AGI - Il ritorno di Ligabue, il pezzo estivo di Mengoni, il duetto tra Ed Sheeran e Ultimo, quello tra Marina Rei e Carmen Consoli; e poi ancora il trash di Sfera Ebbasta e Myss Keta, il magnifico disco di Willie Peyote e la ritrovata Nada. Chicca della settimana: il nuovo singolo di MYDRAMA. Le nostre recensioni a queste e tutte le altre nuove uscite.
Ligabue – “Non cambierei questa vita con nessun’altra”
La verità è che negli ultimi 15 anni si clicca su una nuova uscita di Ligabue con la stessa tensione con la quale l’eroe di un film d’azione americano deve tagliare il classico filo rosso o filo giallo per salvare un grosso centro urbano da una catastrofe. Sudi proprio, per il bene che vuoi ad un uomo, un artista vero, che ha scritto alcune delle più significative colonne sonore della tua esistenza e da tanto, troppo, tempo non riconosci più. Sarà quindi che eravamo pronti al peggio, ma questo nuovo brano di Ligabue appare a primo ascolto un pò più convincente.
Non è un buon brano, inutile prenderci in giro, e lo scriviamo, giurin giurello, con estrema malinconia che cola copiosa sulla tastiera, ma siamo certi che esploderà in quel di Campovolo, come se fosse proprio concepito per la dimensione live, ma soprattutto, perlomeno, non ti fa venir voglia di tagliare volontariamente quel filo sbagliato e farti saltare in aria.
Ed Sheeran feat. Ultimo – “2step”
Provate ad infilare un cerchio nello spazio dedicato ad una forma quadrata. Ecco.
Marco Mengoni – “No Stress”
Chissà se questo brano è uno di quelli esclusi da “Materia (Terra)”, l’ultimo meraviglioso album di Mengoni. Se così fosse capiremmo l’esclusione, forse magari proprio in vista dell’estate, perché il brano, per quanto funzioni benissimo, non sbrilluccica di raffinatezza come le ultime produzioni di Mengoni. Però è divertente, è potente, è trascinante, è scritto, dallo stesso Mengoni e il sempre presente Davide Petrella, con sagacia, con ironia, e chiuso in fase di produzione dall’ottimo Zef disegnandogli i connotati della hit. Non è il nostro pezzo preferito di Mengoni, ok, ma il livello resta alto.
Sfera Ebbasta – “Italiano”
Pensavamo di avere diritto a qualche settimana di pausa prima di questo EP, invece, senza alcuna pietà, il trapper di Cinisello Balsamo ci propone altri tre pezzi. Dopo aver sventrato “L’italiano” di Toto Cutugno, questa settimana tocca a “Mambo italiano”, anche questo cult ridotto all’osso, spolpato della propria linfa per diventare l’ennesima manifestazione di noia totale, di vuoto cosmico.
In questo EP il nostro eroe ci riprova anche con il mercato straniero, ospitando Fivio Foreign, Myke Towers e BIA, che magari in Italia ai più non diranno niente, ma sono nomi della scena urban mondiale dai numeri altissimi; l’intento forse è quello di ripetere l’effetto “Baby”, duetto con J Balvin contenuto in “Famoso”, proprio grazie al quale (diremmo esclusivamente grazie al quale) Sfera Ebbasta è riuscito a far circolare il proprio nome anche fuori dall’Italia.
Un trucchetto discografico in realtà, niente di artistico, infatti tempo un quarto d’ora e quel brano, ma potremmo dire anche tutto il disco, si è praticamente volatilizzato, lasciandosi dietro solo una scia di numeri, alti, per l’amor di Dio, ma che lasciano il tempo che trovano. Visto che poi si rischia di passare per cattivi è meglio buttare l’analisi su dei dati, a nostro parere incontrovertibili: Sfera Ebbasta è molto seguito (dato), ha contribuito in maniera significativa all’esplosione di un genere in Italia (dato), ed è una cosa che va rispettata, anche se questa rivoluzione, dai tratti, perché no, anche culturali in un certo, molto vago, senso, non abbia niente di intellettuale (dato) e sia solo un mix di banali cliché e pericoloso disimpegno (dato). Ma Sfera Ebbasta non ha inventiva (dato), non ha talento (dato), non sa scrivere (dato) e se potrebbe risultare, seppur fastidiosamente, sopportabile il fatto che non sia nemmeno capace di cantare (dato), non è ammissibile il fatto che non riesca nemmeno a dare un minimo di interpretazione a ciò che bofonchia (dato). Ora tirate voi le somme.
