AGI - L’incontro con Mahmood avviene al Melkweg, uno dei templi della musica live di Amsterdam. È il pomeriggio del 26 aprile, il locale dista solo una manciata di metri da Leidseplein, una delle più importanti e vivaci piazze della città, dove fervono i preparativi per la “King’s Night”, ovvero la notte che precede il “King’s Day”, la festa del Re, la più sentita tra le feste del calendario olandese, nonché una delle più folli e divertenti.
Ci addentriamo nel labirinto del Melkweg fino al camerino di Mahmood mentre in piazza già circolano le prime birre, le prime parrucche arancioni, e da un palchetto allestito dinanzi lo storico Bulldog, uno dei più iconici coffeeshop di Amsterdam, già pulsa la musica techno/house che sappiamo già che ci farà compagnia per tutta la notte; e sono solo le 16.
Ci accomodiamo su un divano, lui è comprensibilmente stanco, solo tre giorni prima l’esordio europeo al Bataclan di Parigi, poi Anversa, e quindi Amsterdam, quasi senza pause, e lo aspettano ancora i sold out di Losanna, Zurigo, Londra e Madrid; poi il rientro in Italia e, naturalmente, l’Eurovision Song Contest, che è anche l’evento che gli ha permesso di scavalcare i confini nazionali grazie al successo di “Soldi”, che si classificò clamorosamente e forse immeritatamente, ma è chiaro che siamo di parte, solo al secondo posto.
Non è il primo concerto che seguiamo ad Amsterdam, inseguiamo live di qualità in questa città dall’atmosfera così speciale già da una ventina d’anni, i Gogol Bordello, i Jamiroquai, i Muse, gli Eels, John Mayer, giusto per fare qualche nome, ma mai un artista italiano e quello che ci aspetta tra poche ore ha, ai nostri occhi, dell’incredibile.
Non che ci stupisca il calore delle comunità italiane all’estero, ma più che altro troviamo assai raro che il nostro paese partorisca e poi riesca ad esportare un progetto musicale così in linea con l’interesse del pubblico internazionale. Il pubblico in questione sembra equamente diviso tra italiani e stranieri, i “Ti amo” rivolti al palco non sono molti di più degli “I Love You”; Mahmood ha un repertorio tutto nella nostra lingua, ma questo importa poco, per nulla al pubblico presente, che canta tutti i brani, dall’inizio alla fine, con passione, trasporto, trascinati da un artista capace di offrire un vero e proprio show, che è un requisito in Italia troppo spesso messo da parte.
I classici del suo pur breve repertorio, che conta al momento appena due album, li canta tutti: “Klan”, “Inyuasha”, “Gioventù bruciata”, “Barrio”, “Rapide” e poi naturalmente “Soldi” e “Brividi”, quest’ultima, in assenza di BLANCO, confezionata in pratica in duetto con il pubblico.
Mahmood sul palco è stiloso, sexy, coinvolgente, calca le assi del Melkweg con naturalezza e audacia, non si risparmia mai; la messa in scena è psichedelica ma mai fine a se stessa e, soprattutto, non distrae dall’intensità di un cantato che risulta, come al solito, come sappiamo bene, ipnotico. Il momento di “Brividi” è addirittura illuminante, che fosse il miglior pezzo in gara a Sanremo lo sapevamo forse addirittura prima che cominciasse Sanremo, perché manifesto della faccia migliore del new pop italiano, quella che Mahmood, e BLANCO insieme e dopo di lui, rappresenta che meglio non sarebbe possibile, ma ascoltarla dal vivo stuzzica emozioni, amplificate dall’esperienza collettiva, è chiaro, davvero inaspettate; ci si rende conto, con molta semplicità, che si tratta di un brano davvero perfetto, destinato a replicare le stesse identiche sensazioni per un’indefinibile quantità di tempo.
La parola che ci risuona nella testa è “storia”, qualcosa ci dice che racconteremo ai nostri nipoti di quella volta che “Brividi” l’abbiamo ascoltata ad Amsterdam, nel lontanissimo 2022, era la vigilia del King’s Day e ci siamo tanto emozionati, come se sentissimo dentro che quel brano segnasse allo stesso tempo la fine e l’inizio di qualcosa, di un’era probabilmente, in cui con quel genere di brani ci si sarebbe dovuti necessariamente confrontare.
Il concerto al Melkweg ci dice poi che la dimensione di Mahmood è certamente quella internazionale, che si tratta di un artista, anzi, che col nostro paese, fatto perlopiù, musicalmente parlando, di canzonette e melodie stantie, in cui idee e poetica scarseggiano tristemente, ha pochissimo a che fare, se non la nazionalità, che ai tempi della vittoria di Sanremo qualcuno, con la solita italica idiozia, mise perfino in dubbio.
Mahmood è una superstar internazionale, che parla il linguaggio musicale degli Stromae, dei L'Impératrice, dei Daft Punk, dei Darin, di tutti coloro i quali in pratica riescono a tradurre e smistare la propria idea di musica pop senza doppie capriole mortali ammiccanti, mantenendo il proprio intimo intellettualismo, percependo l’importanza della propria identità artistica, della propria essenza, senza diventare mai spot di se stessi.
