AGI - È già passato un anno dall’uscita di “Exuvia”, l’ottavo album in studio di Caparezza, ancora un passo in avanti nella selva del conscious rap, quella declinazione poetica, intellettuale, di una disciplina che ormai ha preso il sopravvento sul mercato discografico.
Il percorso di “Exuvia” però è rimasto monco, la lunga pausa dovuta alle restrizioni causa pandemia non hanno permesso a Caparezza di portare di persona la propria musica al proprio pubblico. Fortunatamente ormai distinguiamo chiara la luce in fondo al tunnel, gli assembramenti musicali sono ripresi e così anche per Caparezza è giunto il momento di tornare sul palco.
Venti date in tutta Italia, venti show dentro i quali entrare a piè pari, come solo un live di Caparezza permette di fare; il rapper infatti apre le porte del suo mondo romantico e distorto, quel mondo in cui piovono parole, rime, pensieri, immagini che travolgono senza lasciare scampo.
Come ti senti alla vigilia di questa ripresa dei live?
"Sono felice perché purtroppo io ho una forma mentis fatta così: si fa il disco e poi si fa il tour del disco; tra questi due poli io non riesco a fare nulla. I due poli si sono allontanati a causa di tutti questi rinvii, quindi questo famoso limbo che ho raccontato in “Exuvia” ho continuato a viverlo. Per fortuna ho impiegato questo tempo per rendere sempre più complesso questo spettacolo, quindi quando salirò sul palco farò il mio"
Cosa dobbiamo aspettarci dunque?
"Chi conosce i miei spettacoli sa già come sono orientati, per chi non li conosce sono un misto di tutto, un crossover di tutto, e non soltanto musicale, perché io prendo ciò che mi piace da vari generi e li mescolo. Anche sul palco avviene una sorta di crossover artistico, la band è tipicamente rock ma alla fine facciamo teatro; e poi ci sono i performer, che questa volta vengono dal musical, e poi ci sono le scenografie mobili, come se fossimo all’”Aida”, ci sono i costumi, c’è anche un led wall, tutto quanto converge in un’unica direzione che è mostrare, to show, fare uno show, che è sempre stata la mia prerogativa"
Come al solito ci farai entrare nell’universo Caparezza…?
"In realtà quando ho cominciato è stato con una band classica, ma mi sono accorto che mi divertivo di più a costruire attorno a me un mondo. A me piace costruire attorno a me dei mondi all’interno del mondo, questa è sempre stata la mia fissazione, lo facevo da bambino e continuo a farlo oggi alimentando il bambino che è in me"
Molti tuoi colleghi in questi anni erano preoccupati per il rinvio dei live perché impauriti dal fatto che, in quest’epoca di musica fluida, i brani rischiano di invecchiare e non essere più freschi alle orecchie del pubblico…
"Io amo molto “Exuvia” come album, non l’ho quasi mai detto dei miei album precedenti, ho sempre avuto questo atteggiamento da “Ok, l’ho fatto, adesso via da me, è ancora fresco il casino per crearti, ora vai in pasto alla gente, ci rivediamo tra qualche anno”. Invece con “Exuvia”, forse perché è uscito in un periodo che era già dilatato di suo, forse perché raccontava la dilatazione dei miei tempi all’interno di un cambiamento normale che è il crescere, ho un rapporto diverso".
"Ho un rapporto per cui i pezzi di “Exuvia” ogni tanto vengono fuori e accompagnano un tratto della mia vita, quindi per quanto riguarda me, il portarli sul palco, io li sento ancora vivi, sento che il periodo che sto vivendo è ancora più o meno quello, forse un po' più disteso ma ancora quello lì. Quindi la credibilità di quello che farò sul palco non è in discussione perché non li sto facendo giusto per farli, perché non ho potuto fare un album in mezzo. Per quanto riguarda la percezione del pubblico non lo so, questo lo vedremo sicuramente alla prima data, ma credo, e sono abituato così, che chi viene a vedere i miei spettacoli di solito non è un nostalgico che vuole sentire soltanto le canzoni che ho fatto nel passato, quindi credo che una sorta di curiosità verso quello che ho fatto quest’anno ci dovrebbe essere".
"La scorsa settimana io ho volutamente festeggiato il primo anno di “Exuvia” e la maggior parte dei commenti che ho letto dicevano: “Ma come? È già passato un anno?”, evidentemente la dilatazione funziona al contrario, o è un album faticoso e c’è ancora bisogno di tempo o comunque il fatto che io continui imperterrito a porre l’accento, ora su questo ora su quell’altro brano, quindi a non farli passare in cavalleria, rende “Exuvia” ancora un album non invecchiato. O almeno questa è la mia speranza"
Al momento nella scena rap sta succedendo una cosa un po' strana: chi affronta i temi legati alla natura del rap, anche se in maniera un po' più cantautorale, i cosiddetti consciuos rapper, la tua categoria insomma, viene considerato laterale alla scena vera e propria…
"Essendo da questa parte della staccionata fatico a comprendere certe dinamiche che stanno dall’altra parte. L’unica cosa che posso dirti è che il rap ha un po' questo atteggiamento parricida, c’è sempre il fatto di volersi affermare anche mettendo in discussione quello che è stato fatto prima di te, quindi è anche possibile che oggi il “rimare” non sia considerato più così interessante, è interessante certamente per me, difatti i miei ascolti vanno in quella direzione. Ci sono delle eccezioni come quella di Marracash, che riesce a soddisfare entrambi gli appetiti, ma sono delle eccezioni".