Sangiovanni – “Scossa”
Soprassedendo su i soliti problemi di pronuncia, comuni a tutta una generazione di giovani artisti, tutti evidentemente nella stessa classe delle elementari e tutti evidentemente assenti alla lezione dedicata alle vocali; questa “Scossa”, canzone scritta per la colonna sonora della serie Netflix “Summertime”, è certamente una delle cose migliori offerte dall’ex concorrente di “Amici di Maria De Filippi”.
Il testo ha un suo senso ed una sua struttura, si tratta di pop che non macchia, ma la melodia è architettata come si deve, lui porta a casa un brano che si fa ascoltare dall’inizio alla fine. Potrebbe essere un ottimo punto di partenza se non fosse che stiamo parlando di un ragazzo che raccoglie quasi tre milioni di stream al mese su Spotify; visto che saremo costretti ancora per un po' ad ascoltare tutto quello che pubblica, speriamo che prosegua in questa direzione.
Nada – “In mezzo al mare”
Attenzione, non è il rispetto che dobbiamo ad un’artista gigantesca, anzi, chi ci legge sa che non facciamo sconti a nessuno, è proprio che Nada riesce a dare un’impronta sempre epica a ciò che canta, a non smarrire mai quella bellezza antica della sua visione musicale ma, soprattutto, non barattarla mai per restare nella carreggiata del mercato. Perché, ad una come Nada, che ha già fatto la storia, cosa vuoi che importi di star dietro a trapper di plastica e ragazzini senza cognome? In “In mezzo al mare” affida la produzione al geniaccio John Parish, che stende sotto ai suoi piedi un tappeto trasparente, minimal ed efficace, uno di quei luoghi immaginari sopra i quali una maestra dell’interpretazione come Nada ci balla che è una meraviglia.
Willie Peyote – “Pornostalgia”
Solita analisi spietata, sarcastica, cruda, ispirata, di uno degli artisti migliori che abbiamo in Italia. Attenzione: non rapper, non cantautori, non indie o qualsiasi altra definizione abbiate provato a disegnare attorno a Willie Peyote, ma artista, inteso nella sua espressione massima, totale. Un’analisi che prima di tutto tocca se stesso, un rapporto complesso con il proprio essere artista, davanti allo specchio così come dinanzi a questo mondo storto, che nelle sue parole risulta quasi insopportabile. Da far schifo, così come rappa nel brano in featuring con la comica Michela Giraud, che ormai è diventata una disciplina olimpica, verso il quale ormai si rivolge con rassegnazione, alle volte anche con rabbia, ma sempre con la poetica che lo contraddistingue; poetica che orbita a mezza altezza tra la strada e il bancone di un bar, che resta quindi sempre bassa, a portata di mano, tangibile, pronta a celebrare l’epica delle piccole cose della nostra vita, che è un po' la specialità di casa Peyote.
Piccola nota a parte merita il brano che chiude il disco, “Sempre lo stesso film”, che il rapper dedica all’amico Libero De Rienzo, scomparso da poco; una lettera intima, commovente, perfetta, da brividi, in cui Willie Peyote si libera parlandoci con estrema e disinvolta autenticità, riflettendosi sul pensiero di un artista, De Rienzo, che, come ci siamo accorti quando è venuto a mancare, ha lasciato un segno indelebile sulle persone che gli erano accanto, soprattutto artisti, e che in questo bel disegno di Peyote, ritroviamo praticamente unico ed irripetibile.