Com’è la vita post seconda vittoria a Sanremo?
È come me l’aspettavo. È sempre bello, perché rifai delle cose che hai già fatto, pensi di sapere come siano, ma in realtà è sempre diverso. Questo è un po' il bello di questo lavoro, soprattutto quando fai concerti nelle stesse città ma in venue diverse. Per esempio, partire con questo tour dal Bataclan per me è stato veramente figo.
Com’è invece il ritorno al live vero?
Il ritorno al live vero ti da un sacco di emozioni. La differenza tra avere gente seduta e gente in piedi si sente, ti arriva davvero un’energia diversa ed è incredibile.
Che rapporto stai sviluppando con “Brividi”?
È un duetto infinito, quando non c’è BLANCO io mi diverto a cantarla con il pubblico, come in un gioco. Non è un viaggio che sta finendo, anzi sta aumentando, sembra che si aggiungano sempre più voci a questa canzone ed è questo il bello di “Brividi”, che a prescindere da tutto è un pezzo che è già tra i miei del cuore.
Di fatto sei entrato nella storia della musica italiana…
Dici che sono entrato?
Due vittorie a Sanremo, ci sei entrato di diritto…
Bella questa cosa. Non so, a me sembra ancora che sto iniziando, mi sento sempre all’inizio delle cose, come se ancora devo scalare, scalare, scalare…questo feeling non ce l’ho ancora, di essere nella storia della musica italiana.
Hai mai pensato che il tuo progetto sarebbe arrivato lì dove nessuno potrà mai dimenticarlo?
Sarà che io e Riccardo questa cosa di Sanremo l’abbiamo presa un po' come un gioco, forse non gli abbiamo dato quell’importanza che bisognava darle. Il fatto è che è sempre tutto così veloce, vinci nel 2019, poi il Covid…la musica è cambiata in questi due anni; adesso è successa questa cosa di Sanremo, ma chissà cosa succederà tra due anni, magari tutto sarà totalmente diverso. Il viaggio è talmente veloce che è difficile pensare di essere nella storia della musica italiana, per me. È una cosa con la quale dovrò fare i conti, magari sono io che cerco sempre di vedere cosa ci sarà dopo e invece bisognerebbe soffermarsi sul presente, ma non ce la faccio io tanto a soffermarmi sul presente.
Quanto è importante la certificazione internazionale per la vostra generazione?
Quando la musica riesce a superare una lingua è sempre un grande risultato, quindi credo che questo sia lo scopo di tutti: fare arrivare la propria musica il più lontano possibile e a più gente possibile. Questa è una di quelle cose che ti rende tanto orgoglioso, soprattutto per me, che sono cresciuto con la musica internazionale; e devo dire che è molto stimolante lavorare all’estero. Sono andato a Los Angeles a scrivere un mese fa, ho lavorato con tanti produttori esteri ed è veramente “stimolante” la parola giusta.
Ti ricordi il momento in questi anni in cui ti sei detto “ce l’ho fatta”?
Quando ho vinto Sanremo Giovani con “Gioventù bruciata” ho visto quel barlume di luce, lì mi si sono aperte un po' le speranze.
Cosa ne pensi dell’esclusione della Russia dall’Eurovision?
Ci ho pensato tante volte: penso sia giusta l’esclusione per dare un segnale di quanto sia sbagliata la guerra, penso anche poi al cantante, che forse non c’entra nulla e diventa un escluso. È difficile capire cosa sia meglio fare, bisogna condannare la guerra senza se e senza ma e salvaguardare le persone che della guerra nulla possono decidere
Come vivi questa vigilia dell’Eurovision?
Adesso sto vivendo il tour, una cosa alla volta! (e ride) Quando ci sarà il tempo dell’Eurovision mi vivrò l’Eurovision, adesso sto vivendo il tour ed è molto impegnativo.
Senti un po' il peso delle aspettative, la responsabilità di rappresentare l’Italia?
No. L’unica aspettativa che sento è quella di cantare bene, di fare una bella performance, quello si; di rendere onore al pezzo, perché è un pezzo che ci ha regalato tanto.
Hai vinto Sanremo Giovani, due volte la sezione big, con “Soldi” il tuo nome ha cominciato a girare in tutto il mondo, ora questo tour internazionale…Quanti sogni può ancora avere uno che è arrivato così in alto e in così poco tempo?
Tantissimi, gli stessi sogni di quando ho iniziato. I sogni, grazie a Dio, non finiscono mai, è che non bisogna dirli troppo ad alta voce perché sennò poi non si realizzano.
Oggi che sei tornato ai live veri, con la gente in piedi davanti a te, ti sei fatto, dopo questi due anni di pausa, un’idea un po' più chiara della considerazione che le istituzioni hanno di te come lavoratore dello spettacolo?
Potremmo sempre avere qualche aiuto in più, il periodo Covid è stato molto duro per i lavoratori dello spettacolo, per tutti i tecnici, per tutti quelli che facevano in modo che esistesse lo spettacolo. Io spero che non succeda mai più una cosa del genere sennò sarebbe veramente la fine del nostro settore.