AGI - Lazza è ormai uno dei nomi del rap italiano, titolo che si è straconquistato sul campo, la sua capacità di strutturare le doppie rime, la tecnica, l’ispirazione, la preparazione musicale da pianista, non potevano che portarlo lì dov’è, dentro un ambiente, quello del rap, che lascia molto spesso troppo spazio ad un pressapochismo che ingolfa inutilmente il mercato; ma questa è un’altra storia. Ci sta dunque che Lazza in “Sirio”, suo nuovo disco, senza snaturarsi, provi a saltare più in alto, a provare a rendersi più pop, termine da cui filtriamo le maldicenze specificando che intendiamo proprio “popolare”.
Così “Sirio” risulta un disco vagamente schizofrenico, Lazza c’è ed è anche in buona forma, l’“Ouv3rture” del disco, per dire, nella quale rappa sul “Notturno in Do diesis minore” di Chopin per poi sfociare, quasi rabbiosamente, sulla produzione del genietto Low Kidd (insieme a Drillionaire alla direzione artistica del progetto) è semplicemente meravigliosa, un pezzo che dimostra, con un colpo di tacco, quanto il rap possa facilmente accostarsi a quella che il pubblico generalista considera arte, come se il rap fosse un giochino da ragazzini.
Ma non è così e ascoltare “Sirio” in questo senso potrebbe aiutare a sfatare qualche cliché legato al genere; Lazza nel disco sperimenta, affronta argomenti in maniera diretta, con il linguaggio che più e meglio gli confà, un linguaggio che, a dispetto di quanto i più possano pensare, alla faccia della pochezza e volgarità che si pensa riguardo la scrittura hip hop, diventa lirico e alto in certi punti.
Certo, a Lazza, ma è fisiologico, serve ancora un po' di esperienza, probabilmente proprio di vita, per raggiungere i livelli conscious di Fabri Fibra o Marracash, o anche del “padrino” Salmo; per esempio, mentre tanti storceranno il naso riguardo a “Panico”, brano confezionato in featuring con la premiata ditta Takagi&Ketra, che invece è portato a casa con il mestiere che contraddistingue indubbiamente sia Lazza che il duo di producer, noi riteniamo più da maneggio subdiscografico “Piove”, insieme a Sfera Ebbasta, artista cui successo, ancora oggi, a distanza di tempo, fatichiamo (ma tanto) a capire, artista talmente indietro che in realtà fatichiamo (ma tanto) anche a chiamare artista.
Ma piace, anche se, dal punto di vista squisitamente musicale, a uno come Lazza potrebbe giusto allacciare le scarpe; e allora buttato dentro anche lui, a fare massa, a fare audience, a macinare stream. Sinceramente molto meglio vedere il rapper milanese stiracchiare la propria tecnica incrociando le rime in “Topboy” con Noyz Narcos, un altro geniaccio della scena. Ma ciò che impressiona in “Sirio”, e non è niente di evidentemente architettato, è questa malinconia di fondo che pervade le atmosfere del disco, che spesso viene coperta dalla preponderanza di un beat o di una barra particolarmente tortuosa e affascinante, ma che poi esce, solcando un percorso che non si può fare a meno di affrontare con un’introspezione che, felicemente, spiazza.
Qual è la necessità artistica che ti ha spinto a scrivere “Sirio”?
"Volevo dire tante cose, parlare di cose che non mi hanno fatto stare bene sicuramente. In cosa ti troveranno cresciuto i tuoi fan rispetto a “Re Mida”? Mi auguro che i miei fans si accorgano del fatto che ho voluto fare delle scelte, magari azzardate, sia a livello di tematiche che di suono. Qual è il rapporto che un rapper sviluppa con il “male”, sembra che i rapper in generale provino una certa fascinazione per la criminalità… Il male ti fa scrivere, ma io parlo di un male a livello emotivo eh, perché poi io sento tanti rapper, trapper, parlare sempre delle stesse cose, che poi al 90% non fanno. Sono sicuro che quasi tutti non le facciano e sono sicuro che un buon 50% neanche le abbia mai viste certe cose. A me non piace parlare solo di quello, ho tanti amici balordi, ho qualche amico in galera al quale spedirò il disco, ma a me non piace parlare di questo, non ne sento la necessità. Mi sembra come se tutti quelli che ne parlano cercassero una credibilità che non hanno; io la mia credibilità ce l’ho, non me ne frega di esagerare le cose. Sto bene così.
Su Instagram, quando hai annunciato la collaborazione con Sfera Ebbasta, ti sei chiesto come fa questo ragazzo a trasformare tutto quello che tocca in una hit, secondo te qual è il segreto, perché piace così tanto?
