AGI - Settimana particolarmente ricca di nuove uscite, forse anzi sono troppe, forse servirebbe che la discografia non si lasciasse scappare la mano con questa nuova idea di mercato fluido e si desse una regolata prima di implodere in maniera disastrosa. Detto ciò, Salmo propone la splendida colonna sonora della sua serie “Blocco 181”, gli Zen Circus fanno festa con un magnifico disco di featuring; ottimo i dischi di MACE e del collettivo Seven 7oo; i Legno si confermano una delle realtà più interessanti del panorama indie e, a sorpresa, niente male anche l’ultimo lavoro di MYSS KETA.
Più articolata la sezione singoli: sempre bravissimi i Pinguini Tattici Nucleari, buoni gli ammiccamenti all’estate di Michele Bravi e, soprattutto, Margherita Vicario; ennesimo tonfo di Tommaso Paradiso, mentre Ultimo devia disastrosamente il suo percorso cantautorale con un singolo non all’altezza. Assistiamo felicemente ai ritorni dei Marlene Kuntz e Biagio Antonacci; Mobrici e Vasco Brondi escono con due bellissimi singoli. Chicca della settimana: il magnifico album di Cassandra Raffaele. A voi tutte le nostre recensioni alle nuove uscite
Salmo – “Blocco 181 – Original Soundtrack”
Colonna sonora di “Blocco 181”, la serie della quale Salmo è produttore creativo, supervisore e produttore musicale, oltre ad interpretare un ruolo. Visto che ci occupiamo di musica eviteremo di soffermarci sul fatto che “Blocco 181”, perlomeno le prime due puntate, è una serie scritta male ed interpretata peggio (ops!), e parliamo invece della colonna sonora, che è molto ben fatta e pensata, a dimostrazione del fatto che, ehi, a ognuno il suo. Salmo non è solo un ottimo rapper, certamente tra i migliori attualmente in attività, ma è anche un musicista con un orecchio che non ne manca una; infatti studia per la sua serie una musica fortemente street, fortemente cupa, che oltre a fare il suo sporco mestiere, ovvero fungere da didascalia, accarezzando le immagini sullo schermo, funziona da sola, come le grandi colonne sonore.
Ultimo – “Vieni nel mio cuore”
Finalmente Ultimo devia un attimino dal suo solito stile intimista, lanciandosi in un brano scritto appositamente per essere suonato in un grande spazio…infatti è terribile. Quel senso di struttura e stabilità, che è poi il segreto dietro ai brani di Ultimo, si sfascia su un testo che, nonostante esista, nel senso che il cantautore romano canta delle parole, riesce a non dire davvero alcunché.
Pinguini Tattici Nucleari – “Giovani Wannabe”
È sempre straordinaria la capacità dei Pinguini Tattici Nucleari di produrre brani decisamente generazionali, che raccontano con metafore semplici e dirette un disagio reale, grave, pesante, con un’attitudine dannatamente funzionante, dannatamente radiofonica. Il tutto senza snaturarsi mai, tant’è che questa “Giovani Wannabe” ha un suono pieno, energico, fresco e ficcante; stile Pinguini insomma. E la possibilità di parlare di uno “stile Pinguini” è la vera vittoria della band bergamasca.
Biagio Antonacci – “Seria”
Biagio Antonacci da una bella rinfrescata al suono dei suoi pezzi, che non significa andar dietro ai trapper, il suo status lo colloca in una posizione che sta ben oltre le regole del mercato, ma vuol dire la capacità, assai rara, dobbiamo dirlo, di stiracchiare i propri limiti e, soprattutto, avere la voglia di farlo, senza accomodarsi sul pop che gli è più congeniale, su un monotono usato sicuro. “Seria” non è il suo brano migliore, questo è certo, sembra anzi quasi un segnale acustico per avvisarci che, nonostante il silenzio degli ultimi anni, Antonacci c’è e lotta insieme a noi; ma è un ottimo biglietto da visita in vista del nuovo album che, a questo punto, siamo proprio curiosi di ascoltare.