Marina Rei feat. Carmen Consoli – “Un momento di felicità”
Anche più di un momento, facciamo praticamente 4 minuti di goduria totale. 4 minuti durante i quali la poetica carica, artigianale, leggera e allo stesso tempo intensa e memorabile di due cantautrici di razza esplode nelle nostre orecchie. Questo brano dovrebbe essere la loro festa, in onore della loro amicizia, la miscela di due modi di intendere la musica ancora così evidentemente autentici, ma a godere, se alle signore non dispiace, c’è anche, come proverbio vuole, il terzo, ovvero il pubblico, ovvero noi.
Nina Zilli – “Munsta”
Nina Zilli è un’artista fondamentale nel nostro panorama musicale, una delle poche, probabilmente la migliore, a saper coniugare la freschezza della proposta alla tecnica impeccabile, ricercata, quasi intellettuale. “Munsta” è un brano con chiari riferimenti al sound dei ’60, a quella giocosità, vien voglia di “twistarci” sopra, ma non scade mai nella banalità; anzi è un brano anche discretamente complesso, lavorato alla perfezione in fase di produzione da Danti.
MYSS KETA – “Finimondo”
C’è il trash che fa cultura, cui connotati nel tempo sono stati rivalutati, forse perché nel frattempo è venuto fuori del nuovo trash, esponenzialmente più trash, a tal punto da farci pensare con nostalgia al vecchio trash, del quale comunque sempre abbiamo riconosciuto l’anima trash, ma che a confronto con il nuovo trash, non ci sembra poi così tanto trash. Ecco, Myss Keta porta questo nuovo trash, dai tratti estremamente volgari, fino ad un punto di non ritorno; potrebbe fare il giro e trasformarsi in arte, invece resta solo un bruttissimo brano trash, anche piuttosto supponente, che nemmeno il bravissimo Greg Willen in produzione riesce a salvare. Una roba proprio brutta brutta brutta.
Aka 7even – “Come la prima volta”
Se il brano in sé resta piuttosto bruttino, perlomeno in questa nuova produzione dell’ex concorrente di “Amici di Maria De Filippi” troviamo un’idea un po' più precisa. Quando a questa idea si uniranno i contenuti e una costruzione del brano, sia in termini musicali che testuali, meno ruffiana, meno da classifica, meno da hit, e non perché siamo i radical chic che siamo, ma proprio per scoprire, tolti tutti gli orpelli, quale necessità artistica si cela dietro il progetto, aldilà dei numeri, allora saremo pronti a fare dieci, cento passi indietro e finalmente scriverne come se fosse musica vera. Al momento lo consideriamo solo il solito spot, stavolta almeno venuto meglio.
Ministri – “Giuramenti”
Spesso ci viene chiesto come mai tutta questa nostalgia per l’indie, anzi, “per quegli sfigati di indie” (cit.), e noi nemmeno rispondiamo, perché se volessimo educare qualcuno faremmo un figlio, il dovere di un critico è tutt’altro. Ma a tutti questi ex fan di Paolo Meneguzzi ci piacerebbe fare ascoltare “Giuramenti”, il nuovo disco dei Ministri, ci piacerebbe fargli capire non quanto belle, tutte, sono le canzoni del disco, in un’era di musica gratuita vattele a cliccare da solo, se ti dicono qualcosa buon per te, altrimenti ce ne faremo tutti quanti una ragione; ma quali sono le intenzioni, qual è l’intento evidentemente artistico che spinge alla produzione di musica di questo tipo, quale la poetica, la capacità di rendere lirica la nostra piccola e lurida vitaccia, quanto riescono a stiracchiare a colpi di rock melodico e autentico le nostre umane sensazioni, come se fossero più grandi di quelle che sono e quindi noi più grandi di quello che siamo. Così come capita in particolare in “Esploratori”, “Domani parti”, “Arcipelaghi” e “Comete”. Bravissimi.
The Kolors – “Blackout”
Ottima realizzazione, ottima produzione, zero guizzi. Il tempo di scrivere questa prima frase siamo costretti a reinforcare le cuffie per riascoltare il brano, ce l’eravamo già dimenticato, per capire se c’è altro da dire. Be, no.
Fasma – “Bimbi sperduti”
L’intento del brano sarebbe quello di rappresentare il disagio di una generazione, ma il vero disagio in questo caso è il brano che vuole rappresentare il disagio della generazione in questione. Però una cosa in effetti stupisce: ad un certo punto avranno concluso i lavori al brano, si saranno guardati in faccia e si saranno detti: “Che figata di pezzo, ragazzi!”; senza scoppiare a ridere. Se i bimbi sperduti sono questi, meglio perderli.
