D elude la coppia Rovazzi/Ramazzotti, ai limiti della mortificazione l’EP di Elettra Lamborghini. Bene invece il singolo estivo di Aiello e il nuovo dei Fask; mentre i Musica Nuda ripropongono la loro inarrivabile raffinatezza e giovani come Leon Faun e Giuse The Liza sono destinati a rivoluzionare le fondamenta del rap. Una poesia meravigliosa il disco di Alessio Bondì, forse addirittura oltre il nuovo singolo di Amalfitano.
Fabio Rovazzi feat. Eros Ramazzotti – “La mia felicità”: Se la simpatia fosse talento “La mia felicità” probabilmente sarebbe “Mille giorni di te e di me”, perché Rovazzi è assai simpatico e le sue uscite musicali sono veri e propri capolavori di comunicazione, tanto che, ad essere onesti, forse questa recensione andrebbe scritta dopo aver visionato il videoclip, elemento imprescindibile di ogni suo lavoro. Purtroppo “La mia felicità” è solo “La mia felicità”, un branetto che, pur scritto insieme a Lorenzo Urciullo e Antonio Dimartino, i Colapesce e Dimartino di “Musica leggerissima”, per intenderci, resta privo della personalità di tutte le altre canzoni di Rovazzi, che erano brutte, alle volte molto brutte, ma che facevamo passare proprio in virtù di un progetto più grande, che in quella grandezza, che niente aveva a che fare con la musica, come sempre umilmente sottolineato dallo stesso Rovazzi, trovava un senso. L’impressione è che questa “La mia felicità” non abbia granchè senso, come il contributo dello stesso Ramazzotti; magari il video ci smentirà, ci dirà qualcosa in più, ma ascoltata così, nuda e cruda, sembra più un brano acchiappastream, migliore, per dire, di “Andiamo a comandare”, e non è che ci volesse tanto, ma che non lascia quell’imprinting sociale per cui tutti mesi dopo, in qualsiasi angolo dello stivale, andavano “a comandare”. Questo brano ha il sapore della hit, la ascoltiamo come hit e, sempre come hit, ci spiace, la bocciamo.
Ghali feat. Liberato e J Lord – “Chiagne ancora”: Ghali è uno dei migliori interpreti della scena urban italiana, Liberato ha rivoluzionato concetti, contenuti, poetica e sound del neomelodico napoletano, J Lord è un giovane fenomeno, uno che prende il rap e lo porta al confine con il cantautorato più impegnato. Da un trio del genere ci aspettavamo un corto circuito fulminante, qualcosa di definitivamente innovativo, invece non scorgiamo onde pronte a travolgerci; è un pezzo, un buon pezzo, ma abbastanza fine a se stesso, più somma di follower che somma di talenti. Spiace tanto.
Elettra Lamborghini – “Twerking Beach”: Semplicemente inascoltabile, imbarazzante, una roba da dilettanti particolarmente poveri di anima. Povera musica, costretta a piegarsi, a diventare semplicemente mezzo per arrivare a qualcosa che con l’arte non c’entra niente. Questa non è arte, è marketing, sono energie private a progetti più seri, magari di altre donne, che cantano e non twerkano, che non annunciano l’uscita del proprio disco con un topless su Instagram, non ne hanno bisogno; che magari sanno anche cantare, magari hanno perfino studiato per imparare a farlo in maniera professionale, alimentate da onesta passione, e invece vagano in un cocente deserto discografico alla ricerca di qualcuno che ne intuisca il talento. Incapaci di accettare, povere ingenue, che per farsi ascoltare a quanto pare serve un cognome importante, un fisico attraente e la volgare sfacciataggine di svendersi alla propria bavosa comunità a colpi di foto in cui si vede sempre più di quanto non si vede. Non sappiamo se risulta confortante a queste ragazze, ma nemmeno noi accettiamo che una forma di espressione così alta e profonda venga sminuita in maniera così deprimente. Non che sia la prima volta, intendiamoci, ma speriamo sempre sia l’ultima.
Aiello – “Fino all’alba (ti sento)”: Il problema non è mai la strizzata d’occhiolino ai ritmi spagnoleggianti, alle atmosfere del clubbing, quelle urban… ci sta tutto e sempre. Il problema semmai è l’onestà con la quale ci si approccia alla costruzione del brano; un problema che non riguarda Aiello, che è sempre profondamente credibile in quello che fa. Per dire, sarebbe stato facile infilare in un paio di versi mare, sole, cuore e amore, il cocktail estivo per eccellenza, invece lui incide una canzone che potrebbe tranquillamente diventare un tormentone estivo ma mettendoci dentro una metafora di base, anche piuttosto azzeccata, per cui il ballo rappresenta la libertà di fare e amare chi e ciò che si vuole; argomento sempre tristemente attuale, particolarmente importante di questi tempi. Bravo.
Fast Animals And Slow Kids – “Senza deluderti”: Brano intenso, orchestrale, che si distacca dal rock da cantina dei Fask ma ne preserva comunque la pulizia e la delicatezza.
Gio Evan – “Metà mondo”: Gio Evan è una versione italiana di Manu Chao. Cioè…gli piacerebbe.
Fred De Palma feat. Anitta – “Un altro ballo”: Fred De Palma è colui che ha portato il reggeaton in Italia, la scienza li chiama “Pazienti 0”.
Shiva feat. Gue Pequeno – “Non sai niente”: L’inconsistenza fatta rap, esercizio di stile vuoto di contenuti, di fiammate, di elettricità. Apri il pacco e dentro non ci trovi niente.
