AGI - Se uno dei padri della trap italiana produce questo disco allora probabilmente serve un ragionamento più approfondito su quello che ne è rimasto di quella trap italiana, quella dura e pura, quella che ha imposto una determinata cultura, quella cui contenuti non andavano mai oltre uno stucchevole machismo plastificato.
L’orecchio con il quale Sick Luke opera non è mai stato messo in discussione. Alla sua età portare in Italia un suono e trasformare quel suono da forma di ascolto a forma di pensiero letteralmente virale, è da fenomeni veri, anche se in quella forma di pensiero, fisiologicamente, superati i 15/16 anni, se ti ci riconosci, hai delle serie lacune socioculturali.
Allora cosa succede se lo stesso che ha contribuito in maniera attiva a certe indiscutibili porcherie come, per dire, tutta la produzione della Dark Polo Gang, decide di alzare l’asticella e confrontarsi con una musica più alta? Che cerca di raccontare qualcosa in più, che si distacca da quei vuoti cliché?
Succede che ne viene fuori un disco formidabile, ricco di spunti, un concept album che racconta di una vita in bilico tra il giorno e la notte, un disco manifesto di un movimento che, fagocitato dal pop, come capita regolarmente a tutte le nuove wave, è costretto a fare dei passi in avanti, a dire qualcosa di reale, tangibile, onesto.
E 'X2' è pregno di pezzi di questo livello, brani in cui il ragazzo gioca con il sound in maniera folle e lucida allo stesso tempo, che dribbla ogni possibile concezione di genere, trasformando quel movimento culturale scoordinato al quale piaceva (piace ancora in molti casi) riflettersi in uno specchio fasullo.
Uno specchio in cui si vede più bello e profondo di quello che è, in qualcosa che ha un senso artistico ben preciso e rappresenta il futuro molto più e meglio di chi per “fare” futuro pretende di prendere il passato e appiccicarlo in faccia al primo ragazzetto senza cognome venuto fuori da un talent, senza che dietro ci sia uno straccio di idea artistica ben definita. Sick Luke propone arte e lo fa con la spensieratezza di chi non saprebbe fare altrimenti, tutto ciò si evince chiaramente dall’ascolto di “X2” e dal modo, chirurgicamente perfetto, in cui come producer utilizza gli artisti per raccontare qualcosa.
Come si fa a creare un concetto unico di album come hai fatto tu, mettendo insieme artisti così diversi tra loro?
Sicuramente parte tutto da me, dalle mie idee un po' pazze. Ho voluto creare una sorta di mondo, un ambiente in cui tu entri che parte dalle basi, dal beat. Poi, visto che ero uscito un po' dalla bolla della trap, ho provato ad unire tutti…un mondo che unisce tutti. Per me collaborare con artisti trap e indie significa unire mondi diversi.
Tu sei uno di quelli che più di tutti ha contribuito alla celebrazione della figura del producer…
Si, penso che io e Charlie Charles siamo i primi ad imporre questa cosa in Italia. In America è sempre stato un po' così, che il producer è la superstar, in Italia nel periodo in cui abbiamo fatto uscire la trap ci facevamo vedere sui social come gli artisti, anche se i trapper nelle stories facevano cavolate e noi eravamo più seri (anche se anche io pure qualche cavolata l’ho fatta). Io penso che bisogna essere anche artisti, un pochino più seri, non solo giocare, se sono famoso secondo me è anche per quello. In quest’era la musica funziona in questo modo.
Come le hai scelte queste collaborazioni?
Le ho scelte in base alla canzone, ho preso tutto quello che mi serviva, da vecchi amici con i quali avevo già collaborato un sacco ad artisti nuovi. È nato così, da quello che mi serviva per l’album.
Quali sono le caratteristiche di questa nuova wave?
Per me la nuova wave è uscire un po' da questa bolla della trap o dell’indie, anche se l’indie non è tanto mio. Secondo me questo disco crea qualcosa di nuovo, di diverso, ci sono tanti sintetizzatori, tante chitarre, bassi veri, cose che non si facevano di solito nella trap o nell’indie. Sto unendo un po' tutto e spero che possa essere una nuova wave anche per altri artisti con cui lavorerò e faremo più cose così piuttosto che le cose per cui mi conoscono.
È questa la strada che vuoi prendere?
Si, per me già utilizzare sintetizzatori e chitarre vere che suonano in sottofondo il ritornello è una nuova ondata, una cosa che nel mondo si sta già facendo, magari in Italia di meno, per me spacca. Il pop in Italia è ancora rimasto un po' quello che è, anche la trap, anche se io in Italia sono uno dei padri della trap, però penso che bisogna cambiare, non si può fare sempre la stessa cosa. “Stucca” dopo un po', almeno a me “stucca”. Poi spero che gli altri lo apprezzino.
La trap è il genere più bersagliato della recente storia della musica, tu cosa rispondi a quei nostalgici che vedono in un certo modo la trap?
A tutti quelli che ci andavano contro perché rimpiangono il passato gli risponderei che sono dei “Bufu”, come avremmo detto ai tempi (e ride), perché secondo me andava già capita all’inizio, come avevo l’avevo capita io.
…è anche un genere che ormai è molto diverso, è riuscito a rivoluzionarsi in un lasso di tempo molto breve.
