AGI - La musica italiana ha bisogno degli Alessandro Fiori, di chi mantiene viva una visione totalmente poetica della vita, una sorta di caleidoscopio per decifrare la bellezza che ci circonda attraverso una canzone.
Niente che non sia già stato fatto prima, dai grandi del nostro cantautorato, e che ora è diventata regolarmente un’eccezione. Eppure queste piccole fiammelle di speranza ancora bruciano da qualche parte, non esistono tanti Alessandro Fiori, ok, ma ne esiste uno e scrive delle canzoni meravigliose. “Mi sono perso nel bosco” è una passeggiata tra le sue più intime sensazioni, leggera ed intensa, complessa e totalmente accessibile; ci ricorda la piacevolezza dell’ascoltare un album dall’inizio alla fine, sfogliarlo come il romanzo del cuore, segnarsi le frasi che qui e là si liberano dalle righe del pentagramma e ci danno un ceffone forte e amorevole. “Io e te”, “Amami meglio”, “Buonanotte amore”, “Una sera”, non sono solo canzoni ma vere e proprie liturgie d’amore, celebrazioni che non hanno bisogno di fuochi d’artificio per esploderci dentro. Canzoni che fanno uscire il sole. Non esistono tanti Alessandro Fiori, ma ne esiste uno e ci conviene tenercelo stretto, perché la musica sta andando da tutt’altra parte. E non è un bel posto.
Qual è la necessità artistica che ti ha spinto a scrivere “Mi sono perso nel bosco”?
La solita che mi fa venire la voglia di giocare utilizzando delle espressioni artistiche, siano canzoni, siano disegni, siano racconti. È un modo che io ormai ho di vivere, un gioco per me, importante, l’unico che mi è rimasto, che ancora mi diverte fare e mi sorprende che ancora io riesca a trovare stimoli da una forma canzone, che è molto semplice se ci pensi. Non è come scrivere una sinfonia, è molto più semplice, basta applicare un testo cantato ad una melodia con un sostegno armonico…tutte cose molto semplici, che nonostante siano passati tanti anni e ne abbia scritte tante, mi piace ancora fare. Poi il mio è uno stimolo naturale, non c’è la ricerca a tutti i costi di un obiettivo specifico e nemmeno il tentativo di sorprendere me stesso e tantomeno gli altri; è davvero un gioco, un desiderio espressivo molto istintivo e naturale.
Un gioco che però per un po' di tempo non ti ha divertito più di tanto, hai dichiarato di esserti sentito anche scoraggiato…
Si, è vero, infatti dato che è una cosa istintiva, spinta da un bisogno reale, se ad un certo punto manca lo stimolo è inutile forzarsi, si fa una bella pausa. Io alterno le arti, come cambiare le colture per avere un terreno sempre fertile, però devo dire che per una serie di motivi che si erano andati a sovrapporre l’uno all’altro, ho vissuto un leggerissimo scoramento e per un attimo forse avevo pensato che questa mia capacità non doveva necessariamente trasmutarsi in lavoro. Tutto qua, non è che avessi avuto un periodo di particolare sterilità, è che mi ero fatto delle domande relative alla vita, alla famiglia, alla gestione delle cose quotidiane…
…e poi?
Poi per fortuna le strade della 42 e la mia si sono incrociate, tanti amici e colleghi non hanno mai mancato di manifestarmi il loro affetto e prendere coscienza che ci sono delle persone che hanno bisogno del tuo sguardo, ed è una cosa che ti da una carica molto forte. Quindi per un motivo o per un altro ne sono venuto fuori, anzi, con un disco particolarmente ispirato, uno dei miei lavori più completi e che mi gratifica di più. Poi alla fine era uno smarrimento anche quello, mi ero perso un po' nel bosco, per fortuna sono riuscito a fare nuovamente capolino tra le selve.
Eppure la forma canzone che proponi, classica in qualche modo, nella discografia di oggi appare quasi rivoluzionaria…
Si, mi torna questa cosa qui. È come quando siamo passati da anni e anni di trasmissioni sulla cucina d’avanguardia e dopo dieci anni ti rompi le scatole, ti fai una bella amatriciana e dici “Ma lo sai che hai vinto te?”. È vero il discorso sulla scrittura in un momento in cui secondo me le grosse proposte negli anni si sono fatte sempre più carenti in termini di contenuti, però dal punto di vista delle produzioni, dato che varie forme di urban sono entrate, si sono sperimentate un sacco di cose e questa è una cosa bella. Ma allo stesso tempo, dal punto di vista della scrittura c’è una lenta sclerosi comunicativa, si fa fatica proprio a raccontare delle storie basic. Io ho lavorato al contrario, non ho badato tanto agli effetti speciali ma mi sono messo a scrivere delle canzoni che funzionassero sia nel disco che buttate su Facebook voce e piano. E in più con la semplicità di farlo senza secondi fini e secondo me alla fine questa cosa si sente; questo mix porta questo lavoro leggermente a smarcarsi rispetto tante altre cose.
