I l cast dell’edizione 2022 del Festival della Canzone Italiana di Sanremo, annunciato sabato sera al Tg1 da Amadeus per evitare, come successo negli ultimi anni, sgraditi spoiler, è stato accolto benissimo dal pubblico. I social sono un trionfo di complimenti per il terzo mandato da conduttore e direttore artistico della kermesse musicale più importante della stagione.
Gli unici rimasti vagamente amareggiati sono gli amanti del rock e quelli che si aspettavamo dal conduttore una scelta più in linea con quella operata lo scorso anno, in cui Amadeus ha dato ampio spazio al nuovo cantautorato, quello che ormai convenzionalmente chiamiamo “indie”.
A scatola chiusa, non si sono infatti ancora organizzati i tradizionali pre-ascolti con la stampa, l’impressione è che il sound che l’anno scorso ha trionfato non solo al Festival ma poi all’Eurovisiong Song Contest e nelle classifiche di tutto il mondo, e ci riferiamo naturalmente a quello proposto dai Maneskin, quest’anno sia stato nettamente messo da parte.
Certo, sia Achille Lauro che Le Vibrazioni non sono estranei all’utilizzo di chitarre elettriche, ma l’idea di rock del primo è decisamente evocativa; mentre il rock della band orbita da sempre all’incrocio tra pop e cantautorato. Un peccato se si pensa alla scalata dei Maneskin alla gloria internazionale, questo è vero, ma bisogna anche che si faccia una riflessione su quello che deve rappresentare il Festival di Sanremo.
In un mercato che ha decisamente allargato le braccia a qualsiasi avventore, anche quando piuttosto occasionale, la kermesse ligure ha perso un po' quel ruolo da talent, ruolo ricoperto nell’ultimo ventennio da show televisivi che hanno dichiaratamente quella mission; andare al Festival per farsi conoscere e trasformare la propria passione in mestiere non è più necessario, al massimo chi accetta di partecipare lo fa per promozione di un nuovo album, per allargare il proprio bacino di utenza o per consacrarsi nel tempio della musica italiana.
Sanremo non serve a nulla di più; così l’unico dovere non è tanto quello legato alla proposta ma quello di restituire un’immagine il più realistica possibile di quello che sta succedendo nel mercato italiano. Un’immagine che naturalmente deve anche incastrarsi nei meccanismi di uno show televisivo trasmesso su RaiUno dalla liturgia pressoché intoccabile, perché è chiaro che se il direttore artistico, chiunque sia stato o sarà, dovesse ogni anno scegliere il cast guardando ai numeri di live e piattaforme, al teatro Ariston ogni anno a febbraio si assisterebbe a un via vai di soli rapper.
È chiaro che questo non è possibile e non sarebbe nemmeno corretto, un po' per salvaguardare la migliore espressione musicale della nostra tradizione, un po' perché il pubblico va tenuto in considerazione dato che ogni carriera televisiva balla su pochi punti di share, ma non è che si possa accontentare in tutto e per tutto.
Così chi si ritrova a dover fare delle scelte deve riuscire in un’impresa davvero eccezionale, quella di tenere in equilibrio l’intera industria musicale italiana tentando di non scontentare nessuno, mettendo insieme i dati riguardanti le vendite con quelli riguardanti il mondo della tv, provando a mettere nel mezzo anche qualche buon pezzo, senza considerare che c’è un’intera settimana di show da organizzare, provare e reggere. Non il lavoro più semplice del mondo.
Sulla scia di questa doverosa premessa va letta la lista dei big del prossimo Festival di Sanremo: bisogna dare ampio spazio alla musica che ascolta la più ampia fetta del pubblico musicale, i ragazzi, in questo senso dentro Sangiovanni e Aka 7even, finalisti alla scorsa edizione di “Amici di Maria De Filippi” che, specie il primo, sono riusciti a uscire vivi dal tritacarne post talent guadagnandosi una credibilità discografica molto rara da ottenere.
Convocato anche BLANCO, un fenomeno classe 2003 che già prima dell’uscita del suo attesissimo album di debutto “Blu celeste”, in pochissimi passi (fondamentalmente due hit: “La canzone nostra” in featuring con Salmo e “Mi fai impazzire” in featuring con Sfera Ebbasta) ha rivoluzionato il sound delle scene rap e pop; affronterà la settimana all’Ariston insieme a Mahmood che gli farà da fratello maggiore in un’avventura dalla quale lui stesso è uscito vincente a sorpresa nel 2019.