Niccolò Carnesi feat. Dimartino – “Penelope, spara!”
Un brano, già meraviglioso dieci anni fa, ascoltato in “Gli eroi non escono il sabato”, rispolverato dal fenomeno Carnesi, cantautore dalla poetica stralunata e imaginifica, insieme a Dimartino. I due siciliani riescono ad incastrare in un brano dalla bellezza devastante quella voragine che si apre nella testa quando ti blocchi a guardare il cielo senza un perché, attirato da qualcosa che non sai spiegare e i pensieri volano veloci, rimbalzano in tutti gli angoli del cuore e il respiro si fa più lungo e il tempo smette la sua funzione e per un attimo, puoi sentirti perfino felice. Una perla di pezzo.
Lele Blade feat. MadMan – “No Joke”
L’incontro tra Lele Blade e MadMan non poteva che far esplodere un tuono. Che pezzo entusiasmante, che esercizio di stile raffinato, minimal, che tecnica, che audacia, che cazzimma.
Tutti Fenomeni – “Privilegio raro”
Si capisce perfettamente il motivo per cui Niccolò Contessa, uno degli artefici della rivoluzione cantautorale degli anni ’10 del nuovo millennio, quella ormai convenzionalmente definita “indie”, si sia interessato alla scrittura di Tutti Fenomeni. Si capisce cosa ha trovato di unico e irripetibile nello stile interpretativo, quasi ai limiti del parlato, di questo ragazzo. Forse quella capacità di rendere stilisticamente valida un’idea di musica in realtà molto comune al progetto I Cani, anche se decisamente meno matura, meno poetica e più sfacciata.
Sarebbe a questo punto interessante scoprire dove si ferma Tutti Fenomeni e dove comincia Contessa, cosa ne sarebbe del materiale di Tutti Fenomeni, se non fosse riveduto e corretto da un producer e autore dalla visione così spietatamente lucida. Detto ciò parliamo di un ottimo secondo disco, per certi aspetti anche superiore al primo, l’asticella si è alzata, è ricco di colpi di tacco, di guizzi, di ispirazione. È molto chiaro negli intenti e tutti i brani, nonostante questo recitato neutro e monocorde, si fanno ascoltare molto piacevolmente.
Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri – “Follow The Money”
L’intento sociale di questo nuovo progetto di Pierpaolo Capovilla è evidente, d’altra parte appartiene ad una generazione che credeva fortemente, beati loro, che la musica potesse intervenire, prendere voce, nel dibattito. Secondo il nostro modesto parere, purtroppo, no; anzi, secondo il nostro modesto parere la cosa più grave è che è proprio alla musica che non frega granché di intervenire nel dibattito. Ma il fatto che Capovilla ci creda ancora e se la schitarri ardentemente inneggiando al potere losco e oscuro e drammatico del denaro nella società moderna, ci rasserena, ci da speranza.
Dolcenera – “Spacecraft”
Canzone d’amore interstellare che racconta di due persone di pianeti diversi che cercano di incontrarsi; in pratica una qualsiasi relazione eterosessuale. Il ritornello funziona meglio delle strofe, ma in generale il brano ha delle sonorità un po' retrò, quello che però ci convince è che si tratta evidentemente di una scelta stilistica di una grande artista del panorama musicale italiano, una scelta che a noi lascia un po' perplessi, quindi sospendiamo il giudizio fino all’uscita del disco.
Tredici Pietro – “Solito posto, soliti guai”
L’impressione è che l’apparato del disco sia di primissima scelta, molti dei brani sono prodotti da Andry The Hitmaker, un gigante in questo senso, ma per quanto riguarda i contenuti sono troppo leggeri, troppo deboli, manca decisamente di ciccia. “Solito posto, soliti guai” è un buon pezzo, così come “Oro”, ma niente che faccia strappare i capelli, per il resto tutta roba che suona di già sentito, ampiamente digerito e facilmente dimenticato.