Tommaso Paradiso – “Piove in discoteca”
Un amore estivo raccontato per immagini. Male. Un brano che dunque si piazza sulla scia di tutte le ultime produzioni dell’ex Thegiornalisti, ovvero pop insipido, composto senza l’evidente volontà di andare oltre il minimo indispensabile; anche quando ciò che produci non rasenta neanche per sbaglio l’accettabile, ma sei così evidentemente innamorato di te stesso che, esattamente come fanno gli innamorati, nemmeno te ne accorgi.
“Piove in discoteca” è il brano con cui Paradiso si presenta all’estate, proprio come succede quando noi ci presentiamo a cena a casa di amici portando quella bottiglia di vino di scarsissima qualità rimasta in fondo alla dispensa per mesi e che ci salva dalla brutta figura di presentarci a mani vuote. “Piove in discoteca” infatti è musica da supermercato che nemmeno il povero Dardust con la sua produzione riesce a far suonare bene. Un disastro che ci conferma come il Tommaso Paradiso post “Fuoricampo” (anno domini 2014) è un bluff, un artista decisamente sopravvalutato che vive più nell’immaginario social del pubblico che dentro la propria arte. Che dunque arte, forse, nemmeno è.
Michele Bravi – “Zodiaco”
Brano frizzante, ammiccante, particolarmente estivo, senza mai diventare fastidioso.
The Zen Circus – “Cari fottutissimi amici”
Disco nel quale traspare l’artigianalità e la limpidità dell’intento creativo, musicale, artistico, degli Zen Circus. Un album interamente composto di featuring e cui brani sono fuochi alimentati dalla scintilla che questi incontri artistici hanno provocato. Una bella festa, insomma. Tutte canzoni valide, pistola alla testa ci sbilanciamo sui pezzi composti insieme a Brunori SaS e Motta, davvero splendidi, ma la verità è che gli Zen, con mestiere, si avventurano anche in zone lontane da loro, come nei duetti con Speranza e Ditonellapiaga, portando a casa brani che non fanno altro che allargare i confini del progetto, dimostrare, qualora fosse necessario, che gli Zen tutto possono.
Torna fortemente la tematica legata al tempo che passa, un problema che i componenti di una band dall’attitudine così fortemente rock non possono permettere di lasciar andare via come se niente fosse, come se il tempo che sta passando non stia davvero passando. Ma gli Zen affrontano tutto con grazia e poesia.
Marlene Kuntz – “La fuga”
Un rifiuto poetico della realtà, il desiderio di andare oltre le umane cose, le umane storie, le umane piccolezze; un po' irritati, un po' annoiati, un po' delusi da meccanismi che non ci appartengono ma che non abbiamo più la voglia di combattere. “La fuga” è un brano meravigliosamente cupo, lascia imperdibili strascichi di malinconia, con la potenza di un suono che appare definitivo.
Mobrici – “Giovani mai”
Mobrici si prende in giro in una canzone dal ritmo allegrotto sul non essere mai stato davvero giovane. Un argomento che naturalmente apre a discussioni profonde e articolate, lui riesce a declinarlo, con la maestria con la quale maneggia l’apparato musicale, in una canzone che colpisce, sbilancia, accarezza, come un sorriso.
Cerrone feat. Colapesce e Dimartino – “Non chiamarmi mai”
L’incontro tra il producer francese, uno dei padri della disco anni ’70, e Colapesce e Dimartino, avviene l’anno scorso in occasione del remix della loro “Musica leggerissima”. I tre si ritrovano in studio per registrare una versione in italiano della chicca del 1979 “Call Me Tonight”; una sfida importante per il duo di cantautori siciliani, perché incastrare la loro poetica isolana sulle note così metropolitane architettate da Cerrone, non dev’essere stata una passeggiata. Se non fosse che loro sono proprio bravi e stanno vivendo un periodo di illuminazione che non gliene fa sbagliare una.