Convocato anche Rkomi che quest’anno ha firmato “Taxi Driver”, che proprio dell’unione tra rap e pop si può considerare quasi un manifesto, tant’è che risulta primo in tutte le classifiche degli album più ascoltati del 2021. Decisamente sacrificati a questo giro i rapper, l’anno scorso in gara ne contavamo diversi e praticamente tutti (lasciamo fuori dalla lista giusto l’impalpabile Random) fecero un figurone: i Coma_Cose hanno raccolto numeri notevoli con l’ottima “Fiamme negli occhi”, Fedez, anche se il brano accennava a malapena ad un sound urban, si è aggiudicato il secondo posto; c’era Ghemon, che si può considerare uno dei padri italiani del genere, anche se ultimamente ha felicemente virato verso l’R&B; Madame che portò “Voce”, brano che poi fu premiato al Tenco come migliore dell’anno, e infine Willie Peyote, che invece si aggiudicò il premio Mia Martini per la critica.
Quest’anno, se mettiamo da parte Rkomi e Aka 7even, che viaggiano su un filo sottilissimo, quasi invisibile, che li separa dal puro pop, abbiamo solo Dargen D’Amico, genietto delle barre, ultimamente spesso al lavoro a fianco di Fedez, e Highsnob, che gareggerà insieme alla bravissima Hu (che non è una rapper quindi molto probabilmente il brano sarà un ibrido), ma che risulta sconosciuto anche a chi è attento a tutto ciò che succede nel mondo dell’hip hop; non c’è che da aspettarci una canzone eccezionale, altrimenti non si spiega proprio come sia possibile che in un oceano di rapper con ascolti da capogiro sia stato convocato proprio lui. A meno che, è chiaro, Amadeus non abbia esaurito i nomi nella sua rubrica del telefono incassando solo ed esclusivamente due di picche.
Se guardiamo ai numeri si può comprendere anche la scelta di coinvolgere Ana Mena, cantante e attrice spagnola che ha realizzato una sorta di “italian dream”: protagonista assoluta di una serie di tormentoni estivi dai numeri stratosferici che hanno caratterizzato le ultime estati italiane: da “D’estate non vale” e “Una volta ancora” con Fred De Palma, il più importante esponente del reggeaton all’italiana, a “A un passo dalla luna” e “Un bacio all’improvviso” con il rapper Rocco Hunt.
Da non considerare nemmeno la polemica attorno alla sua nazionalità, non è certo la prima volta che uno straniero si ritrova in gara al Festival di Sanremo e la cosa non è chiaramente da considerare come una sconfitta; più interessante in questo senso capire i meccanismi in caso di vittoria, proprio nell’anno in cui l’Italia ospita l’Eurovision Song Contest (un evento del quale presumibilmente si tornerà tanto a parlare riferendoci al Festival) si rischia di essere rappresentati da un’artista spagnola?
I due veri colpacci che Amadeus potrà vantare nella scaletta del suo terzo Sanremo sono senza dubbio Elisa ed Emma; la prima ha già annunciato l’uscita di un doppio album di inediti, il pezzo che canterà all’Ariston pare sia rimasto diversi anni chiuso in un cassetto, per valutarne la validità, che ci aspettiamo alta da un’artista dal talento cristallino come Elisa, aspettiamo perlomeno i pre-ascolti.
Quello che è certo è che Elisa non può non figurare nella lista dei favoriti alla vittoria, essendo tra i pochi artisti ad unire un grosso riscontro di pubblico e una reale credibilità in termini di cantautorato. La seconda, Emma, è una delle più amate cantanti del panorama italiano e la sua popolarità, nata e cresciuta dinanzi ad una telecamera (ad oggi quella di Sky come giudice di XFactor), la piazza certamente già di default nelle posizioni più alte della classifica finale; si tratta di un volto ormai ampiamente digerito dal pubblico televisivo e mai bisogna dimenticare che Sanremo, prima di ogni cosa, è uno show televisivo.
E a proposito di digeribilità, Emma non è mai stata questa grande sperimentatrice, per cui da lei pubblico e critica si aspettano quel pop orchestrale, vagamente spicciolo e immediato, che ne ha caratterizzato la carriera; forse non scalderà i cuori dei giornalisti nella sala stampa, ma andrà forte al televoto, materia che mastica con una certa disinvoltura.
Achille Lauro ormai si è proprio ambientato a Sanremo, c’è da aspettarsi un’idea particolarmente forte dietro la scelta di tornare al Festival per la quarta volta consecutiva; altrimenti significa che l’intenzione è semplicemente quella di battere un record, un po' come i Jalisse che però, al contrario, provano invano a tornare in gara da 25 anni, sempre rifiutati.
Molto interessante e anche, perché no, coraggiosa, la scelta di chiamare Ditonellapiaga e Donatella Rettore; duetto inedito che unisce un mito intramontabile, un’autrice cui successi ancora oggi risultano avanguardia pura di inarrivabile brillantezza, ad una ragazza giovane, sconosciuta ai più, ma dal talento smisurato, con un’idea di musica totalmente contemporanea e molto avvincente.
A proposito di miti, non è chiaramente passata inosservata la presenza di tre grandi della nostra storia come Iva Zanicchi, vincitrice di ben tre edizioni del Festival (’67, ’69 e ’74), record per una donna; Gianni Morandi, in gara con un pezzo di Jovanotti, sperando l’esperimento risulti meglio congeniato de “L’allegria”, uscito questa estate e dimenticato in scioltezza; e Massimo Ranieri che stravinse nell’88 con quel capolavoro assoluto di “Perdere l’amore”.
