AGI - I Maneskin tornano sul mercato per la prima volta dopo aver letteralmente dominato il mondo della musica globale dall’alto di tutte le classifiche in ogni angolo del mondo. Tornano anche i Tiromancino con un disco meraviglioso, tra i migliori in assoluto sfornati da Zampaglione. Fuori con nuovi ottimi singoli anche Coez, Francesca Michielin, mentre Maurizio Carucci degli Ex-Otago debutta da solista. Male il duetto tra Annalisa e Rose Villain, malissimo il nuovo pezzo dei The Kolors, peggio i nuovi brani di Deddy. In zona rap ottimi i singoli di Inoki e Nayt. Chicca della settimana: Luv!
Maneskin – “Mammamia”
Se mettiamo da parte tutta quella inutile tiritera sui Maneskin che fanno il verso al rock ma non sono rock perché chi fa rock non viene fuori dai talent e se viene fuori dai talent certamente è un prodotto pop, mica rock. Ecco, se mettiamo da parte queste inutili cavolate, in questa “Mammamia”, primo singolo fatto uscire dalla band romana dopo quell’Eurovision Song Contest che li ha mandati letteralmente in orbita a livello globale, viene ricalcato lo stile che in realtà i Maneskin cominciano non solo a far proprio ma anche a maneggiare con una certa scioltezza.
Quanto sia rock il rock dei Maneskin, ripetiamo, è un discorso privo di senso per una serie talmente innumerevole di motivazioni che ci si potrebbe scrivere su una trentina di libri, ma quando parte una canzone dei Maneskin possiamo dire che la riconosciamo dai primi due accordi senza nemmeno l’aiuto dell’Uomo Gatto? E possiamo sostenere che la costruzione di uno stile altamente riconoscibile rappresenta il nucleo di tutto? Il ponte con il proprio pubblico, il punto attorno al quale costruirsi una carriera duratura? Be, chissenefrega, lo diciamo, senza timore di essere smentiti.
Anche perché, rock o non rock, da questo lato i Maneskin ci piacciono assai, anche tralasciando la comunicazione che gli hanno costruito attorno (chissà quanto vera, ma arichissenefrega) di ragazzini ribbbbelli; anche tralasciando (questa si, certamente vera) la loro capacità di fornire performance spettacolari, di gestire in souplesse la grammatica del palcoscenico. Il brano? È un brano dei Maneskin, semplice. La linea di basso impertinente, il cantato un po' rauco ma ipnotico di Damiano, l’esplosione della chitarra elettrica…tutto molto Maneskin insomma. La storia di un sogno che si realizza, presumiamo, oltre le più rosee aspettative; una favola moderna che loro, da giovinastri quali sono, a ben ragione, si godono. Personalmente, invidiamo ogni singolo aspetto della loro vita, è per questo che esistono le rockstar.
Tiromancino – “Ho cambiato tante case”
La casa come non luogo dell’anima, un posto che diventa altro quando cambiano le persone e le sensazioni che lo abitano. Questa è la metafora che Federico Zampaglione utilizza per il suo “Ho cambiato tante case”, per giustificare in qualche modo questa vivace sperimentazione che lo ha portato in un viaggio lungo 12 nuove canzoni ad aggirare ogni spigolo della propria vita. Ambiente, amore, il rapporto con il proprio essere padre, con il proprio essere figlio, con il proprio essere musicista anche, probabilmente nel periodo più complesso della storia moderna per esserlo, fino alla malinconia, ad una spasmodica ricerca di serenità che si irradia su ogni singola nota del disco.
Tante le collaborazioni che ne caratterizzano linguaggio e struttura, da Alan Clark, storico tastierista dei Dire Straits, a Carmen Consoli, con la quale duetta in “L’odore del mare”; fino (in particolare) ai maggiori interpreti della nuova scuola romana: Gazzelle, con il quale scrive e compone “Cerotti”, Galeffi, con il quale collabora per la title track “Ho cambiato tante case”, Leo Pari, al banco regia di “Avvicinandoti” e Franco126, con il quale duetta in “Er Musicista” e che co-firma “Tu e io”. Attenzione, tutte operazioni che sono evidentemente condizionate da uno scambio artistico reale, estremamente tangibile all’ascolto, nulla che abbia a che fare con strategie subdiscografiche per catturare un target in più.
“Ho cambiato tante case” è uno dei migliori dischi in assoluto dei Tiromancino, per espressa volontà di Zampaglione da nominare ancora come band, essendo lui fulcro di un movimento che gli gira intorno ma nel quale non è mai solo; l’impegno, il talento, la ricerca, che opera Zampaglione in questo suo ultimo lavoro sono esemplari e il risultato colpisce esattamente nel segno, restituendo quel profondo senso di empatia e serenità al quale puntava.