Margherita Vicario – “Onde”
Non è la prima volta che la bravissima Margherita Vicario ammicca alla hit estiva, ci provò due anni fa insieme a Izi, il brano si chiamava “Pina Colada” ed era davvero divertente, a riprova del fatto che un brano leggero, ballabile, che accompagni una bevutina estiva, non deve necessariamente essere un disastro. In “Onde” stavolta è da sola ma il brano è ugualmente ben fatto, ugualmente danzereccio, questo perché quando hai dentro un’idea di musica ben precisa e un producer, Dade, che ha trovato la quadratura del cerchio rispetto al tuo timbro, alle sonorità che vuoi proporre, alle tue straordinarie doti interpretative, allora la differenza si sente, eccome. L’augurio è che “Onde” sfasci questa estate a suon di stream.
Vasco Brondi – “Va dove ti esplode il cuore”
Un augurio bellissimo, nostalgico, preciso, quello di Vasco Brondi. La vita vissuta utilizzando solo il cuore come bussola per muoversi in questo insensato e casuale labirinto che chiamiamo esistenza. Per lui è una provincia remota nella quale le distorsioni di una chitarra elettrica smuovevano l’aria e suonavano come echi di qualcosa di esotico e irraggiungibile. Ognuno è libero di scegliersi la propria personalissima fuga, di ascoltare il brano e farsi trasportare sotto la propria porzione di cielo stellato, a quelle rovesciate sulla spiaggia dove ricordi, con precisione, quanto sei stato felice. Vasco Brondi scrive un brano meraviglioso che barcolla spietato tra l’augurio di non abbandonare mai quei posti che, appunto, ti fanno esplodere il cuore e la cattiveria di questa vita che da quei posti, in un modo o nell’altro, prima o poi, ti strappa via.
MYSS KETA – “Club Topperia”
Nessuno ci sta minacciando con un coltello dietro la schiena per scrivere quanto segue: con enorme sorpresa il disco di Myss Keta non è affatto male. Si, lo sappiamo, la cosa stupisce anche noi, sopra le nostre teste paradigmi che si annullano, visioni ancestrali, un grosso punto di domanda che da questo momento in poi, quello in cui abbiamo concluso l’ascolto del disco col più irritante titolo di sempre, firmato da quella che consideriamo una non artista, tormenterà la nostra esistenza.
Ma cosa possiamo dire? L’album si fa ascoltare, un pezzo tira via l’altro, incuriosisce in che modo la rappresentante della peggiore milanesità immaginabile accosta il proprio modus operandi, che sia testuale o musicale, ai vari artisti con i quali ha scelto di collaborare. Si tratta di un disco iperprodotto e divertente, tutti i brani, eccetto proprio il singolo “Finimondo”, che ne ha anticipato l’uscita (scelta davvero bizzarra), richiamano ad un determinato immaginario che, attenzione, di culturale non ha una virgola, anzi possiamo ormai certificare quanto il progetto artistico legato al girl power, alla rivalsa del popolo del clubbing, la fluidità sessuale che l’ha resa una delle nuove icone gay, fosse soltanto fuffa, che altro non abbiamo fatto in questi anni che assistere alla nascita e crescita di un personaggio piuttosto fine a se stesso, una versione 2.0 di una speaker di discoteca di provincia; ma sono allo stesso tempo tutti brani che dal punto di vista sonoro prendono, funzionano, che avresti voglia di ballare, alcuni di questi anche particolarmente complessi. Pazzesko. Cavolo, no.
Rhove – “Laprovince #2”
Lo stupefacente successo di Rhove ha una spiegazione ben precisa: in una scena, quella italiana, cui componenti impiegano la metà del tempo a scopiazzarsi tra di loro e l’altra metà a scimmiottare i cugini ammmericani, il giovanissimo Samuel Roveda, così all’anagrafe, riesce a proporre qualcosa di nuovo, i suoi versi sono elastici, gioca con la metrica, si allontana da quei noiosissimi cliché machisti senza perdere il gusto della narrazione street. Bravo.