Tre personaggi dalla statura artistica inattaccabile ma, perlomeno due di loro, quasi totalmente fuori dagli ingranaggi discografici odierni. E se Gianni Morandi, nonostante progetti laterali all’attività musicale, non l’abbiamo mai perso dai radar, con la Zanicchi forse Amadeus prova a ripetere l’operazione simpatia riuscita l’anno scorso con Orietta Berti, mentre Massimo Ranieri sembra proprio un genuino contentino da parte del direttore artistico al pubblico ageé della Rai.
Ecco, possiamo dire che proprio in un’ottica di fotografia del mercato discografico di oggi, almeno due di queste caselle potevano essere impegnate in modo più appropriato. Se la scorsa edizione potevamo contare almeno una decina di progetti accomunabili alla rivoluzione “indie”, ovvero quel movimento culturale che ha totalmente sparigliato le carte della discografia italiana negli ultimi anni, quest’anno su quel fronte la proposta, seppur estremamente di valore, è minima.
Tornano i ragazzi de La Rappresentante di Lista, ed è certamente una buona notizia per tutti i cultori della musica di un certo livello, la loro “Amare” lo scorso anno è stata tra le canzoni più riascoltate dal pubblico una volta chiusi i battenti dell’Ariston, e loro si sono guadagnati un dovuto successo un po' più nazional-popolare.
La lista si chiude poi immediatamente con Giovanni Truppi, uno dei cantautori più raffinati del panorama italiano (tutto, non solo indie); a proposito di premio della critica, è lui, perlomeno a scatola chiusa, che possiamo considerare favorito assoluto. Se il suo nome può risultare una sorpresa per tanti, forse la maggior parte del pubblico generalista, non lo è, e non lo è da molti anni, per gli addetti ai lavori, che lo considerano un talento indiscutibile.
Se è possibile dare una connotazione precisa ai progetti musicali voluti da Amadeus alla sua terza edizione del Festival di Sanremo, poi bisognerà aspettare il verdetto del palco per capire quale canzone potrà risultare vincente. Non rappresenterebbe certo una sorpresa se il pezzo che alla fine della settimana ligure sarà decretato primo fosse quello di Fabrizio Moro, che è uno dei sette ex vincitori del Festival richiamati alla base dal direttore artistico; o quello di Giusy Ferreri, che ha dirottato la propria carriera verso lidi decisamente più pop e decisamente più estivi. O quello di Irama, altro reduce da “Amici di Maria De Filippi”, un altro particolarmente amato dal pubblico nazional-popolare.
E se Amadeus non avesse sentito l’esigenza di richiamare band dal sound smaccatamente rock dopo aver ascoltato il pezzo de Le Vibrazioni? Di certo non faranno fatica, per la loro matrice artistica, Michele Bravi e Noemi a presentare un pezzo che sarà adatto alla situazione.
Poi, attenzione, la lista degli artisti in gara non si chiude qui; prima di tutto perché Amadeus ci ha abituati alle sorprese, due anni fa infatti, quando le convocazioni dei big cominciarono a girare online prima del suo annuncio ufficiale (un po' come successo quest’anno), aggiunse due concorrenti in più proprio all’ultimo minuto: Rita Pavone e Tosca; e poi perché c’è da aspettare il verdetto di Sanremo Giovani e sappiamo bene che molto spesso i migliori brani cantati sul palco dell’Ariston sono proprio quelli provenienti dalla categoria dei meno esperti.
E non c’è da scomodare accadimenti di un passato ormai remoto, come Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Andrea Bocelli o Alex Britti, Mahmood nel 2019 si impossessò al fotofinish della prima posizione strappandola dalle mani di un Ultimo che in pratica stava già festeggiando (tant’è che la prese in maniera decisamente scomposta); e veniva dalla categoria Nuove Proposte. In più ormai, in questa discografia così “fluida” risulta complesso anche scegliere quali sono le caratteristiche che fanno di un artista un big o una nuova proposta, quest’anno per esempio tra i dodici finalisti che il prossimo 15 dicembre si sfideranno per aggiudicarsi i due posti nella lista finale del festival ci sono progetti già ampiamente consolidati, come Yuman, che è un artista straordinario, o Samia, Bais, ESSEHO, Tananai, Matteo Romano, tutta gente che sta già dentro il mercato, che ha già una cognizione precisa dello stare su un palco, che affronta con grinta ed entusiasmo l’esperienza.
Non risulterebbe perciò assurdo pensare che il clamore attorno alla lista dei big che si è sviluppato in questi giorni getti solo fumo negli occhi degli appassionati del festival, che magari dovrebbero guardare ad un’altra lista, magari meno intrigante ma contenutisticamente altrettanto valida.