Coez – “Flow Easy”
“Wu-Tang”, il brano uscito un paio di settimane fa, lo abbiamo descritto come una svolta nella strada del Coez “rappoppizzato” che abbiamo imparato a conoscere; “Flow Easy” invece ci dimostra che il rapper romano, intanto conserva ancora gelosamente una struttura profondamente urban nelle sue opere, poi ha la capacità di fare entrare in valigia tutto quanto: il Coez che rappa, quello che gioca con sonorità evidentemente elettroniche (presenti anche in quest’ultimo pezzo) e anche quello dannatamente romantico, anche, perché no?, cantautorale.
“Flow Easy” è il secondo singolo che anticipa l’uscita del nuovo attesissimo disco dell’artista romano, che finora ci ha letteralmente spiazzato, disorientato, ma sempre in positivo. Lo abbiamo scritto due settimane fa e lo ripetiamo oggi: Silvano, ovunque desideri portarci noi ci stiamo. Quando si fa buona musica è così che funziona.
Francesca Michielin
“Nei tuoi occhi”: La capacità di Francesca Michielin di tradurre il proprio pop di matrice un po' retrò in musica totalmente contemporanea, è straordinario. Per questo ogni canzone risulta funzionale, magari non un capolavoro, e questa “Nei tuoi occhi”, nonostante guizzi interessanti, un capolavoro proprio non lo è, ma la si ascolta con estremo piacere, ci si lascia trasportare sereni dal carisma della sua voce e si percepisce chiaro l’impegno e il lavoro che l’ex X-Factor ci ha messo dentro. Insomma…piace; un po' a sorpresa, ma piace.
Annalisa feat. Rose Villain
“Eva + Eva”: Due secondi netti e potremmo già scrivere la recensione, come quei film americani tristi e sfigati trasmessi la domenica pomeriggio in chiaro, che sai già come vanno a finire, e non perché sei un lontano cugino di Robert McKee, ma perché la banalità è un regina perennemente nuda. Bisogna dire però, per onestà intellettuale, che questo incidente mortale all’incrocio tra rap, pop e reggeaton, per la bruttezza, comunque stupisce.
Maurizio Carucci – “Fauno”
Dopo i Thegiornalisti e i Canova, chiaro che l’uscita di un brano solista del cantante degli Ex-Otago tagli la schiena con un brivido alla grande famiglia dell’indie italiano, o perlomeno dell’ei fu indie italiano; ma tramite i social i ragazzi garantiscono che gli “otaghi” non sono in fase di sbaraccamento. In realtà sarebbe bastato ascoltarla questa “Fauno”, per capire che con il lavoro degli ottimi Ex-Otago non c’entra assolutamente nulla, che si tratta di un brano altrettanto ben congeniato ma molto più etereo e, soprattutto, personale.
Talmente personale da poterlo considerare addirittura intimo, Carucci svela il proprio rapporto meravigliosamente morboso, simbiotico, con la natura si, con la montagna si, ma più in generale con le cose più autentiche che ha da offrire la vita, senza che nemmeno un verso suoni in qualche modo combattivo, ostico, ad hoc, di maniera, radical chic. “Fauno” è semplicemente un biglietto da visita per questa nuova parentesi di Carucci, ed è un ottimo biglietto da visita.
The Kolors – “Leoni al sole”
L’incipit del brano sembra il motivo musicale malinconico delle commedie sentimentali americane anni ’80/’90, avete presente quelle robe con Kirk Cameron? Ecco, lo percepite nelle orecchie a seguire quel retrogusto di Tommaso Paradiso? È perché il pezzo, tra gli altri, lo ha scritto anche Tommaso Paradiso. E si sente. Si sente a tal punto che, lo giuriamo sui Beatles, abbiamo dato uno sguardo più attento alla cover del brano su Spotify perché ci è venuto il dubbio fosse un duetto. Sinceramente questa “Paradisiata” non si capisce, i The Kolors sono assolutamente in grado di scrivere brutte canzoni anche da soli.
Inoki feat. Bresh & Disme – “100 S”
Brano molto interessante, non solo perché Inoki è un fuoriclasse e accanto a lui anche i giovanissimi Bresh & Disme lo diventano; ma perché utilizzando la sigaretta come simbolo della dipendenza, i tre ce le raccontano tutte le dipendenze. Dalle droghe, certo, ma anche dall’amore, dalle persone, dalle cose, così ascolti e ti rendi conto di quanto la nostra vita sia accerchiata da dipendenze, che la nostra intera giornata sia un continuo vagare da una dipendenza all’altra e non ce n’è una più grave o più pericolosa di un’altra, nel senso che è il concetto stesso di dipendenza ad essere, a pensarci bene, devastante. Inoki racconta la malinconia che ne deriva con grande precisione e grande talento, accompagnando le rime ad un suono cupo, asfissiante, che quasi non lascia scampo alla speranza. Bel lavoro, complimenti.