Prima non si capiva tanto bene quello che succedeva, è vero che le cose sono cambiate velocemente, è stata tutta un po' una pazzia, io in quel periodo ho fatto tre dischi in un anno e manco me ne sono accorto. Certo sono felice di quello che è successo, perché tutto quello che è successo in quel periodo ha cambiato quello che succede oggi, hai visto le classifiche dei dischi d’oro? Quelle sono cambiate grazie a noi che rompevamo le scatole ogni settimana con una certificazione di troppo, abbiamo alzato l’asticella, abbiamo cambiato le cose e spero che succederà sempre così, che le nuove generazioni cambieranno tutto come abbiamo fatto noi. O magari continueremo noi a cambiare le cose, penso di si: il disco è arrivato terzo come più ascoltato al mondo su Spotify, non me l’aspettavo proprio, come non me l’aspettavo nel 2016 che sarebbe cambiato tutto, non me l’aspettavo che un producer album potesse fare tutto questo. Veramente no.
Un’altra caratteristica della trap è quella delle tematiche, il machismo, i soldi, la droga….siete sempre stati molto attaccati, tu nel disco le metti da parte, ma perché questa fissazione? Non pensi che questo cambiamento veloce della trap passi anche da un’evoluzione in questo senso?
Io di quel mondo non ne faccio più parte, certe recensioni ho letto che dicevano “Questo disco parla solo di droga”, mi sa che hanno sbagliato disco, perché uno parte subito dall’apparenza. In quel periodo secondo me ci stava, perché la trap deriva proprio da “trappola” e per uscire dalla trappola devi raccontare queste cose un po' da strada. Poi si è evoluta, ognuno ha preso la trap e l’ha modificata e questo va benissimo. Ma dal 2016 ad adesso uno deve cambiare sennò si rompe le scatole, nel 2016 c’è stato un’overdose di questo, quindi uno pensa che le tematiche sono sempre quelle, ma non è più così. Nel mio disco ho dosato i pezzi trap che parlano di questi argomenti perché non mi andava di esagerare, ma mi faceva piacere mettere dei pezzi trap perché io vengo da lì. Se ascolti la trap in America parlano solo di prostitute, di droghe…ogni pubblico ascolta il genere che vuole, non so se “stucca”, io vario dai Nirvana a Young Thug ai Tame Impala ai Cure, dipende come mi prende…
Quando ho sentito “Mosaici” ho pensato che sarebbe andato bene anche a Sanremo….ti piacerebbe confrontare la tua musica con quel mondo lì?
Sinceramente Sanremo è una bomba, è veramente figo, pure quella competizione è una bella sfida. Non mi aspettavo delle chart di Spotify, figurati Sanremo, che devi andare là a competere, non sono tanto il tipo, però sicuramente è figo partecipare, è un passo in più che dovrò fare prima o poi.
E cosa succederà domani, quando diventerai nonno della trap…?
Non lo so, io a questo disco non metterei nemmeno un’etichetta di genere, quando dicono che è un disco pop, trap, indie…io mi sento un musicista e basta, mi sento un musicista alieno che fa musica difficile da etichettare. Mi vedo che a 60 anni, con gli occhiali, faccio le colonne sonore, seduto al mixer, attorniato da tastiere….io mi vedo così da vecchietto. Ora la musica la vedo sicuramente in maniera non più seria ma più emotiva, con melodie che ti prendono di più, testi un po' più seri, ma non strappalacrime, nel senso testi in cui ti puoi rispecchiare un po' di più. Poi ogni tanto un po' di trap ci sta, ma dosata al punto giusto, non che in una canzone devi parlare solo di droga e prostitute, come facevamo all’inizio con Sfera Ebbasta e Dark Polo Gang.
Com’è stato crescere figlio di un rapper?
Io sono cresciuto con il rap in casa quindi certe tematiche non mi hanno mai sconvolto, capisco che fa parte del rap, perché il rap era un messaggio politico, uno sfogo; e mio padre mi ha sempre fatto vedere il rap come una valvola di sfogo ed era anche il suo lavoro e volevo farlo anch’io. Non ho fatto rap fin dall’inizio perché pensavo “Già ci sta mio padre”, lui ha già detto tutto quello che avrei voluto dire io da ragazzino, quindi non è che c’avevo niente da dire; allora ho fatto il beatmaker, e vivere insieme a lui è stato una figata perché mi dava sempre una mano, sempre un consiglio sui beat.
E lavorarci invece?
Lavorarci neanche realizzo quanto sia bello, mi arrivano un sacco di messaggi di figli che non hanno più il padre, che magari avrebbero voluto avere questo rapporto, o tanti figli che hanno il padre ma non hanno questo rapporto, che ci prendono a ispirazione, che mi scrivono “Un giorno sarò come tuo padre, così avrò un figlio felice come te”.
Poi lavorare con lui nel disco è stato veramente una figata perché per me è l’ultimo pezzo del disco ma è il più importante; diciamo quello che abbiamo vissuto in una pillola, chi non mi conosce può conoscermi, non ho fatto quella traccia per spaccare la classifica, l’ho messa solo lì per dare una spiegazione e il fatto che tante persone la stanno ascoltando e ci si stanno rispecchiando mi fa veramente piacere. Mi fa più piacere quello che tutto il successo del disco.