Il linguaggio nella discografia, certamente per l’influenza di rap e trap, che hanno un intento sicuramente diverso, si fa sempre più violento; tu invece proponi dei modi gentili…è una cosa alla quale hai pensando durante la produzione del disco?
È proprio lì il gioco, io quando scrivo, come tutti, ho un fortissimo desiderio di essere apprezzato, quando sei lì al pianoforte che stai cominciando a buttar giù le cose, già ti immagini di essere circondato dalle persone, dagli sguardi che ti interrogano, e devi capire con la fantasia se possono portare a delle emozioni, delle relazioni, proprio all’avvicendarsi dell’amore. Perché alla fine è di questo che si tratta. Certo che ci penso a queste cose ma è un istinto completamente impastato con l’atto creativo, non c’entra niente l’obiettivo, il target, il desiderio di arrivare in un certo modo, anzi, questo sentimento di smarrimento mi ha posto tra le possibilità anche di smettere completamente e questo fatto mi ha alleggerito a tal punto che, così, in maniera dissennata, mi sono totalmente infischiato di qualsiasi riflessione che prendesse in considerazione la parte del percorso dopo quello creativo. Il flusso quindi è totalmente libero e la cosa si sente.
C’è ancora spazio per il cantautorato classico nella musica italiana?
Ti sorprenderò, ho ascoltato le mie cose con un orecchio un po' esterno e non credo di essere un cantautore. Naturalmente, essendo uno che canta le cose che scrive, tecnicamente lo sono, però come cantautorato si intende un tipo di narrazione e comunicazione un po' diverso. Ci sono stati degli esempi di cantautorato come lo intendo io, ci sono delle cose di Ciampi, di Jannacci, però i cantautori, quelli che hanno solcato di più la strada, in realtà non sono così vicini al mio modo di provare a raccontare le cose. C’è sempre una specie di leggero distacco poetico, un leggero tentativo di metaforizzare quello che vogliamo dire, io non credo di appartenere a quel modo di scrittura. Quel cantautorato lì oggi viene messo un po' da parte e secondo me forse anche giustamente, perché ora c’è bisogno d’altro; però è rischioso, perché poi è un attimo che si va dritti dritti verso la rovina e si perde tutta la sostanza che io ho provato, con dei semplici racconti, a rimettere in gioco. Però è equivoco questo discorso sulle proposte, perché le canzoni si sono trasformate in dei meme musicali, e questo ovviamente va scongiurato. Io ho provato, senza passare da quei canoni interpretativi cantautoriali, a ritrovare quella semplicità della forma canzone.
Qual è la canzone di questo disco che meglio ti rappresenta?
Impossibile rispondere, se vuoi fare conoscere un artista devi mostrare un’intera personale, quindi io farei ascoltare tutto il disco.
Anche questa è una cosa ormai rivoluzionaria in una discografia che va avanti a singoli…
Attenzione, a me il discorso dei singoli, utilizzato anche da 42 Records con me, non mi è dispiaciuto, perché comunque ti costringe alla reiterazione d’ascolto, però per farsi un’idea si deve ascoltare tutto l’album. Forse la canzone che ha tutti gli ingredienti del disco è proprio la title track, perché c’è la narrazione onirica, c’è l’amore salvifico alla fine, c’è l’amore paterno, c’è tutta quella cavalcata dal punto di vista armonico e strumentale nella parte centrale…si quella potrebbe essere paradigmatica come canzone, anche se non è la mia preferita del disco.
Il disco esce quando intravediamo la fine di un tunnel, particolarmente buio per il mondo della musica…
Non mi sono posto la questione in maniera seria, anche perché tendo ad avere degli approdi paranoici che esulano sempre dalle questioni prettamente politiche. Io all’inizio avevo chiesto ad Emiliano Colasanti di 42 Records se fosse opportuno fare uscire il disco, perché gli umori erano strani, non erano concordi con una nascita. Invece abbiamo deciso che a maggior ragione in questo periodo, l’unico modo che avevamo noi era rispondere colpo su colpo con produzioni creative e responsabili e, come hai detto tu, gentili, fatte con grande rispetto, per le orecchie altrui, per il cuore altrui, porsi con gentilezza nella speranza che nel nostro piccolo, anche se non farò mai dei grossi numeri, ho la sensazione che le cose cambino sperando in questo modo.