Post Nebbia – “Cristallo metallo”
Brano davvero eccellente, la poetica con la quale la band celebra l’appartenenza all’universo tutto, in un momento storico in cui, al contrario, si richiede e si insegue affannosamente la diversità, la particolarità, l’unicità, è davvero spettacolare. Di conseguenza, anche se non sembra, anche se ci si ritrova rapiti da parole e intonazioni complesse, intellettuali, parliamo di un brano che ha molto a che fare con noi, con il nostro approccio alla vita quotidiana. Solo che la nostra vita quotidiana è così vuota di valori, così poco elettrizzante, poco poetica, deprimente in certi casi, quando ci si rende conto che il tempo passa e i soldi, il successo, le donne, perfino l’amore, la famiglia, non lo fermano; che nemmeno ce ne accorgiamo e pensiamo che la canzone orbiti distratta sulle nostre teste, appena appena più giù delle nuvole. Niente affatto, è qui con noi.
Dutch Nazari – “Cori da sdraio”
Un album praticamente perfetto, piacevolissimo all’ascolto, che mescola in maniera sapiente, ponderata, misurata, anche elementi R&B, non stupisce infatti la presenza di Frah Quintale, che sta diventando massimo esponente del genere in Italia, con sommo gaudio di chi ascolta. “Long Island”, “IKEA” (splendido feat con il sempre ottimo Nayt) e poi ancora le delicatissime “Anime stanche” e “Fiore d’inverno”, non sono solo bei pezzi, urban ballad moderne e incisive che ci trasportano nel mondo di un artista vero, i suoi viaggi, la sua casa, i suoi ricordi, la sua vita insomma, e cosa c’è di più bello quando un brano è così intimo da metterti in connessione diretta e credibile con un’artista? Ma soprattutto questo disco conferma il fatto che il rap ha ancora notevoli potenzialità inespresse, affossate proprio da quelli che fanno rap e pensano ai follower su Instagram invece che a quello che dicono. Per dire, quello che dice Duth Nazari non è solo interessante e tecnicamente ben detto, è anche commovente.
svegliaginevra – “Pensieri spasi sulla tangenziale”
svegliaginevra è una cantautrice giovane e moderna, con le idee musicali evidentemente ben chiare nella testa, che ha sviluppato un proprio stile e una propria narrazione. Si inserisce in un contesto che si fa sempre più affollato ma sarà questa sua unicità a farla emergere, la capacità, per esempio, nel momento in cui ha ospiti nel disco, di portarli nel proprio mondo e non il contrario; ci riesce benissimo con CIMINI in “Odio l’inverno”, ci riesce perfino con gli Zero Assoluto, che hanno una storia ben più lunga della sua, in “Imperfetto” e, a dirla tutta, cosa che rende questo disco davvero interessante, ci riesce anche con chi ascolta, che poi è la cosa principale. Bravissima.
Luigi Strangis – “Tienimi stanotte”
Il testo, scritto da Giordana Angi, sarebbe anche gradevole, peccato per tutto il resto. Solito prodottino in puro stile “Amici di Maria De Filippi”: prendi un pezzo tenuto in qualche sottoscala di qualche major, schiaffalo in bocca ad un ragazzino belloccio che viene bene in video, controlla qual è il sound che funziona questa settimana, chiama un producer che gli dia quei connotati e sputa tutto sul mercato prima che il pubblico che segue il programma televisivo si dimentichi del suddetto ragazzino belloccio, che sarà sostituito in venti secondi netti da un altro ragazzino belloccio. E poi ricomincia da capo. E abbiamo fatto la musica. Ma per favore…
Alex W – “Senza chiedere permesso”
Riempite un bicchiere di ghiaccio. Spremete il lime e filtrate il succo. Con lo stesso lime umettate metà del bordo del bicchiere e fatelo rotolare in una manciata di sale e peperoncino per farlo aderire e fare la crusta di sale. Mettete del ghiaccio nello shaker, versate il mezcal, il lime, il triple sec, aggiungete una rondella di jalapeño privata dei semi e agitate energicamente. Versate, filtrando con un chinois nel bicchiere con la crusta pieno di ghiaccio e lasciate cadere sopra un pezzo di jalapeño. Niente, ci sembrava più consono fornirvi direttamente la ricetta del cocktail grazie al quale tra qualche ora avremo dimenticato questi 3 minuti che nessuno ci restituirà mai più.