Seven 7oo – “Seven 7oo Mixtape”
Immergetevi anche voi nel magico mondo della drill all’italiana, perché è una cosa che ci riesce proprio bene. Specialmente a questi ragazzotti milanesi, zona San Siro, Rondodasosa, Vale Pain, Sacky, Keta, Neima Ezza, Kilimoney, con nko al banco regia per le produzioni. Questo mixtape suona come un album internazionale di livello, le sonorità sono azzardi, acrobazie in aria senza rete di protezione, nei testi c’è la strada, c’è la periferia, c’è quella particolare visione del mondo, ma senza alcun bullismo, tutto duro, mai niente violento. Disco che si beve serenamente, che coinvolge come un gioco, anche se serioso, anche se artisticamente complesso. Sarà con queste sonorità che sfonderemo i confini nazionali, sarà questa la prossima eccellenza italiana all’estero e, considerato che fuori dall’Italia, ancora oggi nel 2022, ci riconoscono solo ed esclusivamente per “Volare”, Laura Pausini, Pavarotti, pizza e mandolino, tutto sommato la cosa potrebbe perfino inorgoglirci.
Lele Blade – “Ambizione”
Il rapper napoletano incalza il suo “Ambizione” con altri quattro brani inediti nei quali torna, ancora forte, forse sempre più forte, l’impetuosità della lingua napoletana su certe sonorità. Lele Blade riesce però non solo a far funzionare il gioco ma a renderlo estremamente cool, adatto ad un pubblico più vasto di quello napoletano e di quello rap, a rendere una chicca puro materiale da mainstream. In questo caso quattro chicche, portate a casa con il supporto di Lazza (splendida “Jump”), Poison Beatz, Yung Snapp, Vale Lambo e perfino l’ex “Amici di Maria De Filippi” Aka 7even, che artisticamente sta ancora diversi gradini sotto ma che si porta a casa un bel pezzo. “Ambizione” rappresenta la certificazione definitiva della dignità e dell’autenticità e delle potenzialità del rap napoletano.
Meg – “Fortefragile”
Quello che oggi sentiamo fare a piccoli fenomeni del nuovo cantautorato femminile come Ariete e Ginevra, Meg lo faceva vent’anni fa. È per questo che aspettavamo con ansia il suo ritorno, perché è forte la percezione che questo possa essere nuovamente un suo momento, perché quel futuro che lei già intravedeva e traduceva in musica vent’anni fa finalmente è arrivato, così quello che ci ritroviamo oggi per le mani è materiale di altissimo livello e altissima contemporaneità. La produzione carica d’ansia dei genietti Frenetik&Orang3 si incastra perfettamente con la voce di Meg (tra le nostre preferite, di sempre) ricreando proprio quell’equilibrio instabile, schifosamente umano, tra forza e fragilità, un filo sottilissimo sopra il quale ergiamo impunemente grattacieli pronti a schiacciarci. Che stile.
MACE – “Oltre”
Dopo il successone di “Obe”, dentro il quale troviamo “La canzone nostra”, il singolo che ha lanciato nello showbiz musicale il giovine BLANCO, ci aspettavamo dal geniale artista del suono MACE un disco di superhit. Invece no, il producer se ne esce con un album strumentale dall’indubbio fascino, dall’indubbio valore, complicato ma allo stesso tempo accessibile, fino a risultare addirittura rigenerante; nel senso che mette proprio energia. Serve fiducia per immergersi in questa vasca di suoni, ma crediamo che MACE questa fiducia se la strameriti, quindi fidatevi, cliccate play, poi ci farete sapere.
Legno – “Lato A”
Tanto carattere, un suono pieno, ricercato, la solita sottile ironia nella composizione e nell’interpretazione dei pezzi; i Legno sono indubbiamente una delle più interessanti realtà del nuovo panorama indie e “Lato A” è un EP manifesto della loro idea di musica. È pop fresco, colorato, che non rinuncia al messaggio, alla comunicazione intima con l’ascoltatore e cattura implacabilmente l’attenzione.
GionnyScandal – “Boom”
Vuoto totale, musicale, concettuale, cosmico, filosofico. Sto scandal non scandal mai.