Nayt – “Mortale”
La capacità di masticare in bocca la lingua, con queste rime che scoppiettano tra le sue labbra come piccoli petardi; la sua necessità di esprimere qualcosa che vada oltre le sciocche spacconerie da gangstar rap, e poi ancora la costruzione perfetta delle barre, che non tradisce la freschezza e la determinazione di un ragazzo intenzionato a fare dell’arte e che ha trovato un linguaggio proprio e unico per farla. Tutto ciò fa non solo di “Mortale” un gran bel pezzo ma di Nayt un rapper strepitoso.
Mecna feat. CoCo – “La più bella”
Il secondo passo che ci introduce a “Bromance”, il progetto che unisce per la prima volta Mecna e CoCo, è una rivisitazione della hit “Sei la più bella del mondo” di Raf. Ci piacerebbe dirvi che si tratta di un omaggio in cui il brano riecheggia vagamente, ma si tratta invece di una vera e propria riscrittura, il riff centrale è quello, il ritornello è quello. Ci piacerebbe dirvi, perché parliamo di rapper molto interessanti, che i due hanno in qualche modo smontato il contenuto del brano a colpi di rime, ma non è così. In pratica due rapper nel 2021 hanno riscritto le strofe di un pezzo pop del 1995 rimediandone un altro pezzo pop che però non è né carne e né pesce. Non che il brano sia inascoltabile, intendiamoci, anzi, mette curiosità, specie in chi nel 1995 si accingeva in maniera scoordinata e ridicola ad affrontare i primi amori, ma il pezzo risulta quasi svuotato dei contenuti semplici e diretti che ne hanno fatto la fortuna.
Deddy – “Il cielo contromano su Giove”
Spiace tanto, perché infierire su un ragazzino che magari ci crede potrebbe sembrare un’operazione cinica, ci fa sentire bulli che pestano gratuitamente cuccioli di labrador; ma la musica è cambiata già da un pezzo e queste figurine, per quanto intonate, carucce, popolari, forti di un grande seguito (che però non è il seguito di chi ascolta musica, ma di chi guarda la televisione, il che fa la differenza sul lungo periodo), sono fenomeni dei quali non c’è nemmeno da preoccuparsi, non c’è nemmeno molto da scrivere a dir la verità. Vengono sfornati pezzi vuoti, pop scadente e sempre uguale, anno dopo anno, e vengono piazzati sul mercato solo per giustificare l’esistenza dell’entità televisiva, ma dietro non c’è musica, non c’è arte, anche se chi sta lì a cantare, a scrivere, ripetiamo, magari ci crede fortissimamente.
Si sente invece forte il sapore dell’industria, la puzza di fast food, il grasso che olia gli ingranaggi che spremono i sogni, che poi vengono impacchettati e svenduti in tv per un punto di share in più. Pardon, noi facciamo un passo indietro, la musica è altro.
Scatola Nera – “Scatola Nera”
Un disco che ricongiunge alla musica, raffinato, intenso, dal sound artigianale, semplice, diretto. Un album adatto ad una spiaggia invernale, cuffiette, respiri profondi e occhi chiusi.
Rosaroll – “L’ultima parola”
È sempre bello imbattersi in maniera più o meno accidentale in nuovi interessanti progetti. Questa “L’ultima parola” rappresenta un nuovo inizio per Stefano De Stefano, che già in molti conoscevano per la produzione in lingua inglese. Ed è un debutto felice, certamente da perfezionare, il testo presenta qualche lieve ingenuità, bilanciata però da lampi di cantautorato intenso, limpido, diretto.
Luv! – “Maledetta”
Inciampiamo su Spotify su questo pezzo proprio per sbaglio, nessuna segnalazione da un ufficio stampa, nessun messaggio in privato sui social; e restiamo totalmente catturati. La voce di questa ragazza è molto intensa, vagamente rauca, esce proprio fuori dalle cuffie, riecheggia plastica davanti agli occhi, rimbalza nelle pareti e quando il brano finisce sei talmente preso che nella stanza è come se rimanesse l’ombra di quella voce. Ma soprattutto ciò che ci ha intontiti è l’incisività quasi rabbiosa nella stesura del testo e della musica, che incede come un rullo compressore, mettendoti alle strette. Clicchi play ed istintivamente ti allontani dal computer, tiri su la guardia, come se ti aspettassi da un momento all’altro una sberla. Forte. Bravissima.