Side Baby – “Il ritorno del vero”: Ciò che rende i brani di Side Baby pericolosi, prima ancora che brutti, prima ancora che non brani; non sono gli argomenti, che alla fine magari, a furia di parlare di droghe, spaccio, in maniera così poco interessante, con tale mancanza di poesia, la questione finirà per annoiare, per togliere qualsiasi brandello di curiosità ai bambini (bambini, non ragazzi) che ascoltano; da questo punto di vista sono canzoni quasi terapeutiche. È la semplicità del progetto in sé a risultare preoccupante, l’incisione di brani con testi in cui si usano non più di trenta vocaboli, che nella maggior parte dei casi non toccano i due minuti, il che ci restituiscono la consistenza artistica di note vocali su WhatsApp. Non apparteniamo a quella parrocchia che boccia qualsiasi cosa gli capiti sotto il naso solo perché nuova, siamo nostalgici ma conserviamo la speranza (spesso la certezza) che esisteranno nuove stagioni di gloria per il cantautorato italiano; ma qui non esiste un’idea, non esiste una composizione, solo la costruzione raffazzonata, sbiascicata, brano dopo brano, di un personaggio, anche di dubbio gusto. Ora, ripetiamo, lungi da noi passare per vecchiarelli seduti al bar con l’asso di mazze pronto ad essere sfoderato, ma, oggettivamente, come si fa a chiamarla musica?
Speranza – “L’ultimo a morire (deluxe)”: Il rapper Speranza da nuova linfa vitale al suo già magnifico “L’ultimo a morire”, certamente tra i migliori lavori rap degli ultimi anni. Speranza spiazza, fa tutto ciò che meno ti aspetti, i suoi pezzi sono funamboliche capriole di parole e sensazioni, sempre perfetti, sempre precisi, sempre azzeccati. Maschera la nostalgia con la rabbia, i dubbi con l’attacco frontale alla vita, è tutto quello che pretendiamo dal rap.
Musica Nuda – “Tu per tu”: Sprazzi di raffinatezza in un mondo, della musica e non, sempre più incarognito. La combo tra Musica Nuda e Pacifico, che ha scritto il pezzo, va oltre l’essere ottimo e raggiunge il necessario.
Alessio Bondì – “Maharìa”: Un album che è un capolavoro, Bondì racconta storie di un mondo che riempie con un cuore talmente grande da poterci ospitare tutti. Anche e soprattutto chi non parla il dialetto siciliano, che diventa linguaggio indispensabile, poetica che viaggia libera sul pentagramma e trasforma la bellezza in unicità. Perché non c’è nessuno che fa quello che fa Alessio Bondì, nessuno che riesca a prenderti per mano con tale grazia, che ti coccoli con storie così intense eppure così tangibili, che riconnetta l’ascoltatore con una bellezza antica, assolata, pregiata, irripetibile. “200 voti” e “Occhi tanti”, per esempio, sono ballad d’amore che ti riempiono di una poesia della quale fatichi a trattenere le redini, che ti sovrasta, atterra, stende, e tu sorridi beato. Non bravo, grazie.
Leon Faun – “C’era una volta”: Guizzi di luce, contenuti profondi, generazionali, utili. Benvenuto ufficialmente a Leon Faun nella giungla del rap italiano, dove la sfida spesso parrebbe essere quella di assomigliare il più possibile a qualcun altro, un’industria che sbuffa musica a ripetizione, spesso inutilmente, solo per riempire gli scaffali. Leon Faun invece racconta qualcosa e, nonostante la giovane età, ha trovato anche un proprio modo del tutto unico di raccontarla; fa parte di questa nuova stagione di fenomeni del rap pronti a rivoluzionare il rap, ad avvicinarlo ad una forma espressiva più alta che gli permetta di trovare il pubblico, si, ma soprattutto se stessi. Chiamatelo cantautorato, come se fosse (e non ne siamo convinti) la Mecca da raggiungere per chiunque faccia musica; chiamatelo cantautorap, che come termine suona abbastanza infelice, ma il punto è conservare, preservare, la necessità di fare arte per una generazione abituata a risolvere la vita con un’applicazione, che insegue una semplicità davvero demoralizzante. Leon Faun invece ci mette l’anima, questo fa la differenza. E si sente.
Amalfitano – “Estate capodanno”: Per chi non lo sapesse mettiamo le cose in chiaro: Amalfitano è il miglior cantante italiano in assoluto, nel senso che non c’è una persona nel circuito musicale italiano pop che possieda una così possente verve nella voce, una così ipnotizzante profondità, tale spregiudicato mestiere davanti al microfono. Ne eravamo convinti dai tempi dei Joe Victor e ne siamo ancora più convinti adesso, che quella voce dalle sfumature graffiate di blues viene prestata alla lingua italiana. “Estate capodanno” è un pezzo meraviglioso, ci ritroviamo qualcosa del miglior Battisti, quello più intellettuale, più sperimentale, che non è il Battisti di Mogol, per intenderci. Una bellezza antica, rispolverata oggi, una canzone d’amore per un amore sopra le righe, che ha bisogno di un capodanno anche d’estate, di epico romanticismo in un mondo che se l’è perso per strada. Una bomba atomica di pezzo. Wow. No, davvero: wow.
Giuse The Lizia – “Serate toste”: In pratica Giuse The Lizia si sta inventando un genere tutto suo e la cosa non è solo intrigante ma anche molto divertente. La metrica è quella del rap, ma giureremmo che non si tratti esattamente di rap; la melodia che la accompagna la ricondurremmo probabilmente all’R&B, ma non ha niente di quella vaga cupezza che ti teletrasporta all’istante in un disco dei Fugees. è tutto molto strano e affascinante, molto solare eppure gonfio di contenuti, da tenere d’occhio insomma, che la strada imboccata non è solo quella giusta per lui, potrebbe esserlo per un’intera generazione di giovani artisti tenacemente intenzionati a fare tutti la stessa cosa.