"Io credo che la forza di Sfera sia nella sua semplicità nel dire le cose. Sfe è diretto, lui si è creato un immaginario tale per cui si può permettere di dire certe cose. Se io domani scrivo “1,2,3, 4, chiama il contatto, 5,6,7,8 è già qua sotto”, mi dicono “Lazza, ti sei bevuto il cervello”, se lo scrive Sfe è figo, perché da Sfe te lo aspetti che trova una cosa che suona come uno slogan, e a me piace sentirlo.
È molto distante da quello che fai tu…
Ma menomale che è diverso! Come mai la scelta di Takagi&Ketra? Perché cercavo qualcosa di diverso. Per me lavorare un pezzo con Takagi&Ketra è un po' un mettersi alla prova, il pezzo rap lo sappiamo tutti che lo so fare. Probabilmente a tanti anche non piacerà, perché è una scelta azzardata, ma se tu prendi il pezzo non pensando che l’ho fatto io, per quello che è, secondo me è una hit gigante. È scritto bene, suona bene e le liriche del pezzo non credo che mi snaturino tanto.
Effettivamente sei riuscito a portare nel tuo territorio due che solitamente fanno cose un po' diverse…
"Ma loro sperimentano tanto eh, fanno tante cose interessanti, non fanno solo la roba reggaeton alla Fred De Palma, o la hit estiva di Giusy Ferreri, e non voglio dire che sia roba brutta, quella roba come loro non la fa nessuno. Ci sono delle robe più interessanti, a me la hit estiva è una cosa che ancora oggi non mi va di fare, capisco però che per alcuni è una strategia giusta e lo rispetto".
Con Noyz Narcos invece un vero e proprio esercizio di stile…
"Tutte doppie rime, si certo, quella è la mia scrittura"
Proprio emotivamente, che rapporto hai con il pianoforte?
"È un rapporto di amore e odio, ho avuto dei traumi da ragazzino col pianoforte e questa roba di suonare il piano in pubblico mi mette sempre una certa ansia. Ma ormai è un marchio di fabbrica. Il rap sulla classica, il rap sull’elettronica; ti sei sbizzarrito in questo disco? Certo, io rappo su tutto, rappo dove posso. Un tema che torna in diversi brani è quello legato al successo
Come vivi la tua notorietà?
"Diciamo che ci sono situazioni in cui non me la vivo benissimo. Realmente l’unica cosa che mi piace tanto di aver fatto successo è di vedere la gente che si sgola sotto il palco. Sapere che faccio fatica ad uscire di casa mi mette un po' d’ansia, magari sapere che sto facendo una telefonata di lavoro e ho il finestrino aperto della macchina e passa uno che mi filma mentre parlo dei cavoli miei, mi mette ansia. Mangiare con una persona che mi viene a fare il video mentre sto mangiando mi mette ansia".
Perché la gente non ti vede più come una persona, la gente non ha la maturità di capire che tu sei una persona che in quel momento si sta facendo i cavoli suoi, sei una persona che può avere una giornata no, come tutti, posso anch’io litigare con mia madre, posso anch’io litigare con la mia tipa, con un mio amico, posso aver preso una multa, possono essermi successe x cose; e tu in quel momento vuoi una foto ed io devo farla. Non riesco più a fare una serata, perché se entro in un locale e mi voglio divertire non mi diverto, passo la serata a fare le foto con tutti e la serata passa così, e non mi diverto, magari non calcolo nemmeno i miei amici che erano usciti per stare con me.
Immagino sia complicato accogliere persone nuove nella propria vita?
"Non è facile, ti devi fidare, devi andare a sentimento, puoi solo augurarti che non siano là per un secondo fine. Tolto il fatto che io ho sempre quei quattro amici di quando non ero nessuno eh…e di loro mi fiderò per sempre E loro come vivono il tuo successo? Per loro sono quello che ce l’ha fatta. Solo che li vedo quasi a disagio quando andiamo fuori a cena e io pago per tutti, e questo mi spiace; ma loro sono i miei amici. Salmo una volta mi disse: “Quello più ricco paga per tutti”, che è sacrosanto secondo me.
Come si diventa Lazza?
"Lazza si nasce. A un ragazzino che vuole fare quello che fai tu allora cosa consiglieresti? Di non farlo per diventare me, sennò diventerebbe una copia di una cosa che c’è già"
Dopo due anni di restrizioni a causa della pandemia che hanno colpito in maniera particolare il mondo della musica, che idea ti sei fatto della considerazione che le istituzioni hanno di te come lavoratore dello spettacolo?
"L’arte non la trattano benissimo, non capisco, hanno trovato una soluzione per tutto in questi due anni tranne che per noi, come se ci prendessero in giro, come se volessero dirci che non siamo necessari. Una sera sono andato a fare una data a Riccione, mi sono trovato gli sbirri sul palco che mi hanno detto “scendi”, uno sbirro in borghese si è preso un pugno in faccia da un vocalist, dicevano “mani sulla consolle”, ma io gli ho detto “Io non scendo dal palco, non me ne frega niente”