"Detto questo, nei miei ascolti, ormai da qualche tempo, non rientrano più certi tipi di musica, non sto ascoltando più musica come la ascoltavo un tempo, se mi avessi fatto questa domanda due anni fa, ti avrei buttato sul tavolo trenta nomi di giovani presi da soundcloud che fanno cose…ora invece mi sono un po' fermato nei miei ascolti e preferisco concentrarmi su quello che so che soddisferà la mia voglia. È giusto che ci sia questo stridore, è giusto che ci siano cose completamente diverse, a me, Michele Salvemini, non interessa che ciò che faccio io venga riconosciuto nella scena o fuori dalla scena rap, non rap, ormai non mi interessa più, sto vagando nel mio limbo in un mondo dove ci sono solo io e basta (e ride). In America succede più o meno la stessa cosa: “Non importa quello che diciamo, importante è che suoni”. È un’attitudine, ma secondo me c’è spazio per entrambe le cose".
Riguardo la ripresa dei live, la vivi con un senso di rivalsa rispetto a come è stata trattata la musica negli ultimi due anni?
Io sono nato artisticamente sul palcoscenico. Quando “Fuori dal tunnel” è esplosa, io facevo già un sacco di concerti, tanto è vero che ho imputato a quello il fatto che fosse arrivata questa attenzione, che può essere sembrata fulminea, ma io in realtà ero già in giro e da tanto. Ho fatto i concerti che si fanno all’inizio, quelli davanti poca gente, che diventa sempre di più, perché magari torni una seconda volta e quelli della prima hanno portato gli amici, la classica gavetta diciamo. Da lì in avanti io ho scelto comunque di fare concerti e ne ho fatti tantissimi, de “Il sogno eretico” ne ho fatti cento, che nel mio caso sono veramente tanti, e ne ho pagato anche le conseguenze fisicamente ed è il motivo per cui adesso non posso più farne cento, ne faccio venti e vedrò di farli bene"
"Però devo dire che il palco è sempre stata la mia dimensione, quando vado in tv, se ne sono accorti anche i muri, io sono sempre a disagio, non è il mio posto, io ho bisogno di posti dove posso spiegarmi, stare a parlare, stare a cantare e raccontarmi e raccontare quello che ho in testa per un bel po' di tempo; e pago le conseguenze anche di questo perché non andando in tv uno pensa: “Ma è scomparso?”. No, non sono scomparso, sto preparando un tour e ve ne accorgerete quando salirò sul palco del tempo che ci vuole per fare una cosa del genere. Quindi sono ben contento di essere nato sul palco perché non ho assolutamente nulla da recriminare, non sento che mi siano state regalate delle cose; si, sono grato anche al fato, ma ho cercato di lavorare molto su quelle assi, su quei palchi.
Senti di recriminare qualcosa invece alle istituzioni per come è stata trattata la musica in questi due anni?
Mi autocito con un brano che si chiama “L’uomo che premette”, così faccio una premessa: non dev’essere facile essere un’istituzione, è ovvio che sei sempre il bersaglio di qualcuno e c’è sempre qualcuno scontento. Credo che ci siano persone nella politica che la prendano molto seriamente, sembra stano ma ci sono, qualcuno magari sta lì solo perché vuole far soldi e qualcuno ci crede veramente; e immagino quanto sia difficile gestire una pandemia. Però la prima cosa che hanno fatto quando è scoppiata è stato chiedere agli artisti, al mondo dello spettacolo, di convincere le persone a stare a casa per poter leggere un libro, ascoltare un disco o vedere un film, ricorderemo tutti questo mantra. Poi tutte queste persone che sono state chiamate alle armi all’inizio sono state dimenticate, il comparto si è riaperto con molta fatica e ora si cominciano a vedere i segnali di distensione".
"Ora, io non so bene come si poteva risolvere questa cosa qui prima, ma so dirti che ci sono molti addetti ai lavori che hanno cambiato mestiere, noi affrontiamo quotidianamente la carenza di personale da portare in tour, tante persone che contattiamo ci dicono chiaramente che non fanno più questo lavoro e se non lo fanno più è perché in questi due anni non sono state tutelate. Penso che almeno queste persone andavano tutelate di più, io ho fatto quello che ho potuto partecipando alle varie raccolte fondi, ma il dato di fatto è questo: ci sono questa estate un bel po' di concerti in giro e non si trovano figure professionali, non ci sono più, non sappiamo più come inventarcele e questa è la conseguenza della gestione della pandemia. Ma, ripeto, io non so come politico come avrei affrontato la cosa".