”, 55mila persone, l’80% delle quali, a occhio e croce, 23 anni fa, quando “50 Special” spaccava in due il pop italiano, nemmeno erano nate, si scatenano.
E “50 Special” 23 anni dopo rimane lì, perfetta, intoccabile, suona 23 anni dopo esattamente come la hit di 23 anni fa, come “Questo piccolo grande amore”, “Vita spericolata”, “Almeno tu nell’universo”, “Ladri di biciclette”, e potremmo sciorinare almeno un’altra trentina di titoli, insomma tutti quei brani che sono entrati nel nostro immaginario in maniera definitiva; ma pochi di questi sono stati scritti da un liceale, a riprova del fatto che siamo dinanzi ad un predestinato, un uomo che si fa strumento della musica, filtro della musica, attraverso il quale la musica passa e ci arriva, tradotta in suoni e parole che ogni volta, ogni santissima volta, occupano un posto particolare nella nostra memoria collettiva.
Così come “Marmellata #25” (sfidiamo qualsiasi persona nata intorno alla metà degli ‘80 a non declinare con “Aaah da quando Baggio non gioca più” la nostalgia per i tempi andati), o “Poetica”, forse una delle più belle canzoni italiane di sempre. Per il finale Cremonini sceglie “Un giorno migliore”, che è il secondo singolo estratto da “...Squérez?”, a riprova che Cremonini forse sbaglia a chiamarlo viaggio, in realtà lui crea una sua personalissima geografia, un’impresa che può riuscire solo ai giganti, e che dentro questo mondo siamo liberi di girare senza paura, dato che ovunque volgi il tuo sguardo qualcosa di grande (ops) accade e in qualcosa di grande (riops) ti puoi specchiare.
Il concerto di San Siro, presentato a ben ragione come l’evento assoluto del tour, potrebbe anche non essere il migliore di questi show (a naso noi punteremmo sul raduno di Imola, l’ultimo appuntamento della stagione estiva cremoniniana), è chiaro che Cremonini ha preso le misure, cosa che si è notata anche nella scarsa interazione con la band, in certi punti infatti ci è sembrato quasi un one man show e non è un caso che la parte migliore dello spettacolo è stata certamente quella in cui si è ritrovato da solo al pianoforte; ha poi dovuto gestire la pressione e l’emozione e, perlomeno nella percezione del pubblico, non è stato sicuramente aiutato dall’acustica dello stadio milanese.
Ma, al netto di questi dettagli, parliamo comunque di uno show grandioso, uno di quegli spettacoli che non possono non rimanere nel cuore di uno spettatore, non possono non mandarlo a casa contento, soddisfatto ed emozionato per l’esperienza condivisa di una passeggiata in questo mondo creato da Cesare Cremonini in questi oltre vent’anni di attività, un mondo che, volente o nolente, ci riguarda e tocca da vicino, un mondo che lui ha creato, ma che appartiene a noi tutti. Così questo possiamo chiamarlo concerto o potremmo chiamarla anche festa.