EXTRALISCIO – “Romantic Robot”
Una pausa dall’insopportabile stress che masochisticamente ci auto induciamo. Brani dalla bellezza antica, fuori dallo spettro del mercato, costruiti con l’artigianalità di chi di aggrapparsi ai piedi dei trapper per buttarli sotto in classifica nemmeno ci pensa. Musica per la musica, fatta con delicatezza e pace, una bellezza che non ha niente di cupo, che esplode nell’orchestralità misurata, quasi da operetta, che è il sound scelto dagli EXTRALISCIO per quest’opera varia e godibilissima.
Lorenzo Fragola feat. Mameli – “Attraverso”
Un brano molto divertente, ben prodotto, ben pensato; magari i contenuti sono poverelli, un po' troppo “smarmellati”, ma siamo felici di salutare il ritorno di Lorenzo Fragola con quello che è forse il suo brano migliore in assoluto.
Nesli feat. Jack The Smoker – “Polvere da sparo”
Un brano estremamente profondo, che tocca dei punti che, da come è interpretato si capisce benissimo, sono dolenti, cruciali. L’unione tra Nesli, rapper dalle inflessioni pop, e Jack The Smoker, che è un vero professionista e tecnico della sacra disciplina hip hop, è fortunato. Il brano ha delle tinte scure, così come deve essere quando si compie un’autoanalisi spietata e, proprio per questo, risulta quasi utile, che come funzione è sempre troppo sottovalutata.
MYDRAMA – “Soli”
Brano meraviglioso, intimo, coraggioso; MYDRAMA invece di nascondere la propria fragilità, se la canta, se la coccola, se la celebra. E ne esce, poi, per quanto è possibile uscirne, è chiaro, con una canzone finalmente matura, finalmente consapevole, nella quale a vincere è l’arte e la forza che da evidentemente in chi ascolta, evidentemente in chi la produce. Brava.
I Botanici – “Diverso/Uguale”
Analisi spicciola e intensa che celebra la normalità, la pacatezza da divano che ha ammorbato un’intera generazione. L’interventismo sociale visto con gli occhi di chi lo accetta e approva e sostiene solo in tv, ma con la malinconia, falsa, ma fino ad un certo punto, di chi vorrebbe fare qualcosa, ma anche no. Noi tutto questo lo comprendiamo, perché se fosse una voce su Wikipedia avrebbe la nostra faccia come foto, le nostre giornate come quote. E questa canzone come inno.
Viito – “Mi sento meglio”
Ballad semplice e intensa, intima e struggente. Pianoforte e voce, un testo efficace, chiaro, ficcante, quando si ha un’idea di musica ben precisa in testa non serve molto di più. È importante che un brano arrivi in maniera diretta dov’è che vuole arrivare, i diversivi servono solo a chi si è perso e non vuole ammetterlo. I Viito, se proprio dobbiamo essere onesti, ci stupiscono nel riproporsi dopo essere rimasti un po' fuori da quel giro grosso al quale sembravano destinati, con un brano del genere, molto distante dall’ambient ironico e spudoratamente indie di “Bella come Roma” e “Industria porno”. Bel pezzo, bel coraggio. Bravi.
Matteo Romano – “Apatico”
Un brano scanzonato e ben confezionato, certamente migliore di “Virale”, quello con cui ha partecipato all’ultima edizione del Festival di Sanremo. Buona soprattutto l’interpretazione leggera ma precisa che rende la canzone facilmente accessibile.
Ginevra – “Briciole”
Una ballad distopica nella quale la dolcezza del giro di chitarra si mescola alla voce ipnotica di Ginevra, tra le più entusiasmanti voci femminili del new pop italiano, e alla potenza del messaggio: “Ti starò vicino fino a perdere il senso di me”. Tutto questo è Ginevra, un’artista da tenere d’occhio perché davvero in poche in Italia al momento sono brave quanto è brava lei. E lei lo è parecchio.