Leon Faun – “Pioggia”
Brano illuminato in cui il giovane fenomeno Leon Faun dimostra di essere un autore, di non giocare soltanto a fare il rapper ma di saper maneggiare con cura tutto l’apparato musicale, giocando con le sonorità, non rinunciando mai a strumentali impegnate, senza basare tutto il giochino su beat e barre in rima. Il nuovo cantautorato, quello che caratterizzerà l’esistenza di nostri figli e nipoti passa da questo semplice concetto, dal trattamento della musica come musica, anche se è possibile finire in classifica a costo zero; ma quella non è musica, quelli sono solo affari, e noi qui parliamo di musica. Con Leon Faun. Che è proprio bravo.
Pianista Indie – “Champions League”
Il più importante trofeo calcistico per club utilizzato come metafora per raccontare la competizione che ci logora dentro, contro tutto e tutti. Perfino in amore, anche lì ci sentiamo in dovere di vincere, sempre, fino alla fine, anche a costo di perdere tutto. Pianista Indie azzecca il pezzo, azzecca il tema, azzecca il modo di parlarne, i termini, la delicatezza, le immagini…insomma, azzecca tutto.
Immanuel Casto – “Wasabi Shock”
Immanuel Casto torna con un altro brano dalle sonorità discoretrò e con il suo solito appeal ironico e provocatore. Forse il limite di Immanuel Casto è proprio quello di non andare quasi mai oltre questa sua caratteristica, queste storie di sesso, affrontate con leggerezza, ingannevole superficialità e un’idea di musica ricercata e iconica; o forse è la sua forza, l’identità del progetto. Fatto sta che le sue produzioni sono sempre molto divertenti.
Cassandra Raffaele – “Camera Oslo”
Che disco splendido, che esplosione di autentica poesia, quanta raffinatezza, quanta intimità, si ascolta il succedersi di queste bellissime canzoni restando quasi imbambolati. Nella testa appaiono le immagini, nitide, di questo film che la Raffaele ci ha voluto regalare e in questo film si ride, si balla, ci si commuove, si trova perfino il tempo di riflettere quelle storie, così delicatamente umane, su se stessi, di appropriarcene senza ritegno. Non riusciamo nemmeno ad indentificare un passaggio del disco in particolare, noi ci siamo innamorati de “La mia anarchia ama te”, che già solo il titolo meriterebbe un intero romanzo dedicato, ma i brani sono tutti tutti belli. Consigliatissimo. Proprio non ve lo perdete.
Andrea Sannino feat. Franco Ricciardi – “Te voglio troppo bene”
Non è il rigurgito di quella parte di noi irrimediabilmente attratta dal cafonal più spinto, è questa epicità così elementare e autentica di un certo neomelodico declinato in chiave più contemporary pop, la capacità di arrivare dritto dritto al punto senza bisogno di star lì ad immaginare la musica come lo spot di noi stessi, con un’attenzione all’orecchiabilità che nel cantautorato in italiano, nuovo o vecchio che sia, troviamo solo quando c’è da comporre tormentoni estivi per piacere il più possibile. Nel brano poi viene coinvolto Franco Ricciardi, artista decisamente superiore.
Artù – “Eri tutta Roma”
La storia di un romantico e focoso incontro a Campo de’ Fiori, la minuziosa descrizione dei movimenti, talmente ben congeniata che ci appaiono limpide le immagini dei vestiti che si intrecciano, che si accartocciano, che si sgualciscono impregnati dalla passione; e poi ancora le pelli che si sfregano come se fossero a caccia di qualcosa di inafferrabile e, naturalmente, Roma, bella di notte, quando si gira dall’altra parte e fa finta di dormire, lasciandosi finalmente vivere a pieno. Artù dipinge con la forza della sua scrittura così cruda eppure così poetica tutto ciò, regalandoci una notte capitolina pregna di quell’aria unica, assoluta, rigenerante.
<
Young Signorino – “5am”
I brani di Young Signorino, anche quando zoppicanti, trasudano un’onestà disarmante, una tempesta di dubbi cupi e tormentanti. Questa è la sua energia, anche se così dannatamente black, anche se spesso risulta solo accennata.